Area ex Pozzi: si scopre una discarica e la colpa è dei giornalisti. L’intervista di Pietro Nardiello a Salvatore Minieri sul caso di Calvi e sull’informazione

Caleno24ore, 15 luglio 2015

Pietro Nardiello

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La discarica illegale dell’area ex Pozzi ritorna di attualità grazie all’intervista realizzata da Pietro Nardiello per www.iconfronti.it, al giornalista Salvatore Minieri. Ve la riproponiamo anche perché lo scrittore porta all’attenzione di tutti molti nervi scoperti dell’informazione in Terra di Lavoro:    

Minieri, allora cosa succede a Calvi Risorta?

Succede che, come avevamo preconizzato anni fa noi operatori della stampa, è venuta fuori una discarica di proporzioni agghiaccianti: circa 25 ettari. Si parla del più grande sito di sversamento illegale di rifiuti speciali e industriali d’Europa, una storia che mette i brividi solo a parlarne.

Ma come è potuto accadere?

È successo tutto molto in fretta ma, purtroppo, è tutto passato sotto silenzio per i primi mesi dopo la nostra scoperta.

Come mai?

Perché è difficile, in questa terra, soprattutto in questa provincia abitata da gruppi e associazioni in maglietta “anticamorra”, far venir fuori l’inchiesta vera, quella fatta con sacrificio e senza padroni. Ma tant’è. Abbiamo trovato già nella scorsa primavera, insieme al cameraman Tony De Angelis e all’editore Vito Taffuri, le prime tracce di superficie della discarica, confrontando vecchie foto aeree della zona con alcune immagini catturate da un drone.  Al posto della bellissima vallata che si vedeva delle foto degli anni ’60, abbiamo trovato delle collinette anomale con una vegetazione disomogenea e dal colore non proprio naturale. Dopo poco, abbiamo inoltrato tutto agli organi di controllo ed ecco il risultato. Quarant’anni di silenzio, soprattutto giornalistico, squarciati da una semplice ripresa con un drone. Sembra impossibile, ma qui funziona così: tutti sapevano, ma nessuno ha mai denunciato. Un atteggiamento vile e omertoso che ormai sembra essere la cifra dei nostri territori.

I media nazionali hanno riferito che tutta l’indagine condotta dalla Forestale nasce grazie alla denuncia di due giornalisti locali. Vuol dire che il giornalismo gode di ottima salute, nonostante i pochi soldi che guadagnano, oppure che nessuna menzione meritano coloro che si trovano in terre di frontiera?

No, per niente. Questa è solo un’eccezione di un modo di fare giornalismo che, invece, dovrebbe rappresentare la normalità quotidiana. Qui, trovare una discarica o individuare un grave reato ambientale dovrebbe essere cosa normale, direi quasi pratica professionale consuetudinaria. Invece è l’esatto contrario: qui la stampa dorme sonni beati e, nelle ultime settimane, ha iniziato addirittura un’operazione di discredito nei confronti di chi fa davvero inchiesta e informazione senza padroni. Dico da mesi che in provincia di Caserta esiste un terzo livello, una sorta di cerchio magico, ben protetto e alimentato dal mondo associazionistico e da una certa cerchia che fa della lotta alla camorra un mero slogan per la maglietta da indossare alle manifestazioni. Viviamo una realtà ipocrita e pericolosa.

Cosa intende per pericolosa?

Qui, chi dovrebbe davvero tutelare i giornalisti che si espongono a grossi rischi personali, passa anni interi a denigrare quelle stesse persone. Io, insieme ad altri due colleghi (giornalisti che hanno ricevuto come me delle certificate e non presunte minacce camorristiche) siamo al centro di un cordone sanitario, imposto proprio da questo terzo livello. Cercano di svilire l’intensità delle nostre inchieste o, peggio ancora, di diffondere cicalecci per macchiare la nostra credibilità professionale. Qualche anno fa, sono stato persino querelato da un membro di queste associazioni. La querela è stata archiviata, perché ritenuta del tutto infondata e, soprattutto, la magistratura ha valutato come “corretta, puntuale e non offensiva” la mia notizia. Nessun giornale ne ha parlato. Perché?

Perché secondo lei?

Semplice: molte delle redazioni locali sono “presidiate” proprio dagli attivisti di questi cerchi magici. Così la notizia viene occultata o fatta sparire del tutto. Come possiamo sconfiggere la camorra, se i primi nostri nemici sono persone che vengono sdoganate per paladini (a chiacchiere e spaghettate) della lotta alle consorterie criminali? Due anni fa, la presentazione di un mio documentario sull’ecosistema costiero devastato dall’imprenditoria deviata è saltata perché, mi venne riferito, alcuni rappresentanti di quelle associazioni non gradivano la mia presenza. E gli organizzatori avevano addirittura già pubblicato manifesti e materiale pubblicitario dell’evento. Che ne dite, vi sembra un ambiente capace di sconfiggere la camorra? Questa provincia è ormai una pantomima ipocrita che ogni giorno appare sui giornali.

Tanti titoloni, aperture dei maggiori TG, approfondimenti. Ma come e perché è avvenuto tutto questo?

Perché qui fa notizia solo la devastazione ambientale. Ma a trovarla siamo rimasti in pochi. Mettersi contro i cartelli ecomafiosi è psicologicamente sfibrante, perché sai che da un momento all’altro arriverà qualcosa o qualcuno a farti pagare il tuo impegno professionale contro chi ha sversato tonnellate di rifiuti e provocato l’aumento vertiginoso dei tumori nella nostra terra. Tutto questo è avvenuto per un semplice e raggelante motivo: tutti sapevano e nessuno ha mai parlato.

