La professoressa Carletti si diletta nella sceneggiatura
di un pezzo di Fabrizio De Andrè
Carla Maria Carletti,
04 aprile 2015
Un po’ di tempo fa ho provato a
“sceneggiare” un bellissimo pezzo di Fabrizio De André dedicato a Gesù, e cioè
“Via della croce”.
Fabrizio ha più volte dichiarato, nelle
sue interviste, di ritenere Gesù il più grande rivoluzionario della storia.
Ispirandomi alle sue parole, ed a brani del Vangelo, ho immaginato, in tre
dialoghi, come le persone del suo tempo lo potevano vedere.
Dal momento che vi è anche un accenno alla
Cales antica e che siamo nei giorni di Pasqua, potrebbero interessare agli
utenti del tuo sito.
Premetto che non ho mai inventato dialoghi in vita
mia, ed è la prima volta, per cui tutte le osservazioni e le critiche che ci
saranno, sono ben accette.
L’INVENTORE DEL FUTURO
Due donne del popolo (Lia e Rachele) e Susanna.
Dialogo.
Per la via, due donne, popolane all’aspetto,
ne salutano un’altra che porta un largo cesto di vimini coperto da un panno.
Lia: Susanna, dove te ne vai così di buon
passo con quella sporta?
Susanna:
Ti saluto, Lia. Salve, Rachele. Sto andando sulla riva del lago. C’ è Gesù il
Galileo che sta predicando alla folla, e a quest’ora avranno fame. Porto
qualcosa da mangiare a lui e ai suoi discepoli.
Rachele: Ma non capisco: perché fai tutto questo? Tu sei
vedova, non hai figli, ti trovi una bella rendita. Goditi la vita e riposati!
Perché affannarti dietro quel galileo e i suoi compagni?
Susanna: Siete
voi che non capite, e certo, perché voi non lo conoscete. Venite dietro di me e
capirete tutto. E’ la magia della sua dolcezza, delle sue parole. Riscaldano il
cuore, così che non si andrebbe mai via... Lui non è come gli altri maestri,
gli altri rabbi. Lo sapete che stanno bene attenti a non farsi nemmeno sfiorare
da una donna, e a non rivolgere mai la parola a una di noi. Dicono che non
possono avere contatto con noi, che siamo impure...
Lia: E invece lui cosa fa?
Susanna:
Gesù ricerca la compagnia delle donne, ci parla, ci chiede pareri, tiene in
considerazione quello che diciamo. Insieme ai suoi discepoli, ci sono tante
donne che lo seguono, gli danno alloggio, provvedono all’acqua, ai cibi per
loro..
Vi racconto una cosa. L’altro giorno Gesù
era ospitato da un ricco Fariseo. Sapete cosa successe?
Rachele: No, siamo curiose, Susanna. Racconta!
Susanna: Certo
Rachele, ascolta. Una nota peccatrice della città, saputo che il Maestro era
lì, entrò di tutta corsa e si gettò ai suoi piedi. Bagnava i suoi capelli di
lacrime e li asciugava con i suoi capelli. Ed egli non la rigettò, non la
respinse. La gente intorno mormorava, tutta accigliata. Ed anche il padrone di
casa disse a mezza voce che lui non era profeta, altrimenti avrebbe saputo
quale razza di donna lo stava toccando: una peccatrice. Ma Gesù non permise che
la scacciassero, anzi la consolò e disse: “Donna, molto ti sarà perdonato, in
onore del tuo grande amore, e della tua fede”.
E questo non è niente, non mi crederete se
vi racconto che cosa è successo ieri!
Lia: Raccontaci, Susanna.
