LA CALVI LONGOBARDA NELLA GRANDE STORIA MEDIEVALE DELL’ALTA CAMPANIA

Comune di Pignataro, 14 maggio 2015

Angelo Martino

LA CALVI LONGOBARDA NELLA GRANDE STORIA MEDIEVALE DELL’ALTA CAMPANIA

Dopo il crollo dell’Impero romano, Cales, l’antica città degli Ausoni, non aveva cessato di esistere, ma, pur tra stenti e devastazioni, ridotta a qualche migliaio di abitanti arroccati alla meglio sulla vecchia arce, Calvi aveva dimostrato di saper resistere e sopravvivere.

Una lastra di sarcofago, risalente alla fine dell’VIII sec. d.C., murata sulla facciata della Cattedrale romanica di Calvi Vecchia, ci offre la testimonianza della presenza di dignitari longobardi già nel corso dell’VIII sec. d.C., oltre un secolo prima della spartizione della contea di Capua, avvenuta nell’879. Nell’ 849, al fine di porre fine alle varie lotte intestine per la supremazia del principato Longobardo di Benevento, fu stipulata la Divisio Ducatis con cui il Gastaldato di Capua afferiva al principato di Salerno, che si estendeva su tutta la Campania nord-occidentale, l’Alto Molise ed il Basso Lazio. Tali durissime guerre avevano solo otto anni prima, nel 841, causato, tra l’altro, l’incendio di Capua e devastato il territorio del basso Volturno, Calvi inclusa.

Nell’alta Campania longobarda esistevano nel 849 solo tre Gastaldati: Capua, Teano, ma in breve tempo, già nel 860, si arrivò ad una quindicina, allorché la contea capuana si rese indipendente dal Principato di Salerno. Tali Gastaldati, secondo la ricostruzione dello studioso Nicola Cilento, erano quelli di Sora, Atina, Pontecorvo, Isernia, Venafro, Suessula (Cancello), Sessa, Teano, Carinola, Alife, Telese, Caiazzo, Furculae e Calvi.

In relazione a Calvi longobarda, il 12 marzo 879, alla morte del vescovo-conte Landolfo II, i suoi nipoti, circa una dozzina, si divisero i Gastaldati della contea e Calinium fu attribuito a Landone III, mentre il fratello Atenolfo si prodigava per la costruzione di un castello a Calvi. Tale inizio della costruzione di un castello a Calvi da parte di Atenolfo, che trasformò la città romana in un castrum fortificato, provocò l’irritazione di Pandonolfo, non disposto a tollerare che un Gastaldato si rafforzasse a poca distanza da Capua. Pertanto, con l’aiuto di Papa Giovanni VIII, Pandonolfo conquistò tutti gli altri Gastaldati, al fine di rafforzare stesso. Gli mancava solo Calvi che resistette coraggiosamente e Pandonolfo dovette abbandonare l’impresa.

Riguardo all’elevazione del Gastaldato di Calvi a Contea, si ritiene che ciò sia avvenuto tra la fine del IX secolo e i primi decenni del X secolo, negli anni del principato di Atenolfo.

In particolare, i contrasti tra Atenolfo e Atanasio (vescovo-duca di Napoli), per la supremazia sulla Contea di Capua, causarono, negli anni successivi, vari scontri con alterne vicende, fino alla capitolazione di Atanasio che, per ottenere la pace, fu costretto a riconsegnare ad Atenolfo vari territori della Contea che aveva precedentemente occupato. Per Atenolfo il salto qualitativo dalla signoria di un piccolo Gastaldato a quella di una grande Contea non costituiva un punto di arrivo, ma soltanto una tappa intermedia per conseguire più importanti traguardi: il principato di Benevento. Nel gennaio del 900 giungeva felicemente al culmine il percorso politico di Atenolfo, che da Gastaldo di Calvi diventava principe dei Longobardi di Capua e Benevento.

Tra la fine del decimo secolo e il secolo undicesimo, si cominciano ad avere le prime notizie sui nuovi centri abitati nell’agro caleno. Così apprendiamo del borgo di Montanaro abitato nel 986, di Sparanise nel 988, di Francolise nel 1014, Petrulo nell’XI secolo e Rocchetta nel 1091. In relazione a Petrulo, la datazione precisa è incerta, ma la notizia è avvalorata da Camillo Pellegrino, il quale, attingendo ad un antico Chronicon medievale, che riporta notizie in merito a due nobili calvesi vissuti nell’undicesimo secolo, ci parla di una “Mathia” che fu “dignissima” badessa del monastero di Santa Maria in Capua, discendente da una nobile famiglia del “castrum Petruri”. Il nome Mathia potrebbe essere un’errata trascrizione di Maria in quanto, facendo riferimento ad una pergamena del 1049, lo storico Gennaro Morra ci informa di una convenzione stipulata tra Pandolfo ed una cugina di nome Maria, potente badessa del convento di Santa Maria in Capua.

“Mi sembra ragionevole supporre - scrive Giuseppe Carcaiso, facendo riferimento ai primi borghi dell’agro caleno - che questi piccoli agglomerati furono popolati in parte con i discendenti degli antichi Caleni dispersi sulle alture del Callicola (Monte Maggiore) ed in parte con coloni provenienti da altre regioni.”

