SOCIETÀ DI FAMIGLIA COLPITE DA INTERDITTIVE ANTIMAFIA PER RAPPORTI D’AFFARI CON IL “CLAN DEI CASALESI” (FAZIONE ZAGARIA): IL TAR DEL LAZIO RESPINGE IL RICORSO DELL’EX GIUDICE DI PACE DI PIGNATARO MAGGIORE, DOTTORESSA VITTORIA FARZATI

Calvirisortanews, 10 agosto 2015

Descrizione: Calvi Risorta- Pignataro Maggiore: Società di famiglia colpite da interdittive antimafia per rapporti d’affari con il “clan dei casalesi” (fazione Zagaria): il Tar del Lazio respinge il ricorso dell’ex Giudice di Pace di Pignataro Maggiore, dottoressa Vittoria Farzati

 

 

 

 

 

Calvi Risorta- Pignataro Maggiore: Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), con sentenza numero 10700/2015 depositata in segreteria in data 5 agosto2015, harespinto il ricorso con il quale la dottoressa Vittoria Farzati aveva chiesto l’annullamento sia del decreto del Ministero della Giustizia del 26 agosto 2014 con il quale la ricorrente era stata destituita dall’incarico di Giudice di Pace con funzioni di coordinatore nella sede di Pignataro Maggiore sia della precedente, relativa delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 23 luglio 2014.

Trovano quindi una ulteriore, significativa conferma le accuse contenute in una lunga e complessa inchiesta giornalistica del blog di giornalismo investigativo “Pignataro Maggiore News” curato da Davide De Stavola, che è anche direttore del sito di informazione www.caleno24ore.it. Inchiesta giornalistica esclusiva nella quale era emerso che le società di famiglia della dottoressa Vittoria Farzati (che amministrava la giustizia civile e penale quale coordinatore dell’Ufficio del Giudice di Pace di Pignataro Maggiore, famigerata città tristemente conosciuta come “Svizzera dei clan”) erano state colpite da interdittiva antimafia per trascorsi rapporti societari (per sintomatici affari nei settori della cave e dei rifiuti) con Vincenzo Abbate, un soggetto legato al “clan dei casalesi”, fazione Michele Zagaria.

Pubblichiamo in coda a questo nostro articolo la citata sentenza del Tar dove si fa esplicito riferimento alla “risonanza sociale” dell’inchiesta giornalistica che aveva sollevato il “caso Farzati” e all’esposto di “un giornalista” che è, come è noto, il collaboratore di “Pignataro Maggiore News” Enzo Palmesano, professionista molto conosciuto anche perché vittima di reato di tipo mafioso. Oltre ai colleghi qui citati che hanno fatto un lavoro eccellente investigativo giornalistico, anche questa redazione di www.calvirisortanews.it diretta dall’editore Vito Taffuri, si è interessato in passato al Caso Farzati, e alle attività imprenditoriali della famiglia Iorio.


Farzati-sentenza-Tar-Lazio

N. 10700/2015 REG.PROV.COLL.
N. 13212/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13212 del 2014, proposto da:
Vittoria Farzati, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Cristina Lenoci, presso lo
studio del quale elettivamente domicilia in Roma, via Emanuele Gianturco, n.1;
contro
Ministero della giustizia, Consiglio Superiore della Magistratura, rappresentati e
difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano in
Roma, via dei Portoghesi, n.12;
per l'annullamento
del decreto del Ministero della giustizia 26 agosto 2014 con il quale la ricorrente è
stata revocata dell'incarico di giudice di pace con funzioni di coordinatore nella
sede di Pignataro Maggiore, e della sottostante delibera del Consiglio Superiore
della Magistratura 23 luglio 2014.
Visto il ricorso;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato plesso amministrativo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 4 giugno 2015 il cons. Anna Bottiglieri e uditi
per le parti i difensori come da relativo verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso all’odierno esame è proposta azione impugnatoria avverso il decreto
del Ministero della giustizia 26 agosto 2014 e la presupposta deliberazione del
Consiglio Superiore della Magistratura 23 luglio 2014, che hanno irrogato alla
ricorrente, giudice di pace con funzioni di coordinatore nella sede di Pignataro
Maggiore (circondario di Santa Maria Capua Vetere), la sanzione della revoca
dall’incarico.