Susanna:
Ecco, alcuni Sacerdoti del Tempio, accompagnati da una folla vociante, portarono
da Gesù una adultera che stava per essere lapidata, con la scusa di voler
chiedere il suo parere. E infatti gli domandarono: “Cosa ne pensi? Tu che ne
dici?”. Gesù si mise a riflettere un attimo, poi alzò su di loro il suo sguardo
limpido e disse, semplicemente: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima
pietra contro di lei”. Ed abbassò di nuovo lo sguardo, immerso nei suoi
pensieri. Tutta la folla rimase basita, senza parole. Qualcuno provava a
raccogliere una pietra, la soppesava tra le mani per lanciarla, e poi la
metteva di nuovo a terra. Uno alla volta, se ne andarono. Quando tutti furono
andati via, egli si avvicinò alla donna e le disse: “Nessuno ti ha condannata?
Neppure io ti condanno. Và, e d’ora in avanti, non peccare più”. Nemmeno la
donna credeva alle sue orecchie, ed io pensai: “Ecco la gloria di Dio! La
giustizia è stata sublimata nella misericordia.”
Le due donne si guardano e Rachele dice:
“Ci hai convinte. Siamo proprio curiose di vedere questo Maestro, il Rabbi
venuto dalla Galilea”.
Lia: Veniamo con te, facci strada.
Susanna: Andiamo
allora, o si farà tardi.
Escono dalla scena camminando svelte.
BUIO – nuovo sfondo - Dialogo: Il Fariseo
Shimon e il Sacerdote del Tempio Zaccai
Due uomini con turbanti e larghi scialli
si incontrano sulla strada.
Zaccai, sacerdote del Tempio: Eccoti finalmente, Shimon.
Vorrei proprio sapere perché mi hai dato appuntamento in questa strada di
campagna.
Shimon,
Fariseo: Te lo spiego subito. Abbiamo un compito importante da assolvere, io e
te. Tu non c’eri l’altra sera alla riunione del Sinedrio. Tutti noi, i
Sacerdoti, gli Anziani, e gli Scribi, i Dottori della legge, eravamo riuniti a
commentare gli ultimi discorsi di quell’impostore, quel sedicente Maestro
venuto da Nazareth, quel Gesù. Venuto da Nazareth! Quando mai è uscito qualcosa
di buono da quel paesone pidocchioso?
Zaccai: Perché ? Che cos’altro ha detto?
Shimon:
Io direi, ma che cosa non ha detto? Ogni volta che pronuncia un discorso o si
presenta alla folla, non perde occasione di lanciare accuse contro di noi, ci
ricopre di ingiurie, deride i nostri precetti, che poi sono quelli di Mosé!
Zaccai: Certo lo so. Siamo tutti coperti di meraviglia per
quello che ha il coraggio di dire. Non osserva i riti di purificazione prima
dei pasti, e sostiene: “Quello che entra nella bocca non contamina l’uomo,
perché va nel ventre e poi viene espulso nella fogna! Invece, quello che esce
dalla bocca viene dal cuore e contamina l’uomo, perché dal cuore vengono
cattivi pensieri, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze e
bestemmie.” Non parliamo poi della sua empietà, di come profana il sacro giorno
del Sabato! I suoi discepoli osano nutrirsi di Sabato e non osservano il
digiuno, mentre egli non si astiene dal predicare nel santo giorno... Anzi lo
fa apposta, l’abbiamo visto più di una volta effettuare guarigioni di Sabato,
per sfidarci, e deridere i nostri precetti. E quando noi lo rimproverammo
dicendo: “Perché tu, e i tuoi discepoli, fate in giorno di Sabato quello che
non è permesso?” costui rispose sprezzante: “Il Sabato è stato fatto per l’uomo,
e non l’uomo per il Sabato.” E certo parlava di noi quando ha esclamato: “Isaia
ha ben profetizzato di voi, ipocriti, secondo quando sta scritto: “Questo
popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Essi mi rendono
un culto vano, insegnando dottrine che sono precetti umani!”
