Divinità e santuari dell’Antica Cales

Comune di Pignataro, 03 maggio 2015

Angelo Martino/Giuseppe D’Auria

Divinità e santuari dell’Antica Cales

Se, nel corso della fase culturale ausone ed etrusco-sannita, l’antica Cales conobbe già una rilevante vita religiosa, attestato dal ritrovamento, in situ, di alcuni resti archeologici, quali santuari, terrecotte architettoniche nonché le diversi stipi votive e ceramiche miniaturistiche, in cui risalta il culto della Mater Matuta, abbiamo, inoltre, la testimonianza di Strabone, il quale ci comunica il culto degli abitanti di Cales per la Dea Fortuna, scrivendo che i confini tra l’Agro Caleno e quello Sidicino erano delimitati da due templi dedicati a tale divinità: […] Cales et Teanum Sidicinum quas distinguunt duae Fortunae aedes[…] Tali templi si trovavano nei pressi dell’attuale bivio di Torricelle.

In età romana gli abitanti di Cales adoravano anche Bacco ed Apollo. Riguardo a Bacco, fu rinvenuta, in occasione della grande campagna di scavi del 1858 da parte dell’archeologo Novi, una grande statura di marmo del dio del vino e della vendemmia. Lo studioso Giulio Minervini, che aiutò il Novi a studiare l’importante reperto, scrisse che la scultura di Bacco rinvenuta nel 1858, era da considerarsi la più bella opera d’arte fino ad allora venuta alla luce. In relazione al dio Apollo, la testimonianza del suo culto nell’Antica Cales è stata riscontrata dallo studioso Domenico Guidobaldi, il quale, in una nota, apparsa nel Bollettino Archeologico Italiano del giugno 1862, comunicava di aver rinvenuto” in una ricchissima favissa un donario a forma di cassettina rettangolare tenuta da una mano che sembrava un frammento di statua di terra miniata[…] la quale statua rappresentava il devoto donatore che offriva il voto al benefico Apollo, alla quale deità, vicino o sopra l’istessa favissa, così prodigiosamente ricca di cose sacre, un tempio consacratele dai Caleni…

Inoltre Guidobaldi riportava la particolarità della cassettina consistente in un’interessante iscrizione incisa su uno dei lati. Tale epigrafe era graffita in latino a caratteri arcaici e trattava di un tale Caio Inoleio, liberto di Caio, che offriva il proprio dono ad Apollo. Lo studioso Giuseppe Carcaiso ci comunica, inoltre, che “niente vieta di supporre che a Cales si adorassero anche Mercurio, Ercole, Diana ecc”, anche se degli innumerevoli e splendidi templi che una volta esistevano a Cales, ben poco o quasi niente si è salvato dalle devastazioni operate dal tempo e dall’uomo. Sia terremoti che incendi ci hanno privato di tali edifici, e i saccheggi dei barbari fecero il resto. “ Poi - scrive Carcaiso - per centinaia e centinaia di anni la città morta fu considerata una inesauribile miniera di sculture, di colonne e di marmi con i quali i signorotti e preti della regione ebbero la possibilità di abbellire gratis i loro palazzi e le chiese”.

Tuttavia tante iscrizioni ed epigrafi fanno esplicito riferimento a Giunone Lucina, a Giano come alla stessa Mater Matuta. In particolare la seguente iscrizione risulta di particolare interesse in relazione al culto dei caleni: […] GUSTALIS ORNAMENTIS VIAM. AB. ANGIPORTU A IUNONIS.LUCINAE.ET. CLIVO AB. JANU AD. GISARIOS. PORTAE STELLATINAE, ET, VIAM PATULAM AD. PORTAM.LAEVAM.ET. AB. FORO AD PORTAM. DOMESTICAM SUA.PECUNIA. STRAVIT.

Quindi apprendiamo che un ignoto Augustale caleno aveva provveduto, con proprio denaro, a far pavimentare ed ornare di statue e colonnati la via che andava dall’Angiporto di Giunone Lucina fino al tempio della dea Matuta. Allo stesso modo aveva fatto sistemare quella strada che, partendo dal Clivio, e dal tempio di Giano, si allungava fino al rione dei Cisiari di Porta Stellatina ed, ancora, la via Patula fino alla Porta Laeva e dal Foro della Porta Domestica. A proposito di queste due ultime “Porte”, Giuseppe Carcaiso sostiene: “possiamo aggiungere che sicuramente una delle due porte cittadine era situata davanti al Ponte delle Monache, all’inizio di una strada che portava verso l’Ager Falernus, mentre un’altra di esse sorgeva, infine, sul perimetro occidentale della città, a Sud del teatro”.