Premette in fatto la ricorrente:
- di essere professionista assai stimata a livello locale, incensurata, e di aver svolto
sempre impeccabilmente le proprie funzioni di coordinatrice dell’Ufficio del
giudice di pace di cui sopra;
- di essere stata destinataria di un esposto di un giornalista che ha denunciato la sua
asserita vicinanza ad ambienti criminali, quale socia della Cales Ambiente s.r.l. e
responsabile tecnico de La Vittoria s.r.l., società amministrate dai figli, colpite da
informativa antimafia, in quanto collegate alla Casetana Recuperi s.r.l., anch’essa di
proprietà della famiglia e pure sanzionata con la stessa misura dal 2009, perché
sospettata di permeabilità mafiosa;
- che, per l’effetto, il Presidente della Corte di Appello di Napoli avviava un
procedimento disciplinare nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 9, comma 4, della l.
374/91 e dell’art. 17, commi 1 e 5, del D.P.R. 198/2000, proponendo la sanzione
della revoca dall’incarico, ritenendo che le suddette circostanze, unitamente al
rapporto di coniugio con soggetto in passato condannato per truffa e bancarotta
fraudolenta, nonché il clamore e la risonanza sociale dell’inchiesta giornalistica di
cui sopra, avessero fatto venir meno i requisiti soggettivi costituiti dalla capacità di
assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio, le funzioni di
magistrato onorario, prescritti dall’art. 5, comma 3, della l. 374/91;
- che il Consiglio Giudiziario competente, all’esito dell’audizione dell’incolpata,
deliberava all’unanimità di esprimere parere favorevole all’archiviazione del
procedimento, non rilevando coinvolgimenti della ricorrente nelle vicende della
società della sua famiglia;
- che il Consiglio Superiore della Magistratura, valutando in senso decisivo i
rapporti di parentela di cui sopra, ritenuto comportamento compromissivo della
credibilità e del decoro del magistrato, anche onorario, sovvertiva tale deliberato,
ritenendo il venir meno in capo alla ricorrente dei requisiti di cui all’art. 5, comma
3, della l. 374/91, per un triplice ordine di circostanze: la vigenza della carica della
ricorrente quale responsabile tecnico di una società oggetto di misura interdittiva;
l’irrilevanza delle difese prodotte dall’incolpata; l’irrilevanza della circostanza che
precedenti vicende sorte a seguito di esposti si sono concluse positivamente per il
magistrato;
- che per tutte le informazioni prefettizie ai danni delle predette società pendono
ricorsi innanzi al giudice amministrativo e istanze di aggiornamento dinanzi
all’UTG casertano.
Nel predetto contesto, la ricorrente lamenta come il giudizio di disvalore espresso
ai suoi danni sia ascrivibile unicamente ai propri rapporti parentali, ovvero a un
mero e ineliminabile dato di fatto che non potrebbe mai essere equiparato a una
“condotta” causativa del venir meno dei requisiti morali di cui sopra, e alla figura
da lei rivestita nell’ambito delle predette società, illegittimamente colpite dalla
misura interdittiva, ovvero a circostanze non riconducibili a un illecito disciplinare,
vieppiù in assenza di qualsiasi provata incidenza di entrambi tali elementi nello
svolgimento delle funzioni giudiziarie.
In diritto, la ricorrente deduce le seguenti censure:
1) Violazione di legge – Violazione del principio di buona amministrazione e di
affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di cui agli artt. 3 e 97 Cost. –
Violazione, mancata ed errata applicazione degli artt. 1 e 3 della l. 241/90 e s.m.i.
Violazione, mancata ed errata applicazione degli artt. 5, comma 3, e 9, comma 3,
della l. 374/91 e s.m.i. – Eccesso di potere per erronea presupposizione in punto
di fatto e diritto, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione,
illogicità, contraddittorietà, perplessità, ingiustizia manifesta – Sviamento.
La revoca sarebbe stata disposta in carenza di qualsiasi riscontro oggettivo, quanto
meno indiziario, all’esito di un’istruttoria fortemente lacunosa e con motivazioni
tautologiche e assertive.