Perché?

Per paura, per non complicarsi una vita che qui, tra mille coperture e segreti inconfessabili, prosegue nel torpore civile più impressionante. Titoloni, è vero, ma soprattutto damnatio memoriae nei nostri confronti, che, nel bene e nel male, lavoriamo per smascherare quella discarica da almeno 5 anni. Invece di fare corpo sociale unico per reclamare i diritti di una terra stuprata da quattro decenni, qualcuno ha preferito ingaggiare la corsa infantile a chi rubava per primo i meriti della scoperta definitiva sulla ex Pozzi. Non c’è nulla da fare: questa è una terra storicamente condannata a non saper prendere le armi pacifiche del dissenso politico e culturale per combattere. Pensate alle manifestazioni e ai tanti incontri istituzionali tenutisi sull’argomento ex Pozzi: scarsa partecipazione popolare. La gente qui va solo alle sagre estive e poi viene a piangere da noi giornalisti quando si ritrova con il malato di cancro in casa.

Allora cosa manca a queste popolazioni?

Credo manchi una sensibilizzazione strutturata e piena sulla materia. Siamo degli ignorantissimi abitanti di una landa che, forse proprio per la nostra ignoranza, viene usata come pattumiera tossica da tutti. Per non parlare dei sindaci, degli amministratori e della stessa Commissione bicamerale sulle Ecomafie che è venuta in visita a Calvi Risorta la mattina dello scorso 8 luglio. Io li paragono tutti alla storiella dell’asino di Buridano che non sapendo cosa fare prima, bere o mangiare, morì d’inedia. Ecco, la classe dirigente non sa se parlare di pericolosità o votarsi a un negazionismo disinvolto, imposto dalle varie sedi di partito. Nel frattempo, però, siamo noi a morire di tumore.

Cerchiamo di ragionare. Le industrie interrano scarti di lavorazione industriale, questo per abbattere alcuni costi. Allora siamo in presenza di un’evasione fiscale? Perché non si fa chiarezza su questo punto?

Ma certo che si intombano i rifiuti per evadere il fisco. Altrimenti, quale ragione avrebbero gli industriali per rendere le aree a ridosso delle loro aziende delle vere bombe chimico-ecologiche? Sì, alla Pozzi si sversano abusivamente rifiuti speciali e industriali almeno dalla fine degli anni Sessanta, sicuramente dalla metà del decennio successivo perché già nel 1978, la dirigenza Pozzi venne multata per aver abbandonato rifiuti in un’area dove si registrò l’intossicazione di alcuni operai, intenti a raccogliere le pesche. Ma non tutti sanno che il polo industriale Pozzi, uno dei più grandi d’Italia, l’unico che produceva vernici, solventi e ceramiche (le linee aziendali che richiedono un massivo uso d’acqua) non ha mai avuto un depuratore. Mai nessuno ne ha parlato. E allora, la grande pantomima di chi oggi fa finta di sorprendersi, mi fa sorridere ancor più. Ci sono amministratori, addirittura associazioni ambientaliste che non sapevano nulla sull’assenza di un sistema di depurazione delle mefitiche acque industriali della Pozzi-Ginori-Iplave. C’è gente che non conosce nemmeno la primaria caratterizzazione dei rifiuti trovati nelle fosse di 11 metri a Calvi Risorta, ma poi – in rete o sui social network – scrive comunicati politici per non far allarmare la popolazione. Roba da film di Vanzina.

Poi c’è anche la camorra

Certo, qui è venuta a sversare la camorra, ma qualcuno e una certa parte politica vogliono negarlo, in maniera anche molto sospetta. E’ normale che questa sia la discarica più importante in termini di evasione fiscale, perché qui veniva a scaricare veleni una fetta amplissima di aziende sotto il controllo della ecocamorra degli anni ’70/’80/’90 e delle nuove ecomafie (anche straniere) dal 1998 al 2011/2012. Intombavano qui, perché qui la camorra aveva creato le fosse con i tappi in cemento: tutto visibile a occhio nudo, ma negato in conferenza stampa dal presidente della commissione bicamerale sulle ecomafie, Alessandro Bratti che non crede alla cointeressenza dei Casalesi nella gestione della discarica abusiva più grande d’Europa. Capite bene che siamo al paradosso più sorprendente: la camorra ha gestito tutte le discariche abusive d’Italia, ma secondo qualcuno non si sarebbe accorta di quella più grande d’Europa a Calvi, quella dove si sversavano rifiuti industriali, così da evadere tutti i costi di smaltimento. Siamo davvero alle favole rinascimentali.

Qual è la situazione attuale, come si sta procedendo?

Si procede con una navigazione di piccolo, piccolissimo cabotaggio, con procedure lente e, difficile a credersi, con dubbi seri sulla bonifica dei 25 ettari di discarica. Le ruspe dell’Esercito Italiano sono rimaste ferme per oltre una settimana perché ci sono state lungaggini nel rinnovo delle convenzioni per i mezzi. Insomma, poche idee e anche confuse, da quel che sembra. La partecipazione popolare alle manifestazioni di protesta è davvero scarsa e – come se non bastasse -  a peggiorare il quadro, ci sono bandiere politiche che cercano di mettere il cappello su quei pochissimi passi avanti fatti dalle comunità e non certo dalle sezioni di partito. Siamo messi davvero male, soprattutto se pensiamo che molte delle parti coinvolte non si sono scagliate contro chi ha versato veleni tumorali nella discarica di Calvi Risorta, ma contro i giornalisti che l’hanno trovata quella maledetta discarica. E’ la foto di questo posto: stare zitti per 40 anni e poi, quando la bolla esplode, prendersela con i giornalisti.

 

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