Quindi tante indicazioni ed informazioni che, in relazione alla religiosità degli abitanti dell’Antica Cales, ci testimoniano un ricco, vario “Pàntheon”. Lo studio più recente dell’archeologa Concetta Bonacci ci conferma che, in località San Pietro, nell’area del lato occidentale dell’abitato, presso la porta urbica dalla quale entrava la Via Latina proveniente da Teanum, era presente già dall’età arcaica, segnatamente nel VI secolo a. C., un santuario che conservava tale natura anche in epoca romana. I rinvenimenti consentono di ipotizzare che il santuario fosse dedicato a divinità femminile “con competenze nella sfera ctonia e iniziatica”, quindi divinità quali Demetra e Persefone.

L’area sacra in località San Pietro è stata oggetto di approfondite ricerche da parte di Johannowsky negli anni Sessanta del secolo scorso, durante i quali è stata rinvenuta una stipa votiva contenente un gran numero di stamnoi (1) miniaturistici che sono certamente databili al V secolo a.C.

In scavi successivi, oltre agli stamnoi, sono stati rinvenuti capitelli dorici in tufo grigio scuro e ancora in seguito antefisse arcaiche a palmetta e lastre di rivestimento architettoniche in terracotta decorate con motivi vegetali quali palmette, fiori di loto e girali. Tale santuario aveva un ruolo fondamentale, una funzione cultuale di probabile matrice iniziatica, dedicato a divinità femminili, presumibilmente Demetra e Persefone, non a caso infatti il loro culto aveva una vasta diffusione in Sicilia e nell’intera Magna Grecia. Si officiavano qui, quindi, riti iniziatici di passaggio, che caratterizzavano varie e determinanti fasi della vita dell’antico cittadino caleno.

Prima degli scavi effettuati nel corso del 1993, non si conoscevano ancora i resti del Santuario in località Circolo, posto a sud dell’Anfiteatro, durante quell’anno vennero quindi alla luce un gran numero di voti fittili, tra i quali si annoverano panieri, pani, uccelli, statue miniaturistiche di bambini in fasce e una statuetta di una madre assisa in trono che tiene al seno un bambino in fasce.

La datazione è del IV secolo a.C. “ma – scrive l’archeologa calena Concetta Bonacci – la frequentazione ha breve durata in quanto il santuario viene sostituito da strutture abitative alla fine del III secolo a.C.”. Con ogni probabilità è presumibile che il sito cultuale fosse collegato alla protezione del mondo femminile, in rapporto alla ciclo di fecondità, riproduzione, nascita.
Il Santuario in località Ponte delle Monache, ubicato nel settore sud-orientale della città, in una posizione coincidente con la confluenza dei corsi d’acqua del Rio Pezza Secca e del Rio Lanzi e in stretta prossimità ai due assi viari che collegavano la città all’Ager Falernus e a Capua.

Il luogo sacro è stato oggetto di scavi solo in epoca recente, quando sono stati rinvenuti materiali votivi che hanno determinato, con un certo margine di precisioni, la datazione dell’area sacra, che pare risalire al V secolo a.C.
Il materiale rinvenuto è costituito in prevalenza da ceramiche votive miniaturistiche con statuette di figure femminili, esemplari di figura femminile seduta in trono che allatta un bambino, teste, mezze teste, ex voto anatomici.
Risulta difficile in tal caso identificare la divinità o le divinità, a cui l’area sacra era dedicata, anche se, come sostiene Concetta Bonacci, “alcuni elementi fanno propendere per il culto di una dea madre”, forse non molto diversa dal culto agreste, e sicuramente largamente diffuso nell’area capuana, della Mater Matuta (2).

L’ipotesi finora più nota è che l’area sacra fosse infatti dedicata ad una divinità, la quale possedeva uno stretto legame con le fasi principali della vita umana: nascita, vita adulta, matrimonio, l’accettazione nella comunità e infine il passaggio più estremo, quello dalla vita alla morte. Riportare alla luce infatti i resti di costruzioni di natura cultuale ha una considerevole importanza, poiché esse ci raccontano della vita, della morte, ma soprattutto delle aspettative e delle speranze che caratterizzavano la vita di quelle persone vissute secoli addietro.

 

Note:

(1) Gli stamnoi erano contenitori per liquidi, costruiti in argilla. Vennero prodotti in Grecia sul finire del VI secolo a.C., ma fu solo alla fine del secolo successivo che ne ritroviamo la presenza in Etruria.

(2) La Mater Matuta era la dea protettrice delle nascite nella mitologia romana. Benché il suo culto fosse evidentemente di origine preromana, sappiamo che ne sorgeva un tempio, a lei dedicato, nei pressi dell’attuale Capua o nell’area di Santa Maria Capua Vetere.

 

Bibliografia:

Giuseppe Carcaiso - Storia dell’Antica Cales - Quaderni di storia e arte campana 7  - 1980

AAVV – Cales - Soprintendenza per i Beni Archeologici di Caserta e Benevento – Sparanise – 2009

Concetta Bonacci – Cales - Un’area archeologica da riscoprire – Vertigo - 2013

 

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