I fatti addebitati alla ricorrente non integrerebbero alcun tipo di condotta e non
costituirebbero pertanto un addebito.
Non sarebbe stato riscontrata in alcun modo né l’incapacità della ricorrente di
svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico né la presenza di
mancanze effettive.
Le mere circostanze di cui sopra, in violazione del principio della tipicità
dell’illecito e della responsabilità personale, e in assenza di qualsiasi prova delle
conseguenza prodotte sull’attività giudiziaria, sarebbero state indebitamente
equiparate dal CSM ad una condotta disciplinarmente rilevante.
Il CSM avrebbe completamente trascurato le opposte conclusioni raggiunte dal
Consiglio Giudiziario, le quali, anche se non vincolanti, quale esito di un
apprezzamento proveniente da un organo a diretto contatto con la realtà locale,
avrebbero dovuto essere tenute in debita considerazione.
2) Violazione di legge – Violazione del principio di buona amministrazione e di
affidamento del cittadino nell’azione della p.a. di cui agli artt. 3 e 97 Cost. –
Violazione, mancata ed errata applicazione degli artt. 1 e 3 della l. 241/90 e s.m.i.
Violazione, mancata ed errata applicazione degli artt. 5, comma 3, e 9, comma 3,
della l. 374/91 e s.m.i. – Eccesso di potere per erronea presupposizione in punto
di fatto e diritto, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione,
illogicità, contraddittorietà, perplessità, ingiustizia manifesta – Sviamento – Altri
profili.
Fermo quanto sopra, la revoca risulterebbe adottata sulla scorta di pseudo-addebiti
totalmente privi di fondamento.
La ricorrente non ricoprirebbe più alcun incarico in seno alle compagini societarie
di cui sopra (Cales Ambiente s.r.l. e La Vittoria s.r.l.), dal febbraio 2014, e non
avrebbe comunque mai influito sulla gestione delle predette imprese, stante
l’esclusiva spettanza dei relativi poteri all’amministratore unico.
La partecipazione della ricorrente nelle stesse società avrebbe avuto valenza
esclusivamente formale.
Nella insussistenza di una norma che vieta l’assunzione di cariche sociali all’interno
di imprese operanti nell’ambito territoriale di competenza, non vi sarebbe prova
delle interferenze tra l’attività delle società e l’attività svolta dalla ricorrente (sfere
peraltro “incomunicabili”), di talchè la sua indipendenza non avrebbe potuto
essere messa in discussione.
La prognosi infiltrativa formulata nei confronti della Casertana Recuperi s.r.l.,
basata esclusivamente sulla presenza nella compagine sociale di un soggetto
arrestato per reati a scopo associativo, immediatamente estromesso, e poi
riverberatasi sulla Cales Ambiente s.r.l. e sulla La Vittoria s.r.l., in forza delle
rilevate cointeressenze societarie, non avrebbe potuto ritorcersi contro la
ricorrente, stante l’immediata dimissione della medesima dalle cariche rivestite in
queste ultime.
Le predette misure interdittive sarebbero inoltre sub iudice e fonderebbero su
assunti inconsistenti, da cui ulteriormente l’inconfigurabilità di qualsivoglia
addebito a carico della ricorrente.
Parimenti sarebbe a dirsi, infine, per le condanne penali del coniuge della
ricorrente, da tempo espiate.
Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico degli atti gravati, parte
ricorrente ne ha domandato l’annullamento.
Costituitosi in giudizio, l’intimato plesso amministrativo ha concluso per la
reiezione del ricorso, di cui ha illustrato l’infondatezza.
Con ordinanza 21 novembre 2014, n. 5914, la Sezione ha respinto la domanda di
sospensione interinale dell’esecuzione degli atti gravati, incidentalmente formulata
in ricorso.
Con ordinanza 19 dicembre 2014, n. 5817, il Consiglio di Stato, IV, ravvisata la
sussistenza delle condizioni di cui all’art. 55, comma 10, c.p.a., ha accolto l’appello
proposto dall’interessata avverso la statuizione cautelare di prime cure, ai soli fini
della celere fissazione della trattazione del merito della controversia.