Shimon:
Certo che alludeva a noi, è sicuro! Ma almeno non apertamente! Adesso invece ha
passato ogni limite! Vuoi sapere che cosa ha detto due giorni fa? Ha detto: “Guai
a voi, Farisei, che ambite i seggi d’onore nelle sinagoghe, e d’essere salutati
nelle piazze! Guai anche a voi, dottori della legge (sì, parlava proprio di te,
Zaccai), perché imponete agli uomini dei pesi
insopportabili, mentre voi non toccate quei pesi neppure con un dito. Guai a
voi, dottori della legge, che vi siete presi la chiave della scienza: ma non
siete entrati voi e avete impedito di entrare a quelli che lo volevano fare.”
Zaccai: Basta! Non dobbiamo più sopportare. Dobbiamo
portarlo in giudizio come bestemmiatore della nostra sacra legge! Deve morire!
Sia messo a morte!
Shimon:
E’ proprio quello che abbiamo detto nel Sinedrio. Ma occorrono prove... Ed ecco
il compito che hanno affidato a noi due: seguirlo, con le orecchie ben
drizzate, ascoltare quello che dice, coglierlo in fallo sulla legge di Mosé. E denunciare questo Gesù davanti al Sinedrio,
stracciandoci le vesti e coprendoci il capo di cenere per le sue bestemmie...
Ecco, tra poco questo imbroglione verrà a blaterare ancora contro di noi, già
accorrono tanti poveri mentecatti, servi, deboli di mente, ignoranti, storpi
anche, sentire i suoi discorsi. E noi saremo tra di loro, bene attenti a quello
che dirà.
BUIO
Alcune urla: Gesù è stato arrestato! Altre
urla: Gesù è stato condannato!
Il giudeo Cleofa, seguace di Gesù e il romano Vinicio. Dialogo.
Sullo sfondo, il monte Golgota
e, su di esso, i tre pali verticali per le croci. Sono i condannati a portare
quelli orizzontali.
Entrano due uomini, uno vestito da soldato
romano, l’altro da giudeo.
Vinicio: Ehi tu, giudeo! Che cos’è questo enorme
vociare che sento da lontano? Che sta succedendo?
Cleofa: Da come sei vestito e dal tuo accento appari un
romano. Lo dovresti saper meglio di me cosa succede; oggi è giorno di
esecuzioni, e la condanna a morte sulla croce è un supplizio romano, che “voi”
avete portato qui. Dicono che a Roma c’è un colle, l’Esquilino, sempre zeppo di
croci ove si mettono a morte gli schiavi fuggiti e i ribelli. Mi hanno anche
detto che, dopo la rivolta di Spartaco, i seimila schiavi superstiti sono stati
crocifissi, a distanza di pochi metri l’uno dall’altro, lungo tutta la via
Appia, da Capua per Formia fino a Roma. Un cimitero lungo forse cento
chilometri, o forse più. E’ vero?
Vinicio: Sì, lo confermo. E li ho anche visti
quegli schiavi. Io sono Publio Vinicio, originario di Cales, una illustre città
che si trova non lontano dalla Capua che hai citato. Ma erano ladri e ribelli,
giustamente condannati. Quelli portati a morire oggi non so chi siano, ma
sicuramente si tratta di banditi da strada o di ribelli contro Roma, e questa
pena l’hanno meritata di sicuro.
Cleofa: Salve, Publio Vinicio. Il mio nome è Cleofa e faccio il muratore qui a Gerusalemme. Sono tre i
condannati. Due di essi, Tito e Dimaco, sono in
verità dei ladroni di strada, come tu dici, ma il terzo lo considero il mio
Maestro, incapace di ogni male, e non c’è motivo al mondo per cui debba morire.
Si chiama Gesù. Proprio per questo mi stavo allontanando, non voglio assistere
a quello che succederà, non resisterei nel vedere che gli fanno del male. Basta!
Vado via, di corsa!
Vinicio: Non capisco. Mi avevano detto che in
questi giorni era destinato a morire il famoso capo dei ribelli, Barabba. Come
mai non è tra i condannati?
Cleofa: Oh signore, che la vergogna cada su di noi! La folla
vociante, aizzata dai Sacerdoti nemici di Gesù, ha preteso la liberazione di
Barabba e la condanna di Gesù al suo posto!
