Calvi e l’agro caleno nella storia dell’Alta Campania medievale

Comune di Pignataro, 29 gennaio 2017

Angelo Martino

Dopo il crollo dell’Impero romano, Cales, l’antica città degli Ausoni, non aveva cessato di esistere, ma, pur tra stenti e devastazioni, ridotta a qualche migliaio di abitanti arroccati alla meglio sulla vecchia arce, Calvi aveva dimostrato di saper resistere e sopravvivere.

Una lastra di sarcofago, risalente alla fine dell’VIII sec. d.C., murata sulla facciata della Cattedrale romanica di Calvi Vecchia, ci offre la testimonianza della presenza di dignitari longobardi già nel corso dell’VIII sec. d.C., oltre un secolo prima della spartizione della contea di Capua, avvenuta nell’879. Nell’849, al fine di porre fine alle varie lotte intestine per la supremazia del principato Longobardo di Benevento, fu stipulata la Divisio Ducatis con cui il Gastaldato di Capua afferiva al principato di Salerno, che si estendeva su tutta la Campania nord-occidentale, l’Alto Molise ed il Basso Lazio. Tali durissime guerre avevano solo otto anni prima, nel 841, causato, tra l’altro, l’incendio di Capua e devastato il territorio del basso Volturno, Calvi inclusa.

Nell’alta Campania longobarda esistevano nel 849 solo tre Gastaldati: Capua, Teano e Sora ma, in breve tempo, già nel 860, si arrivò ad una quindicina, allorché la contea capuana si rese indipendente dal Principato di Salerno. Tali Gastaldati, secondo la ricostruzione dello studioso Nicola Cilento, erano quelli di Sora, Atina, Pontecorvo, Isernia, Venafro, Suessula (Cancello), Sessa, Teano, Carinola, Alife, Telese, Caiazzo, Furculae e Calvi.

In relazione a Calvi longobarda, il 12 marzo 879, alla morte del vescovo-conte Landolfo II, i suoi nipoti, circa una dozzina, si divisero i Gastadati della contea e Calinium fu attribuito a Landone III, mentre il fratello Atenolfo si prodigava per la costruzione di un castello a Calvi. Tale inizio della costruzione di un castello a Calvi da parte di Atenolfo, che trasformò la città romana in un “castrum” fortificato, provocò l’irritazione di Pandonolfo, non disposto a tollerare che un Gastaldato si rafforzasse a poca distanza da Capua. Pertanto, con l’aiuto di Papa Giovanni VIII, Pandonolfo conquistò tutti gli altri Gastaldati, al fine di rafforzare se stesso. Gli mancava solo Calvi che resistette coraggiosamente e Pandonolfo dovette abbandonare l’impresa.

Riguardo all’elevazione del Gastaldato di Calvi a Contea, si ritiene che ciò sia avvenuto tra la fine del IX secolo e i primi decenni del X secolo, negli anni del principato di Atenolfo. In particolare, i contrasti tra Atenolfo e Atanasio (vescovo-duca di Napoli), per la supremazia sulla Contea di Capua, causarono, negli anni successivi, vari scontri con alterne vicende, fino alla capitolazione di Atanasio che, per ottenere la pace, fu costretto a riconsegnare ad Atenolfo vari territori della Contea che aveva precedentemente occupato. Per Atenolfo il salto qualitativo dalla signoria di un piccolo Gastaldato a quella di una grande Contea non costituiva un punto di arrivo, ma soltanto una tappa intermedia per conseguire più importanti traguardi: il principato di Benevento.

Nel gennaio del 900 giungeva felicemente al culmine il percorso politico di Atenolfo, che da Gastaldo di Calvi diventava principe dei Longobardi di Capua e Benevento. Tra la fine del decimo secolo e il secolo undicesimo si cominciano ad avere le prime notizie sui nuovi centri abitati nell’agro caleno. Così apprendiamo del borgo di Montanaro, abitato nel 986, di Sparanise nel 988, di Francolise nel 1014, Petrulo nell’XI secolo e Rocchetta nel 1091.