Nel prosieguo, la ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie
argomentazioni difensive e la confutazione delle deduzioni della parte resistente.
La controversia è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 4
giugno 2015.
DIRITTO
1. Si controverte in ordine alla legittimità degli atti e mezzo dei quali è stata inflitta
alla ricorrente, giudice di pace con funzioni di coordinatore nella sede di Pignataro
Maggiore (circondario di Santa Maria Capua Vetere), la sanzione della revoca
dall’incarico.
3. Non appare superfluo illustrare sinteticamente il quadro normativo di
riferimento della controversia.
L’art. 5 della legge 21 novembre 1991, n. 374, recante l’istituzione del giudice di
pace, individua ai commi 1 e 2 i requisiti necessari per la nomina.
Una volta accertato il positivo possesso di tali requisiti (che vanno dunque intesi
come soglia di ammissibilità per poter essere sottoposti a valutazione per la
nomina a giudice di pace), il comma 3 dello stesso art. 5 stabilisce che la
designazione deve cadere “su persone capaci di assolvere degnamente, per
indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale,
le funzioni di magistrato onorario”.
Il possesso dei requisiti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 5 della legge n. 374 del 1991
costituisce, pertanto, l’elemento di ammissione alla valutazione effettuata dal
Consiglio Superiore della Magistratura, onde giungere alla nomina, valutazione che
riceve dal legislatore criteri di indirizzo dell’esercizio del potere discrezionale di cui
l’Organo di autogoverno è titolare.
Quest’ultimo, dovrà in particolare individuare, tra tutti i soggetti da considerarsi ai
fini della nomina, coloro che appaiono in grado di assolvere degnamente le
funzioni di magistrato onorario, sia per “indipendenza, equilibrio e prestigio
acquisito”, sia per “esperienza giuridica e culturale”.
L’art. 9, comma 3, della stessa legge n. 374 del 1991 stabilisce a sua volta che “Nei
confronti del giudice di pace possono essere disposti l'ammonimento, la censura,
o, nei casi più gravi, la revoca se non è in grado di svolgere diligentemente e
proficuamente il proprio incarico ovvero in caso di comportamento negligente o
scorretto”.
Il relativo procedimento è tipizzato dal successivo comma 4, e prevede che il
presidente della Corte d'Appello propone una delle predette sanzioni disciplinari al
Consiglio Giudiziario, integrato ai sensi del comma 2 dell'articolo 4, nonché da un
rappresentante dei giudici di pace del distretto, il quale, sentito l'interessato e
verificata la fondatezza della proposta, trasmette gli atti al Consiglio Superiore della
Magistratura affinché provveda al riguardo.
La norma stabilisce infine al comma 5 che la sanzione disciplinare è adottata con
decreto del Ministro della giustizia.
I profili procedurali inerenti la sequenza degli atti suscettibili di condurre
all'adozione di una delle determinazioni sanzionatorie come sopra introdotte dalla
legge 374/1991 sono ulteriormente dettagliati dall' art. 17 del D.P.R. 10 giugno
2000, n. 198 (Regolamento recante norme di coordinamento e di attuazione del
capo I della legge 24 novembre 1999, n. 468, concernente il giudice di pace), che
stabilisce che:
- "il Presidente della Corte d'Appello che abbia notizia non manifestamente
infondata di fatti costituenti causa di decadenza, di dispensa o di sanzioni
disciplinari indicate ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 9 della legge, con esclusione delle
ipotesi di dimissioni volontarie, entro quindici giorni, contesta, per iscritto, il fatto
al giudice di pace interessato" (comma 1);
- "ogni notizia concernente fatti di cui al comma 1 è iscritta immediatamente, a
cura del Presidente della Corte d'Appello, in apposito registro con indicazione
degli estremi di essa e del giudice alla quale si riferisce" (comma 2);
