L’Anfiteatro di Cales nello scritto di Mons. Zurlo del 1792

Comune di Pignataro, 04 aprile 2015

Angelo Martino

L’Anfiteatro di Cales nello scritto di Mons. Zurlo del 1792

L’Anfiteatro di Cales si trova in territorio quasi inaccessibile e con visibilità quasi nulla per una delle principali testimonianze dell’Antica Cales in età romana, la cui costruzione risale al I secolo a. C.

Ripetendo lo schema tipico degli antichi municipi romani, anche l’Anfiteatro di Cales fu costruito in una posizione che lo storico Giuseppe Carcaiso definisce “piuttosto eccentrica” in quanto la sua localizzazione è alla periferia della nord-orientale della città fortifica, quasi sul ciglio del burrone che affacciava sul Rio dei Lanzi.

La datazione della sua costruzione è ascrivibile al primo secolo a. C., quindi nello stesso periodo in cui fu costruito quello di Pompei con il quale l’Anfiteatro di Cales doveva avere diverse analogie. La tecnica di costruzione è quella dello scavo del terreno tufaceo e parzialmente a terrapieno artificiale. Alle gradinate inferiori, i cui posti erano riservati alle autorità municipali e agli ospiti di riguardo, secondo consuetudine, si accedeva dal pianterreno attraverso appositi corridoi. Ai piani superiori, invece, si arrivava salendo dalle scale esterne. La cavea era costituita, originariamente, da gradinate per il pubblico che partecipava ai giochi gladiatori (venationes) e da portali monumentali di accesso all’arena, ornati da semicolonne in laterizio, affiancati da porte minori in opera reticolata.

Secondo lo studioso Johannowsky, la costruzione dell’Anfiteatro di Cales fu “ampliata in età flavia o più tardi”. L’anfiteatro si trovava, quindi, in località Circulo oppure Circo all’interno della città, nella sua parte alta ad Est del Cardo Maximus, in posizione periferica a breve distanza dai cigli del fossato del Rio dei Lanzi, a ridosso di una probabile porta urbica. Attualmente il monumento si presenta come una vasta e profonda conca ellittica, quasi senza più mutature, depressa rispetto al piano di campagna. La misura è di m. 87,20. Le dimensioni degli assi dell’intero monumento, di m. 110 per 72, sono state calcolate facilmente perché sul settore Nord ed Est si conservano in situ i resti delle semicolonne in laterizio che ornavano i lati dei portali di ingresso all’ambulacro esterno. L’arena, che giace ad un livello sottoposto di circa m. 7 rispetto al piano di campagna attuale, e la cavea, che oggi si presenta come una di terreno vergine compatto, mostrano che il luogo per gli spettacoli ottenuto scavando una vasta conca, in modo da poggiare le gradinate in declivio artificiale.

Di esso si occupò Mons. Giuseppe Maria Capece Zurlo, che fu vescovo di Calvi dal 1756 al 1782. Mons. Zurlo volle subito chiarire che il nome dato al terreno non aveva alcun collegamento con il Circo tipico rinomato presso i Romani, ma si trattasse di un Anfiteatro dalla forma “ovata” e non “rotonda” “L’anfiteatro che esiste - scrive Mons. Zurlo - è di forma ovata come sono quasi tutti quelli che dagli antichi furono eretti e da noi diroccati”. A tal riguardo Mons. Zurlo rimprovera “all’ingordo colono” il non rispetto per tali preziose testimonianze storiche dell’Antica Cales, prima di darci le notizie in suo possesso.

Ricordiamo che Mons. Capece Zurlo scriveva tali osservazioni nel 1792: “Si osservano ancora perfettamente i sedili e questi come in somiglianti edifizi si scorge sono in tre parti, cioé nell’ima, nella media e nella somma egregiamente divisi. L’ima, in cui sedevano personaggi d’alto maneggio, era di fabbrica più che magnifica che non erano le altre e, se tra queste si scorge ancora qualche piccola differenza nel lavoro non deve cercar meraviglia sapendosi molto bene che la parte media era in maggior pregio che non era la somma. Inoltre Mons. Zurlo scriveva che nel 1792 si potevano osservare due delle porte “aditus”, ricordando che in passato esse era adornate da due bellissime statue, quella una nobile donna cinta d’arco e faretra che teneva sotto i piedi un animale, che da alcuni era considerato un leone e da altri un cane, riconducibile alla dea diana, e quella di Marte.

Infatti - scrive testualmente Mons. Zurlo - “ambedue erano negli anfiteatri con maggior culto adorati; mentre la dea Diana presedeva come gli antichi credevano a quella ludica caccia che con le fiere negli anfiteatri facevansi, il guerriero Marte presedeva alla pugna de’ gladiatori che ivi pur anco attaccavasi. A tal riguardo Zurlo teneva a precisare che nell’anfiteatro dell’Antica Cales si ricorreva sicuramente alle bestie feroci nel combattimento, dato che “dappresso alla fabbrica vi era ancora il catabulo ove queste fiere si tenevano serrate, anzi mi asseriscono persone degne di fede di aver ritrovato qui dappresso certi sotterranei per li quali si stima che fusse andata l’acqua alle fiere che stavano nel catubulo chiuse”.

Mons. Zurlo riferisce infine di conoscere che nell’anfiteatro dell’Antica Cales erano allora ben visibili diversi frantumi di mosaico che adornavano i sedili dei magistrati maggiori.

 

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