La decapitazione dei ribelli senatori capuani nel Foro di Cales

Comune di Pignataro, 16 giugno 2015

Angelo Martino

La decapitazione dei  ribelli senatori capuani nel Foro di Cales

Dopo la nota vittoria dei Cartaginesi a Canne il 2 agosto 216 a.C., cambiò il sistema di alleanze e la città di Capua, un tempo alleata di Roma, come altre città stato, si schierò con Cartagine. Data l’importanza della città, i Romani accusarono duramente tale defezione di Capua, la quale portò sulle sue posizioni Atella, Calatia, Trebula Balliense e Telesia. Caiatia, Teano, Cales e Nola rimasero città fedeli ai Romani.

Nel 215 a.C anche Casilinum fu conquistata e si trovò dalla parte dei Cartaginesi, sottratta ai Romani dopo un lungo assedio.
Difesa da una guarnigione di 2000 Campani e 700 Cartaginesi, Capua fu riconquistata nel 212 a.C, dopo un prolungato assedio, dagli eserciti romani stanziati a Cales e a Nola, comandati rispettivamente dai consoli Fabio Massimo e Marcello, mentre Annibale si trovava a Taranto. Annibale corse in aiuto di Capua solo nella primavera dell’anno successivo e, attraversando il Volturno, compì una devastazione del territorio di Cales, ma né la forza né l’astuzia consentirono questa volta ad Annibale di riconquistare Capua.

La punizione inflitta dai Romani alla città ribelle di Capua fu estremamente dura e sanguinosa. Venne soppressa, in primo luogo, ogni forma di costituzione municipale e la maggior parte degli abitanti fu confinata in località più o meno lontane, in relazione al ruolo avuto nella ribellione. A Capua rimasero solo i contadini e i liberti perché Roma voleva che diventasse solo un luogo di raccolta e commercio dei prodotti agricoli.

Riguardo alla punizione dei senatori, essa si rivelò terribile e implacabilmente severa, e il nobile Vibio Virro con altri 27 senatori preferì darsi la morte con il veleno nella tragica vigilia della resa piuttosto che cadere vivo nelle mani dei Romani, come ci riferisce Tito Livio. Gli altri 53 senatori capuani furono decapitati a Teano e Cales. Il racconto di tale vendetta è comunicato con un pathos avvincente e con dovizia di particolari da Tito Livio, in relazione alle decapitazioni dei senatori prigionieri, giustiziati nel Foro di Cales.

Tito Livio scrive: “Venticinque senatori furono mandati alle prigioni di Cales, ventotto a Teano”. I venticinque senatori capuani furono incatenati ai pali e frustrati, ma, proprio nei momenti precedenti la loro decapitazione con la scure nel Foro di Cales davanti a una folla numerosa, “giunse in gran fretta un cavaliere da Roma, e consegnò a Fulvio una lettera del pretore Caio Calpurnio e un decreto del Senato. Si pensò che vi fossero novità importanti da Roma e che la questione potesse essere rinviata al Senato. “Allora Fulvio Flacco, pensando anch’egli che fosse così, cacciatosi in seno senza scioglierlo il plico ricevuto, ordinò al battitore che facesse dal lettore eseguire la legge. Così anche quelli che erano a Cales furono suppliziati”
Intuito ciò, Taurea Vibellio, capuano, chiamò per nome Fulvio e gli si fece avanti, dicendo: Anche me uccidere, sì che tu possa vantare di aver ucciso un uomo ben più valoroso di te […] Fulvio Flacco rispose di trovarsi di fronte un uomo che aveva perso la ragione e allora Vibellio gridò: “Dal momento che, dopo aver perduto la patria e i parenti e gli amici, e dopo che io stesso con le mie mani ho ucciso mia moglie e i miei figli perché non patissero oltraggio, non mi è data la facoltà di morire con codesti miei cittadini, si cerchi nel coraggio la liberazione da questa vita odiosa”. Così Vibellio si suicidò con un “ferro che aveva nascosto nella veste”.

Come riferisce lo stesso Tito Livio, altri sostengono che in effetti “Flacco lesse il decreto senatorio prima del supplizio, ma, poiché nel decreto si aggiungeva che, se gli pareva opportuno, rimettesse tutta la faccenda al Senato, egli interpretò la frase nel senso che a lui si lasciava il giudizio di ciò ch’egli riteneva più utile verso lo Stato. Così furono messi a morte i ribelli e notabili senatori di Capua e “quasi trecento furono gettati in carcere; altri, dati in custodia a città di soci latini, perirono per vari accidenti; un altro gran numero di cittadini furono venduti come schiavi”.

Bibliografia

Tito Livio - Ab Urbe condita - Libro XXVI - 14, 15, 16

Giuseppe Carcaiso - Storia dell’antica Cales – Acerra - 1980

 

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