- "la contestazione deve indicare, succintamente, i fatti suscettibili di determinare
l'adozione dei provvedimenti indicati al comma 1, le fonti da cui le notizie dei fatti
sono tratte e l'avvertimento che, entro il termine di quindici giorni dal ricevimento
dell'atto, l'interessato può presentare memorie e documenti o indicare circostanze
sulle quali richiede indagini o testimonianze" (comma 3);
- "il Presidente della Corte d'Appello, anche all'esito degli accertamenti" previsti
dal comma 4 "se la notizia non si è rivelata infondata, entro quarantacinque giorni
decorrenti dall'iscrizione della notizia di cui al comma 1 nell'apposito registro,
trasmette, con le sue proposte, gli atti al Consiglio Giudiziario per le
determinazioni di cui al comma 4 dell'art. 9 della legge" (comma 5);
- "il segretario del Consiglio Giudiziario notifica tempestivamente all'interessato il
giorno, l'ora ed il luogo fissati per la deliberazione, avvertendolo che ha facoltà di
prendere visione degli atti relativi alla notizia che ha occasionato il procedimento e
degli eventuali accertamenti svolti. L'interessato è avvertito, altresì, che potrà
comparire personalmente, che potrà essere assistito da un difensore appartenente
all'ordine giudiziario e che se non si presenterà senza addurre un legittimo
impedimento si procederà in sua assenza. La data fissata per la deliberazione deve
essere notificata almeno dieci giorni prima del giorno fissato" (comma 6);
- "il Consiglio Giudiziario delibera la proposta entro tre mesi decorrenti
dall'iscrizione della notizia di cui al comma 1 nell'apposito registro" (comma 8);
- "decorso un anno dall'iscrizione di cui al comma 2 senza che sia stato emesso il
decreto di cui all'art. 9, comma 5, della legge il procedimento, con il consenso
dell'interessato, si estingue” (comma 9).
3. Esaurita la ricognizione delle norme di riferimento della materia, va rammentato
che il sindacato sugli atti adottati dall’Organo di autogoverno della magistratura, i
quali rivestono carattere ampiamente discrezionale, è configurabile da parte del
giudice della legittimità solo sotto il profilo dell’accertamento di illegittimità
consistenti in un palese travisamento dei presupposti di fatto ovvero di diritto.
In particolare, nel caso specifico dei giudici di pace, la legge, come visto, assegna al
CSM una valutazione che non è limitata all’accertamento di requisiti formali, ma è
volta a verificare le stesse capacità dell’aspirante, il suo grado di indipendenza e
prestigio e la sua preparazione professionale.
Il reclutamento dei questi magistrati onorari, infatti, non è preceduto da prove
concorsuali, e ciò consiglia l’adozione di criteri di scelta dal contenuto più esteso.
La valutazione del CSM in tale materia si configura indi come valutazione di
merito e pertanto, se essa è sindacabile sotto il profilo della congruità e
ragionevolezza della motivazione, va tuttavia osservato come spetti esclusivamente
al Consiglio la valutazione, in concreto, circa l’attitudine di determinati fatti o
accadimenti ad incidere – o meno – sulle capacità del giudice onorario.
4. Tanto preliminarmente osservato quanto alla latitudine del discrezionale
apprezzamento rimesso al Consiglio e alla riveniente estensione della sindacabilità
degli atti in materia assunti da quest’ultimo, va escluso che il gravato atto
deliberativo – il cui contenuto è poi refluito nel pure impugnato decreto
ministeriale di revoca – evidenzi i profili di illegittimità denunciati dalla ricorrente.
5. La ricorrente sollecita la rivisitazione giudiziale della valutazione critica resa dal
CSM sulla propria posizione, senza peraltro prospettare alcun elemento contrario
alle acquisizioni istruttorie del relativo procedimento sanzionatorio.
Si ritiene pertanto necessario provvedere al riepilogo delle contestazioni delle quali
la ricorrente è stata riconosciuta colpevole.
