Comune di Pignataro, 26 marzo
2015
Angelo Martino
Vi
sono due documenti importanti, rilevanti che ci danno la dimostrazione di cosa
pensavano i Comuni di Calvi e di Sparanise riguardo
alla passata dinastia reale borbonica. Si tratta di lettere rinvenute da Paolo Mesolella, che ci comunicano i sentimenti delle due
cittadine per la “tirannia sofferta per 70 anni”, come scrisse il sindaco di Sparanise Annibale Ranucci il 23
dicembre 1860 a nome dell’intero consiglio comunale.
Siamo, quindi,
pochi mesi precedente l’Unità e quindi, sentendosi liberi di poter comunicare
il proprio pensiero, i sindaci di Calvi e di Sparanise,
a nome dei rispettivi consigli comunali, chiedono giustizia per i torti subìti
a Vittorio Emanuele.
Il sindaco di Calvi Demetrio Zona scriverà nello stesso mese di dicembre, dopo
il sindaco di Sparanise. Si potrebbe pensare al
trasformismo tipico degli italiani, pronti a scendere da un carro e salire sul
carro dei vincitori, ma in tal caso la prepotenza e gli abusi subìti, per usare
gli stessi termini del sindaco Annibale Ranucci,
c’erano stati e sono documentati. Soprattutto il sindaco di Calvi Demetrio Zona
ci tiene a rimarcare in che stato di miseria e malcostume si trovava il paese
sotto il reale governo borbonico.
La Real Casa Borbonica era succeduta nell’affitto del Demanio
di Calvi al barone Luigi Zona nel 1772. Il contratto durò fino al 18 ottobre
1779, protraendosi per ulteriori dieci anni. Sia Carlo di Borbone che il figlio
Ferdinando IV intrapresero una graduale opera d’usurpazione del Demanio di Calvi,
tanto che Ferdinando IV arrivò a costituire un maggiorato per i suoi due figli.
Con Decreto Regio del 12 gennaio 1832, il Demanio caleno fu poi affidato in una
parte al settimogenito figlio di Ferdinando IV,
Gaetano Maria Federico, conte di Girgenti, e per
l’altra al Conte di Castrogiovanni. I comuni di Calvi
e di Sparanise furono dunque spogliati del loro
Demanio con due atti che costituirono inaccettabili soprusi.
Con il primo
atto, datato 1791, Ferdinando IV, nonostante il voto contrario delle due
Università, da affittatore aveva preteso di diventare
“enfiteuta” (l’enfiteusi è un diritto reale su un fondo altrui che attribuisce
al titolare “enfiteuta” gli stessi diritti che avrebbe il proprietario, “concedente”
sui frutti, sul tesoro e sulle utilizzazioni del sottosuolo). Il secondo atto,
datato 1832, rappresentò una vera e propria appropriazione indebita nel momento
in cui Ferdinando II, pur sapendo che i demani comunali erano da considerare
inalienabili, costituì un maggiorato per i suoi figli.
Il Demanio di
Calvi divenne prevalentemente un sito di caccia, destinato al solo divertimento
dei Borbone, che vi costruirono un Casino Reale con il pianterreno destinato ai
contadini, mentre il primo piano era riservato all’abitazione del Re e dei
cortigiani. Nel testo Per Calvi e Sparanise contro
Demanio e Casa Reale, pubblicato nel 1888 da Francesco Saverio Correra e Domenico Di Roberto, si ripercorre tutta la
storia dei tentativi dei due comuni di contrastare gli atti di sopruso da parte
della Real Casa Borbonica. In relazione al contratto
del 1791, gli avvocati Correra e De Roberto
evidenziano che “il re, quando contratta, è un privato e non un sovrano, è
soggetto di conseguenza a tutti i vincoli e alle norme di legge”.
Dopo la caduta
del regno borbonico, in data 23 dicembre 1860, il Sindaco Annibale Ranucci scrive a Vittorio Emanuele: L’anno 1860, il giorno
23 dicembre nella camera decurionale di Sparanise, riunitosi il decurionato nel numero di membri
prescritti dalla legge, sotto la presidenza del sindaco Signor Annibale Ranucci ed in persona dei decurioni D. Giulio Ricca, D.
Ambrogio Leardi, D. Carlo Leardi, D. Girolamo Rossone,
D. Carlo Mesolella, D. Tommaso Compagnone, D. Pietro Fusco, D. Luigi Grande, D. Gaetano Ricca, ad oggetto di
delibera della devoluzione del dominio utile del Demanio di Sparanise
e Calvi, censito con istrumento del 1791 a Ferdinando IV, visto il detto
istrumento del 28 settembre 1791 nonché l’atto parlamentare del 14 marzo 1790
fatto dalle città di Calvi e Sparanise, confidando che
la censuazione di detto Demanio fatto dai due Comuni
a favore di esso Ferdinando IV, ripugna con la volontà e gli interessi di essi
Comuni[…]considerando che la venuta di Vittorio Emanuele Re d’Italia debba
segnare un termine della prepotenza e degli abusi tra i quali deve venir
enumerata la censuazione in parola, riguardata da Sparanise e Calvi come una vera e propria tirannia sofferta
per lo spazio di 70 anni[…]
Per tali motivi
il decurionato delibera che si demandi la devoluzione del demanio utile a favore
di essi Comuni e che tale domanda si faccia amministrativamente e diretta a Sua
Maestà Vittorio Emanuele, per l’organo del Sig. Governatore della provincia di
Terra di Lavoro.”
Ripercorrendo lo
stesso iter, la lettera del sindaco di Calvi Demetrio Zona, a nome dell’intero
consiglio, pone ancora di più l’accento nel sottolineare i soprusi e la
tirannia subìti per 70 anni dalla Real Casa
Borbonica, precisando come la Casa Reale della passata dinastia “affittando
quelle terre così ubertose ha ritratto un prodotto immenso in confronto del
meschino annuo canone che si paga ai due comuni i quali sono privi di rendite… per mancanza di strada non vi è commercio, per
mancanza di istruzione si vive nell’ignoranza e la miseria ed il mal costume
trionfano.”
Il sindaco
scrive inoltre che “le chiese in Calvi cadenti e fuori l’abitato scassinate dai
ladri e involati i sacri arredi, profanate col seppellimento dei cadaveri per
mancanza del camposanto”.
La lettera si
conclude, rimarcando come “la Provvidenza abbia voluto infin
metter termine ai nostri mali”, come anche con l’esplicita considerazione
“dell’enorme lesione arrecata agli interessi” delle due cittadine per quelle
terre del Demanio sottratte per “prepotenza” e tenute nello stato di “totale
avvilimento”.
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