Vinicio: Dunque un altro ribelle!
Cleofa: No, il mio Maestro non è un ribelle, non ti saprei
dire cos’è. Anzi lo so: è un rivoluzionario. E’ un creativo che inventa il
futuro. Dopo quello che egli ci ha insegnato, il mondo non sarà più
quello di prima. Tra poco il mondo sarà trasformato. Non sarà più legge di
natura lo sterminio dei nemici, la distruzione di città, la riduzione in
schiavitù dei vinti. Non sarà più legge di natura la morte data per
divertimento, come nei vostri circhi, la tracotanza dei potenti, l’umiliazione
di chi ha meno fortuna. Il Maestro ci ha insegnato che siamo tutti figli dello
stesso Padre, che ognuno è fratello del suo prossimo, che dobbiamo considerare
gli altri esseri come parte di noi stessi. Non esistono Giudei e Romani,
dominatori e schiavi, donne e uomini: siamo tutti fratelli, tutti uguali, tutti
col diritto di essere liberi. Liberi anche di vincere il male che, comunque, è
dentro di noi. Soltanto così potremo chiamarci esseri umani e non belve. Anche
nella tua Roma ben presto lo sapranno!
♫ VIA DELLA CROCE
Poterti smembrare
coi denti e le mani,
sapere i tuoi occhi
bevuti dai cani,
di morire in croce
puoi essere grato
a un brav'uomo di
nome Pilato.
Ben più della morte
che oggi ti vuole
t'uccide il veleno
di queste parole,
le voci dei padri
di quei neonati,
da Erode, per te
trucidati.
Nel lugubre scherno
degli abiti nuovi
misurano a gocce il
dolore che provi.
Trent'anni hanno
atteso, col fegato in mano,
i rantoli d'un
ciarlatano.
Si muovono curve,
le vedove in testa,
per loro non è un
pomeriggio di festa;
si serran le vesti sugli occhi e sul cuore
ma filtra dai veli
il dolore:
fedeli umiliate da
un credo inumano
che le volle
schiave già prima di Abramo,
con riconoscenza
ora soffron la pena
di chi perdonò a
Maddalena,
di chi con un gesto
soltanto fraterno
una nuova
indulgenza insegnò al padreterno,
e guardano in alto,
trafitti dal sole,
gli spasimi d'un
redentore.
Confusi alla folla
ti seguono muti,
sgomenti, al
pensiero che tu li saluti:
A redimere il
mondo, gli serve pensare,
il tuo sangue può
certo bastare.
La semineranno per
mare e per terra
tra boschi e città
la tua buona novella,
ma questo domani,
con fede migliore,
stasera è più forte
il terrore.
Nessuno di loro ti
grida un addio
per essere scoperto
cugino di Dio:
gli apostoli han
chiuso le gole alla voce,
fratello che
sanguini in croce.
Han volti distesi,
già inclini al perdono,
ormai che han
veduto il tuo sangue di uomo
fregiarti le membra
di rivoli viola,
incapace di nuocere
ancora.
Il potere, vestito
d'umana sembianza,
ormai ti considera
morto abbastanza
e già volge lo
sguardo a spiar le intenzioni
degli umili, degli
straccioni.
Ma gli occhi dei
poveri piangono altrove,
non sono venuti a
esibire un dolore
che alla via della
croce ha proibito l'ingresso
a chi ti ama come
se stesso.
Son pallidi al
volto, scavati al torace,
non hanno la faccia
di chi si compiace
dei gesti che ormai
ti propone il dolore
eppure hanno un
posto d'onore.
Non hanno negli
occhi scintille di pena,
non sono stupiti a
vederti la schiena
piegata dal legno
che a stento trascini,
eppure ti stanno
vicini.
Perdonali se non ti
lasciano solo,
se sanno morire
sulla croce anche loro,
a piangerli sotto
non han che le madri,
in fondo, son solo
due ladri.
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