Dall’avviso di incolpazione del 6 novembre 2013 del Presidente della Corte di
Appello di Napoli, facente seguito all’esposto formulato da un giornalista e alle
conseguenti risultanze istruttorie, emerge quale prospettazione in fatto:
- il collegamento tra la società Casertana Recuperi s.r.l., oggetto di interdittiva
antimafia della Prefettura di Caserta n. 1068/12.b/16/ANTAREA I del 28
settembre 2009, la Cales Ambiente s.r.l. e la Vittoria s.r.l., tutte operanti nel settore
dei rifiuti e a vario titolo appartenenti alla famiglia della ricorrente;
- che i due figli della ricorrente avevano sottoscritto in maniera paritaria l’intero
capitale sociale iniziale della Casertana Recuperi, costituita nel 2003, con
assunzione della carica di amministratore unico, sin dalla sua costituzione e a
tempo indeterminato, in capo a uno di essi;
- che l’interdittiva antimafia a carico della Casertana Recuperi ebbe origine da un
giudizio di permeabilità mafiosa articolato in una nota informativa del Comando
Provinciale Carabinieri di Caserta, che evidenziava: come il coniuge della ricorrente
e padre convivente dell'amministratore unico della società fosse gravato da
precedenti di polizia per associazione a delinquere, truffa, reati finanziari, furto e
ricettazione; come altro socio fondatore fosse risultato destinatario di un’ordinanza
di custodia cautelare in carcere per il delitto di associazione di stampo mafioso e di
altro provvedimento che aveva riguardato anche capi e affiliati al clan camorristico
denominato "dei casalesi"; come quest’'ultimo, dopo il suo arresto avvenuto nel
2006, avesse ceduto le proprie quote alla sorella del socio, figlia della ricorrente,
con un'operazione che, secondo l’autorità inquirente, seguita dall'interdittiva
antimafia, avrebbe costituito un espediente per aggirare o eludere la normativa
antimafia. Tale prospettazione l’avviso in discorso ha tratto dalla sentenza Tar
Campania n. 27989/2010, confermata in appello con ordinanza C. Stato n.
1492/201, di rigetto del ricorso proposto avverso l’interdittiva stessa;
- che la Cales Ambiente, costituita nel 2012, con capitale sociale iniziale
sottoscritto dalla figlia della ricorrente e maggioritariamente dalla ricorrente stessa,
era stata destinataria da parte della Provincia di Caserta, sempre nel 2012, della
"voltura" della precedente iscrizione disposta nel Registro Provinciale in favore
della Casertana Recuperi, in virtù di contratto di comodato stipulato con
quest’ultima;
- che la stessa ricorrente era iscritta nell’Albo Nazionale Gestori Ambientali, quale
responsabile tecnico de La Vittoria, società costituita nel 1995 con capitale sociale
pure sottoscritto dai figli della ricorrente, uno dei quali rivestente la carica di
amministratore;
- che la ricorrente era stata fatta oggetto di altri esposti di analogo contenuto,
nonché di reiterate inchieste giornalistiche.
Non appare poi superfluo rilevare come emerga dalla stessa prospettazione
ricorsuale che anche le società Cales Ambiente e La Vittoria risultino dal 2014
colpite da interdittiva antimafia, in quanto collegate alla Casertana Recuperi.
6. Tanto premesso, può passarsi all’esame delle censure ricorsuali.
7. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente afferma che la revoca sarebbe stata
disposta in carenza di qualsiasi riscontro oggettivo, quanto meno indiziario,
all’esito di un’istruttoria fortemente lacunosa e con motivazioni tautologiche e
assertive.
Sostiene in particolare la ricorrente, per un verso, che i fatti a lei addebitati non
potrebbero essere ascritti al novero degli addebiti disciplinari, perché, quale mere
relazioni parentali, non integrerebbero alcun tipo di condotta, stante il principio
della responsabilità personale, nonché stante la loro atipicità; per altro verso la
ricorrente evidenzia che non sarebbe stata riscontrata in alcun modo né l’incapacità
della ricorrente di svolgere diligentemente e proficuamente il proprio incarico né la
presenza di effettive mancanze.
Le predette argomentazioni non colgono nel segno.
7.1. Nella vicenda in esame vengono infatti in primario rilievo i doveri derivanti in
se dall’esercizio delle funzioni giudiziarie, e tra essi, il dovere di terzietà ex art. 111
Cost., correlato ai valori di autonomia e di indipendenza del magistrato.
Questi ultimi, come rammenta il Giudice delle leggi, non possono essere riferiti al
solo esercizio della funzione giudiziaria, atteso che la salvaguardia
dell’indipendenza e dell’imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, e i correlati
divieti imposti al magistrato, si correlano a un dovere di imparzialità che coinvolge
anche il suo operare da semplice cittadino, e attengono a ogni momento della sua
vita professionale, anche quando egli sia stato, temporaneamente, collocato fuori
ruolo per lo svolgimento di un compito tecnico (Corte Cost., 17 settembre 2009, n.