In relazione a Petrulo, la datazione precisa è incerta, ma la notizia è avvalorata da Camillo Pellegrino, il quale, attingendo ad un antico Chronicon medievale, che riporta notizie in merito a due nobili calvesi vissuti nell’undicesimo secolo, ci parla di una “Mathia” che fu “dignissima” badessa del monastero di Santa Maria in Capua, discendente da una nobile famiglia del “castrum Petruri”. Il nome Mathia potrebbe essere un’errata trascrizione di Maria in quanto, facendo riferimento ad una pergamena del 1049, lo storico Gennaro Morra ci informa di una convenzione stipulata tra Pandolfo ed una cugina di nome Maria, potente badessa del convento di Santa Maria in Capua.

“Mi sembra ragionevole supporre - scrive Giuseppe Carcaiso, facendo riferimento ai primi borghi dell’agro caleno - che questi piccoli agglomerati furono popolati in parte con i discendenti degli antichi Caleni dispersi sulle alture del Callicola (Monte Maggiore) ed in parte con coloni provenienti da altre regioni.”

Erchemperto e alcune pergamene stilate intorno all’anno mille ci offrono, inoltre, un’idea di massima dell’esistenza quotidiana nella contea longobarda di Calvi. Certamente, analizzando tale materiale, ci si rende conto ovviamente che siamo lontanissimi da quello che in età romana era stato il prosperoso agro caleno.

Dopo la distruzione di Cales e il suo saccheggio da parte di Alarico nel corso del V secolo d.C., sulle colline del vecchio Callicola, alcuni sparuti gruppi di abitanti erano riusciti a sopravvivere alle continue guerre barbariche che si succederono nel corso dei secoli successivi. Da tale nucleo di gruppi di abitanti vi fu gradualmente la costituzione della Calvi longobarda. Vivendo in baracche di legno ed anfratti naturali, i primi abitanti della Contea longobarda di Calvi si dedicarono ad un’economia che possiamo definire di carattere silvo-pastorale. Venivano allevati, pertanto, greggi e armenti in buona quantità, e soprattutto maiali la cui carne, come è noto, insieme al pane e al vino, fu alla base dell’alimentazione del contadino medievale. Inoltre in alcune zone pedemontane si registra la presenza di qualche campo di grano e qualche vigneto. Le coltivazioni arboree o le piante a vegetazione spontanea erano costituite soprattutto da querce, ulivi, castagne, alberi di pere, mele, fichi e sorbe.

Fu, all’incirca nell’anno mille, che iniziò a svilupparsi la cosiddetta “economia curtense” nella contea longobarda di Calvi, di cui sono esemplificative le “villae” e le “hereditates” di Roffredo a Sparanise.

Riguardo all’artigianato, Erchemperto afferma che già negli anni del X d. C. si era tornati a produrre vasi fittili e le arti della viticoltura. Tale testimonianza si rivela molto importante, in quanto, pur in quantità decisamente inferiore a quella dell’antica Cales, ci fornisce una prova che “a Calvi era rimasta qualche traccia di una grande civiltà tradizione di civiltà e di lavoro”, come scrive testualmente Giuseppe Carcaiso.

Tali condizioni generali di vita andarono, tuttavia, progressivamente migliorando sicuramente dalla metà del X secolo grazie alla benefica influenza sul territorio dei due grandi monasteri benedettini di Montecassino e di S. Vincenzo al Volturno, il cui processo di rinnovamento ebbe una ripercussione positiva nel graduale processo di rinnovamento della ”Longobardia Minore”, interessando di conseguenza anche la contea di Calvi. Allorché il miglioramento delle condizioni di vita della Calvi longobarda si mostrò sempre più incisivo dall’anno Mille, vaste estensioni di terreno vennero sottratte a paludi e boscaglie e restituite alle tradizionali colture, mentre il ripopolamento delle campagne fu favorita da una mirata ed accorta politica di insediamenti rurali che comportava l’obbligo per i coloni di risiedere sulle terre da bonificare.

E’ da rimarcare che l’insediamento dei coloni fu agevolata da nuovi tipi di contratti agrari, i cui più rinomati furono quelli di “livello” e di “pastinato”, che offrivano condizioni molto vantaggiose per i contadini. Lo storico Nicola Cilento definisce tali convenzioni di “livello” e di “pastinato”. Esse erano caratterizzate dalla loro lunga durata e dalle pattuizioni specificate dalle notevoli clausole di “terram pastenare”, ossia da bonificare, “propaginare et frugiare” o “frudiare” di “silvam infrucuosam roncare vel stirpare, di arbores, salices, poma et alia fructifera plantare”.

