Calvi Risorta: Ex sindaco condannato per diffamazione a giornalista
sotto protezione
Vito Taffuri,
agente della penitenziaria, pubblicista, aveva reagito con una contro denuncia
a decine di querele dell’ex primo cittadino per i suoi articoli.
Per
anni ha subito querele strumentali di un sindaco, minacce e intimidazioni di
esponenti dei clan per le quali nel 2007 la prefettura gli ha assegnato un
servizio di protezione. Alla fine Vito Taffuri,
agente della polizia penitenziaria e giornalista pubblicista di Calvi Risorta,
comune di seimila abitanti in provincia, città delle cui vicende scrive per il Corriere
di Caserta e per il suo blog, ha denunciato il sindaco che, il 24 febbraio
2015, dopo otto anni, è stato condannato per diffamazione mediante atto
pubblico, a 4 mesi di reclusione con pena sospesa, al risarcimento dei danni e
al pagamento delle spese legali in favore del giornalista. In seguito alla
sentenza, il 6 marzo scorso, il ministero della Giustizia ha archiviato il
procedimento disciplinare avviato nei confronti di Taffuri.
Nel 2005, quando inizia a
occuparsi di affari dei clan con l’amministrazione comunale, a Taffuri arrivano le prime intimidazioni, che presto
diventano minacce di morte. Nel frattempo, il sindaco dell’epoca, Giacomo Zacchia, insofferente per i suoi articoli, querela Taffuri a ripetizione. Il sindaco perde tutte le cause, ma
quel fiume di querele scredita il giornalista agli occhi delle istituzioni per
le quali lavora, in quanto agente della polizia penitenziaria.
Nel 2004, Giacomo Zacchia, all’inizio del suo mandato di sindaco, per frenare
gli articoli che non gradisce si rivolge a Massimo Taffuri,
fratello del giornalista, che fa parte della sua maggioranza. Questi però non
lo asseconda. Abbandona la coalizione tre mesi dopo l’elezione.
Per Vito Taffuri il giornalismo è un’attività secondaria che svolge
con passione e impegno e lo spinge a mettere il naso negli appalti che il clan
di Giuseppe Setola riesce a ottenere. In più occasioni metterà alle strette gli
amministratori del suo comune, che su alcune vicende saranno condannati in
seguito a indagini partite proprio dai suoi articoli, molti dei quali finiscono
tra gli atti degli organi inquirenti. Al comune di Calvi Risorta arriverà anche
una commissione d’accesso per valutare la presenza di infiltrazioni
camorristiche.
Nell’agosto del 2005,
Nicola Papa, un affiliato del clan Schiavone, intima a Taffuri
di non scrivere articoli contro l’attività del sindaco. Vito denuncia il fatto
ai Carabinieri. È spaventato, e per alcuni mesi i suoi articoli si fanno più
rari e leggeri. Fino ad aprile del 2006, quando riprende a scrivere a pieno
ritmo sulla politica calena. E riceve nuove intimidazioni. Prima un volantino
anonimo, diffuso in città, contenente frasi ingiuriose contro di lui e una
minaccia: “Anche i buoni possono diventare tanto cattivi”. Poi l’avvertimento
di uno sconosciuto che lo avvicina in strada. Quindi torna a farsi vivo Nicola
Papa, che gli intima per la seconda volta di non occuparsi più del comune di
Calvi Risorta, sostenendo di essersi personalmente impegnato
per dissuadere alcuni soggetti, giunti dal vicino comune di Sessa Aurunca
(dove il sindaco gestisce una farmacia), per dargli una lezione.
Vito denuncia puntualmente
ogni episodio alla locale stazione dei Carabinieri. E inizia a scrivere alla
Direzione Nazionale Antimafia. Invece di deporre la penna, decide
di impegnarsi di più. Nei mesi che seguono, le minacce lo raggiungono
anche attraverso la rete, sui forum di discussione e via email.
Vito denuncia tutto. “Se denunci nessuno ti tocca, se non denunci sei martire”,
dice.
A dicembre del 2006 gli si
presenta un nuovo ostacolo: il Corriere di Caserta interrompe il
rapporto di collaborazione. Ma Vito non si perde d’animo, e crea un sito di
informazione, www.calvirisortanews.it.
L’attività prosegue e l’aumento della visibilità del sito provoca una
escalation intimidatoria: gli viene inviata una lingua di bue mozzata, segue
una lunga serie di lettere minatorie e di buste con proiettili. Il 4 luglio
2007 il senatore Emiddio Novi presenta un’interrogazione parlamentare e
a Vito Taffuri viene assegnato un servizio di
vigilanza. Ma le minacce continuano coinvolgendo la sua famiglia.
Anche il sindaco Zacchia, in quegli anni, si scaglia ripetutamente contro il
giornalista. Lo fa con una serie di querele per diffamazione a mezzo stampa che
– fa sapere l’avvocato della difesa Letizia Di Rubbo
– si risolvono tutte con l’archiviazione. Al termine del mandato del primo
cittadino se ne conteranno una trentina.
Il 20 novembre del 2007,
tra una querela e l’altra, Zacchia indirizza una
lettera alle più alte istituzioni, tra cui il ministero della Giustizia, da cui
Vito dipende, il ministero dell’Interno, i presidenti delle Camere, la
commissione Antimafia, le Forze dell’ordine, nonché organismi politici e
amministrativi. Circa venti pagine nelle quali dice di ritenersi vittima di una
“di lobby del malaffare”, bersaglio di una campagna di stampa orchestrata da
Vito Taffuri, il cui vero obiettivo sarebbe non
quello di informare, ma di screditare e paralizzare l’amministrazione. Il
sindaco dichiara che il giornalista sarebbe sottoposto a “decine di denunce
penali”, omettendo di precisare di esserne l’autore. La lettera è molto forte,
il sindaco si spinge a invocare provvedimenti contro il giornalista. E così il
ministero della Giustizia avvia un procedimento disciplinare contro il
giornalista, il quale non ci sta a essere colpito nella sua professione. Così
stavolta è lui a querelare il sindaco.
Un procedimento che si è
concluso dopo otto lunghi anni, il 24 febbraio scorso con la condanna di Zacchia, ormai non più sindaco, emessa dal tribunale di
Santa Maria Capua Vetere, per il reato di
diffamazione mediante atto pubblico, a 4 mesi di reclusione con pena sospesa,
al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese legali in favore del
giornalista. In seguito alla sentenza, il 6 marzo scorso il ministero della
Giustizia ha archiviato il procedimento disciplinare nei confronti di Taffuri.
Ma per il giornalista Vito
Taffuri le preoccupazioni non sono finite. Non
intende rinunciare a informare la città e per questo la sua vita, dal 2007 a
oggi, è protetta dalla sorveglianza disposta dalla prefettura.
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