224).
Ne deriva che, come rilevato nella gravata delibera, i magistrati onorari, come i
magistrati ordinari, sono tenuti anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni a
evitare ogni comportamento che possa compromettere la credibilità, il prestigio e il
decoro personale o il prestigio dell'istituzione giudiziaria.
Alla luce dei predetti canoni ermeneutici, va escluso che la valutazione espressa
dall’Organo di autogoverno possa ritenersi inficiata dai vizi dedotti nella censura in
esame.
Si è al cospetto, infatti, di un ragionamento concludente, che ha condotto il CSM ,
sulla base delle esposte premesse, a orientare il potere determinativo a esso
spettante verso l’irrogazione di una sanzione espulsiva, rispetto alla quale sono
state indicate le specifiche ragioni, tenendo anche conto del diverso avviso
espresso dal Consiglio Giudiziario.
Né il relativo iter argomentativo appare, alla luce dei pure indicati profili di
sindacabilità giurisdizionale, assoggettabile alle censure formulate dalla ricorrente,
anche considerando che la maggior parte di esse involvono in considerazioni che il
CSM, anche in sede di confutazione delle giustificazioni a discolpa presentate
dall’interessata, risulta per tabulas aver ponderatamente approfondito e apprezzato
nella gravata delibera, pervenendo a conclusioni coerenti con i presupposti
considerati e scevri da mende fattuali, giuridiche o logiche.
In particolare, è agevole osservare come non possa essere posto in dubbio che il
CSM, nell’esercizio della discrezionalità solo a esso spettante (art. 9, legge 21
novembre 1991, n. 374), abbia adeguatamente rappresentato le ragioni in forza del
quale ha ravvisato l’univoca idoneità della vicenda complessivamente considerata a
integrare la presenza di elementi suscettibili di arrecare nocumento all’esercizio
delle funzioni giurisdizionali onorarie, elemento quest’ultimo che consente anche
di escludere che vi possa essere stata una carenza di proporzionalità tra addebito e
sanzione.
In particolare, il CSM ha espressamente rilevato come gli atti del procedimento, ivi
compresi le difese svolte dall’interessata, confermassero tutti gli elementi di fatto
posti a fondamento della contestazione disciplinare.
Nel predetto contesto, ha poi messo in luce come le complessive condizioni di
fatto relative ai familiari della ricorrente, e l'indubbio clamore e notorietà che gli
stessi hanno generato, ovvero le indagini giornalistiche, abbiano determinato il
venir meno dei requisiti previsti dall’art. 5, comma 3, della legge n. 374 del 1991,
secondo cui la nomina del giudice di pace deve cadere su persone capaci di
assolvere degnamente per indipendenza, equilibrio e prestigio le funzioni di
magistrato onorario.
Il CSM ha al riguardo osservato come le stesse gravi circostanze coinvolgessero
non solo il coniuge, prima, e i figli, poi, della ricorrente, ma lo stesso magistrato
onorario, che risultava, alla data della delibera, “responsabile tecnico di una società
oggetto di misura interdittiva antimafia, allo stato confermata, operante nel
medesimo territorio in cui esercita le funzioni di Giudice di Pace (coordinatore)”.
Ciò che ha ritenuto nel complesso – del tutto condivisibilmente – non poter non
assumere rilievo sotto il profilo della perdita di indipendenza e della evidente
compromissione della credibilità e del prestigio personale e dell’istituzione
giudiziaria.
Quanto, poi, alle difese procedimentali addotte dall’incolpata, le stesse non sono
state reputate suscettibili di elidere l'incidenza e la rilevanza disciplinare, in quanto
le stesse si sono limitate a negare un coinvolgimento reale della ricorrente nella
gestione societaria, pur ammettendosi l’aiuto prestato alla figlia per la costituzione
della Cales nel 2012, all’illustrazione delle vicende giudiziarie del coniuge, a
riportare il clamore sociale di tali eventi in un ristretto ambito locale.