Parimenti si mostrava gradualmente emergente la proprietà fondiaria che rimase quasi sempre nelle mani dei signori longobardi, dei monasteri e delle chiese a cui tali signori concessero nel prosieguo molti terreni. La proprietà di considerevoli latifondi costituiva per i signori longobardi un motivo di prestigio ed anche una maniera per implementare le loro ambizioni politiche. Riguardo alle donazioni di terreni a monasteri e chiese, sono numerosi i documenti, date le controversie che spesso comportavano. A metà del X secolo siamo già in presenza di vaste dipendenze monastiche, frutto di donazioni, che, nella contea longobarda, si accompagnano ai “latifondi laici”.

Tale consistente mole di documenti recanti donazioni sono da collegare alla singolare dottrina del Millenarismo, secondo la quale la fine del mondo si sarebbe verificata nell’anno Mille e i signori longobardi, convertiti al cattolicesimo, speravano con tali atti di donazione di acquistare benemerenze nella vita ultraterrena, convinti dai più fanatici ed esaltati predicatori dell’imminente seconda venuta di Cristo.

In tal maniera, nella contea longobarda di Calvi, si consolida una stirpe dominante formata dai nobili longobardi, alleata del potere temporale della Chiesa , e una “pars vulgi” di contadini con un ordinamento sociale ben differenziato, di cui ci fornisce informazioni dettagliate lo storico del tempo Erchemperto, una fonte rilevante per conoscere lo stato della contea longobarda di Calvi in tanti suoi aspetti.

Infatti Erchemperto e alcune pergamene stilate intorno all’anno mille ci danno un’ulteriore testimonianza dell’esistenza quotidiana nella contea longobarda di Calvi. Certamente, analizzando tale materiale, ci si rende conto ovviamente che siamo lontanissimi da quello che in età romana era stato il prosperoso agro caleno. Furono, pertanto, Atenolfo e Landone III, detto il Pigro, i primi Gastaldi di Calvi, prima che essa diventasse Contea.

Quando Calvi diventerà Contea, il primo conte di Calvi sarà Aldemario, coadiuvato dal fratello Audoaldo. Possiamo rilevare, secondo le informazioni fornite a tal riguardo da Erchemperto, che tali signori di Calvi vivevano intorno al 966 ed erano consanguinei del principe di Capua Landolfo.
Ad Aldemario, conte di Calvi fino al 973, succederà Landolfo e successivamente i figli di Landolfo, Landone e Landonolfo. Tali notizie ci vengono fornite da un pergamena del 1024 stilata a Capua.
Tale pergamena ci comunica informazioni storiche riguardo a quella che lo studioso Giuseppe Carcaiso definisce “la prima famiglia di conti caleni”, che inizia con Aldemario e termina con i fratelli Landone e Landonolfo.

Le pergamene di questo periodo riguardano successioni di terreni e diritti comunque collegati ai terreni. Specificamente la pergamena del 1024 tratta della concessione di alcuni diritti di pesca sul lago di Patria al monastero di Montecassino da parte del principe capuano Pandolfo VI, e in tale contesto compaiono i nomi che abbiamo citato, ma anche quelli che succederanno negli anni successivi e comunque facenti parte della prima famiglia di conti longobardi di Calvi. Ai fratelli Landone e Landonolfo succederanno Atenolfo, Pandolfo, Guido, Adenolfo e Landenolfo fino all’anno 1023. La data d’inizio della seconda famiglia dei conti longobardi di Calvi è il 1031, secondo il Carcaiso.

In tale data ritroviamo quale conte di Calvi Landolfo, un altro nome ricorrente, ma possiamo aggiungere che aveva per moglie Madelme. Segue nel 1035 un altro conte di nome Landone, il cui nome è segnalato nei Registri dell’Archivio di Montecassino, e nel 1049 Indulfo. L’ultimo di tale seconda famiglia di conti è Pandolfo, che fu conte di Calvi e di Venafro, sposò Maria, nobildonna appartenente ad uno dei due casati longobardi di Venafro, e cedette una cospicua parte dei suoi beni all’abbazia di Montecassino, come riporta il Registrum di Pietro Diacono. In effetti donare tale rilevante parte di beni all’Abbazia nelle località di Venafro, di Teano, di Caiazzo, di Limatola, di Caserta, di Capua e solo in parte della stessa Calvi aveva una ragione.