Erchemperto e alcune pergamene stilate intorno all’anno mille ci offrono, inoltre, un’idea di massima dell’esistenza quotidiana nella contea longobarda di Calvi. Certamente, analizzando tale materiale, ci si rende conto ovviamente che siamo lontanissimi da quello che in età romana era stato il prosperoso agro caleno. Dopo la distruzione di Cales e il suo saccheggio da parte di Alarico nel corso del V secolo d.C., sulle colline del vecchio Callicola, alcuni sparuti gruppi di abitanti erano riusciti a sopravvivere alle continue guerre barbariche che si succederono nel corso dei secoli successivi. Da tale nucleo di gruppi di abitanti vi fu gradualmente la costituzione della Calvi longobarda.

Vivendo in baracche di legno ed anfratti naturali, i primi abitanti della Contea longobarda di Calvi si dedicarono ad un’economia che possiamo definire di carattere silvo-pastorale. Venivano allevati, pertanto, greggi e armenti in buona quantità e soprattutto maiali la cui carne, come è noto, insieme al pane e al vino, fu alla base dell’alimentazione del contadino medievale. Inoltre in alcune zone pedemontane si registra la presenza di qualche campo di grano e qualche vigneto. Le coltivazioni arboree o le piante a vegetazione spontanea erano costituite soprattutto da querce, ulivi, castagne, alberi di pere, mele, fichi e sorbe.

Fu, all’incirca nell’anno mille, che iniziò a svilupparsi la cosiddetta “economia curtense” nella contea longobarda di Calvi, di cui sono esemplificative le “villae” e le “hereditates” di Roffredo a Sparanise.

Riguardo all’artigianato, Erchemperto afferma che già negli anni del X d.C. si era tornati a produrre vasi fittili e le arti della viticoltura. Tale testimonianza si rivela molto importante, in quanto, pur in quantità decisamente inferiore a quella dell’antica Cales, ci fornisce una prova che “a Calvi era rimasta qualche traccia di una grande civiltà tradizione di civiltà e di lavoro”, come scrive testualmente Giuseppe Carcaiso.

Tali condizioni generali di vita andarono, tuttavia, progressivamente migliorando sicuramente dalla metà del X secolo grazie alla benefica influenza sul territorio dei due grandi monasteri benedettini di Montecassino e di S. Vincenzo al Volturno, il cui processo di rinnovamento ebbe una ripercussione positiva nel graduale processo di rinnovamento della “Longobardia Minore”, interessando di conseguenza anche la contea di Calvi. Allorché il miglioramento delle condizioni di vita della Calvi longobarda si mostrò sempre più incisivo dall’anno Mille, vaste estensioni di terreno vennero sottratte a paludi e boscaglie e restituite alle tradizionali colture, mentre il ripopolamento delle campagne fu favorita da una mirata ed accorta politica di insediamenti rurali che comportava l’obbligo per i coloni di risiedere sulle terre da bonificare.

E’ da rimarcare che l’insediamento dei coloni fu agevolata da nuovi tipi di contratti agrari, i cui più rinomati furono quelli di “livello” e di “pastinato”, che offrivano condizioni molto vantaggiose per i contadini. Lo storico Nicola Cilento definisce tali convenzioni di “livello” e di “pastinato”. Esse erano caratterizzate dalla loro lunga durata e dalle pattuizioni specificate dalle notevoli clausole di “terram pastenare”, ossia da bonificare, “propaginare et frugiare” o “frudiare” di “silvam infrucuosam roncare vel stirpare, di arbores, salices, poma et alia fructifera plantare”.

Parimenti si mostrava gradualmente emergente la proprietà fondiaria che rimase quasi sempre nelle mani dei signori longobardi, dei monasteri e delle chiese, a cui tali signori concessero nel prosieguo molti terreni. La proprietà di considerevoli latifondi costituiva per i signori longobardi un motivo di prestigio ed anche una maniera per implementare le loro ambizioni politiche. Riguardo alle donazioni di terreni a monasteri e chiese, sono numerosi i documenti, date le controversie che spesso comportavano. A metà del X secolo siamo già in presenza di vaste dipendenze monastiche, frutto di donazioni, che, nella contea longobarda, si accompagnano ai “latifondi laici”. Tale consistente mole di documenti recanti donazioni sono da collegare alla singolare dottrina del Millenarismo, secondo la quale la fine del mondo si sarebbe verificata nell’anno Mille e i signori longobardi, convertiti al cattolicesimo, speravano con tali atti di donazione di acquistare benemerenze nella vita ultraterrena, convinti dai più fanatici ed esaltati predicatori dell’imminente seconda venuta di Cristo.

In tal maniera, nella contea longobarda di Calvi, si consolida una stirpe dominante formata dai nobili longobardi, alleata del potere temporale della Chiesa, e una “pars vulgi” di contadini con un ordinamento sociale ben differenziato, di cui ci fornisce informazioni dettagliate lo storico del tempo Erchemperto, una fonte rilevante per conoscere lo stato della contea longobarda di Calvi in tanti suoi aspetti.

Erchemperto e alcune pergamene stilate intorno all’anno mille ci danno un’ulteriore testimonianza dell’esistenza quotidiana nella contea longobarda di Calvi. Certamente, analizzando tale materiale, ci si rende conto ovviamente che siamo lontanissimi da quello che in età romana era stato il prosperoso agro caleno.

 

Bibliografia:

Giuseppe Carcaiso - Calvi e l’Alta Campania - 1996

Nicola Cilento - L’Italia meridionale longobarda - 1966

 

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