Non rilevante è stata infine ritenuta la circostanza dei precedenti esiti, positivi per
il magistrato onorario, delle vicende sorte a seguito degli esposti indirizzati al
Ministro della Giustizia e al Procuratore della Repubblica, rilevandosi dal CSM
come gli stessi nulla aggiungessero alla ricostruzione degli eventi e al giudizio di
rilevanza disciplinare, perché relativi a profili di valutazione diversi e non
necessariamente incidenti sull' aspetto disciplinare.
Conclusioni, anche queste ultime, che non offrono il destro ad alcuna censura di
legittimità
7.2. Con altro profilo dello stesso primo motivo la ricorrente si duole che il CSM
abbia trascurato le opposte conclusioni raggiunte dal Consiglio Giudiziario, che
aveva deliberato all’unanimità di esprimere parere favorevole all’archiviazione del
procedimento.
Anche tale censura non persuade.
La stessa ricorrente rammenta che nel procedimento in esame il parere del
Consiglio giudiziario non assume valore vincolante.
Invero, sulla base delle sopra riportate disposizioni normative (art. 9, comma 4,
della legge n. 374 del 1991; art. 17 del D.P.R. n. 198 del 2000), al Consiglio
Giudiziario non è rimessa la formulazione di una sorta di proposta vincolante,
attenendo le competenze dei Consigli Giudiziari tipicamente ed esclusivamente a
mere funzioni istruttorie e consultive, insuscettibili di incidere sulla autonomia di
determinazione del Consiglio Superiore della Magistratura (di recente, Tar Lazio,
Roma, I, 2 dicembre 2013, n. 10352).
Non v’è dubbio, quindi, che legittimamente il Consiglio Superiore della
Magistratura abbia deliberato nella fattispecie l’irrogazione della sanzione della
revoca all’odierna ricorrente pur in presenza di una contraria determinazione del
Consiglio Giudiziario, che è stata del resto puntualmente richiamata quale
indefettibile passaggio endoprocedimentale, ancorchè non seguita, spettando solo
al primo il potere valutativo dei fatti e determinativo della sanzione, nella specie
esercitato, come detto, mediante una compiuta motivazione delle ragioni che
hanno indotto a rinvenire nella vicenda tutti gli elementi posti a fondamento della
contestazione operata dal Presidente della Corte di Appello di Napoli e a
confutare, invece, la proposta di archiviazione.
7.3. Per le suesposte considerazioni, il primo motivo di ricorso deve essere
respinto.
8. Stessa sorte segue il secondo motivo.
Invero:
- si è visto appena sopra che gli addebiti rivolti alla ricorrente non possono
ritenersi privi di fondamento;
- non rileva che la ricorrente non ricopra più alcun incarico in seno alle compagini
societarie Cales Ambiente s.r.l. e La Vittoria s.r.l. dal febbraio 2014, perché
circostanza inidonea a incidere sul clamore ormai suscitato dalla vicenda e sulla
conseguente compromissione della credibilità e del prestigio personale
dell’interessata;
- la ricorrente non può essere seguita nel tentativo di illustrare la sua partecipazione
alle società in parola quale meramente formale, dovendosi, quanto meno, tener
conto del suo ruolo di responsabile tecnico nell’ambito de La Vittoria;
- quanto alla mancata prova delle interferenze tra l’attività delle società e l’attività
svolta dalla ricorrente, può farsi utilmente ricorso a quanto affermato nell’atto di
contestazione del Presidente della Corte di Appello di Napoli, che ha rilevato
sostanzialmente come il normale e corretto esercizio della funzione giurisdizionale
presupponga quell’autorevolezza e credibilità derivante alla figura del magistrato
non solo dall’assenza di ogni ombra, sospetto o diffidenza, ma anche dall’evidenza
di una siffatta condizione;
- infine, deve rimarcarsi la totale estraneità del tema relativo alla legittimità delle
misure interdittive subite dalle società di cui trattasi, questione rimessa
esclusivamente alle sedi giudiziali indicate dalla stessa ricorrente, presso cui
pendono le relative azioni impugnatorie.
8. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.
Condanna la parte ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore della parte
resistente, nella misura complessiva pari a € 2.000,00 (euro duemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore
Fabio Mattei, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/08/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

Visita www.CalviRisorta.com