E’ la data della pergamena, il marzo del 1064, che fa comprendere che si era in prossimità della fine del dominio dei longobardi, che stavano per cedere il potere ai Normanni. Già nel 1058 Landolfo VI, ultimo principe longobardo di Capua, era stato duramente sconfitto e deposto dai Normanni di Riccardo di Aversa. In tali anni gli altri conti longobardi erano uccisi o esiliati dai Normanni, i quali confiscavano i loro beni. Qualche conte longobardo cercò una forma di compromissione imparentandosi con i Normanni, ma erano casi rari e Paldolfo, chiamato anche Paldone, conte di Calvi e Venafro, tentò un’altra via: quella di salvare i suoi beni affidandoli all’Abbazia di Montecassino. In effetti egli donava dei beni che non possedeva più in quanto di essi si erano impossessati già i conquistatori normanni.

Vi era in quell’atto di donazione una speranza pur remota di recuperare un giorno tale patrimonio. Il passaggio dal dominio longobardo a quello normanno fu graduale. Infatti dopo che avevano preso Capua nel 1062, i Normanni stentarono ad imporsi immediatamente su tutti i distretti del principato e proprio Calvi costituisce un caso di tale graduale avvicendamento tra longobardi e i nuovi signori normanni. Nel corso di tale transizione Calvi perderà anche l’importante ruolo di Contea. Una forma di compromissione doveva aver consentito ai longobardi di essere ancora signori di Calvi, dato che ritroviamo al vertice della contea di Calvi nel 1075 Landonolfo e successivamente, nell’ultimo quarto del secolo XI Landone Scannacavallo, ambedue longobardi.

A Landone Scannacavallo seguirà colui che i documenti storici ci indicano con il semplice nome di Landone, a conferma di una possibile confusione nella genealogia, dovuta, come già accennato, a una omonimia nell’onomastica dei signori longobardi, che si confermerà anche in questo periodo.
Quest’ultimo Landone sposa Zoe e ai due figli darà due nomi normanni: Ruggero e Abner. Siamo nel periodo tra la fine del secolo XI e XII e quindi siamo in pieno periodo di transizione dalla signoria longobarda a quella normanna, di cui i nomi costituiscono, come scrive Carcaiso, un dato non strano, ma “significativo”.

La pergamena che la Mazzoleni riporta alle pagine 6 e 7 del suo studio si mostra molto interessante, in quanto costituisce una chiara evidenza che, pur essendo i due fratelli Ruggero e Abner grandi proprietari terrieri, le prerogative politiche del distretto di Calvi, non più contea, sono passate in altre mani, quelle degli emergenti normanni. La pergamena è del 1102 e tratta, come sovente, di una vendita di terreni in una località non identificabile: “infra fines Cantie, loco ubi dicitur Glamaczi”.

Tuttavia essa si dimostra preziosa proprio per le notizie relative alle prerogative di carattere politico, di cui i due fratelli sono ormai privi. Infatti nella pergamena i due fratelli si presentano in tal modo: “Nos Rocerius et Abner qui vocor Rupertus germani filii quondam Landonis qui fuit quondam Landonis comitis Calvensis qui vocabatur Scannacaballu”.

Quindi, come scrive testualmente Carcaiso, nell’analizzare la pergamena, “i due fratelli longobardi, piuttosto orgogliosamente, si dicono nipoti diretti del conte calvese Landone Scannacavallo, ma evitano accuratamente di accostare ai lori nomi il titolo comitale”. D’altronde in questo periodo è Onfredo, il cavaliere normanno imparentato con gli Altavilla ad essere il Signore del distretto di Calvi. Il nome di Unfridus de Calvi, che compare in diverse pergamene, quale “comes calvensis”, sarà il Signore di Calvi almeno fino al 1126, anno in cui una pergamena ci attesta già di terreni situati in loco Partignanu e “propre locum qui dicitur Pignari” e confinanti con un altro terreno che si trova “finis terra ecclesiae Sancti Georgii

Angelo Martino

 

Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, ed. G. Waitz, in MGH Ss. Rer. Lang. et Ital., Hannoverae 1978

Pietro Diacono - Registrum di Pietro Diacono - commentario di Mariano dell’Omo - 2000

Jole Mazzoleni - Le pergamene di Capua - 1960

Giuseppe Carcaiso - Calvi e l’Alta Campania - 1996

 

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