Gli uomini illustri delle prime lotte operaie e contadine in Terra di Lavoro

Comune di Pignataro, 12 marzo 2015

Angelo Martino

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Per gli uomini che rappresentarono il movimento operaio e contadino in Terra di Lavoro essere comunisti coincideva con la lotta per cambiare un assetto sociale fortemente ingiusto. La maggior parte di loro lo fece sia nel corso della lotta antifascista che nel dopoguerra, allorché si mostrò necessario lottare ed agire in maniera forte per il riscatto delle classi subalterne. Le loro storie si intrecciano, le loro vie denotano un percorso comune mirato a dare forza ed organizzazione agli operai, ai braccianti di Terra di Lavoro per condizioni di vita più dignitose. Tali uomini furono sempre rispettati dagli avversari politici, i quali riconoscevano in loro la forza di un impegno politico, che seppure non condiviso, era caratterizzato da una forte impronta civile di sacrificio e di passione ideale.


CORRADO GRAZIADEI

Corrado Graziadei giunse al Partito Comunista Italiano dalle fila socialiste dove aveva militato fin da giovanissimo prima come segretario cittadino e poi come segretario della federazione giovanile socialista. La sua iscrizione alla Federazione Giovanile Socialista Italiana risale al 1907, quando aveva appena 14 anni. Corrado Graziadei era nato l’11 agosto 1893 in Sparanise, patria di Leopoldo Ranucci, divenuto assessore al Comune di Napoli nella giunta del Cln. A 16 anni fu denunciato e condannato dalla pretura di Pignataro Maggiore a pagare cinque lire di ammenda “quale promotore di processione civile senza licenza e per disturbo della quiete pubblica”.

Ricorda Giuseppe Capobianco nel suo testo "Sulle ali della democrazia" che Terra di Lavoro fu presente al primo congresso regionale socialista del 14 gennaio 1900 con il gruppo di Sparanise che già dai primi anni del socialismo partecipa con il suo contributo rilevante alla costruzione del Partito Nuovo. Ricordiamo che il Partito Socialista era nato durante il Congresso di Reggio Emilia nel 1895. Graziadei rimase nel PSI anche dopo la scissione di Livorno, essendo sulla posizione della corrente di Serrati. Fu nel 1923 che Corrado Graziadei confluì nel Partito Comunista d’Italia, due anni dopo la scissione di Livorno.
Fu in questo periodo decisivo per le sorti del movimento socialista e comunista in Terra di Lavoro che Corrado Graziadei di Sparanise divenne segretario della Federazione di Caserta del PC d'I. Ebbe dal partito l'incarico di accompagnare, nei primi giorni di ottobre del 1924, il fondatore del Partito Comunista d'Italia per un congresso clandestino che doveva tenersi a Castellamare di Stabia.

Antonio Gramsci doveva presiedere il Congresso della Federazione Napoletana in un delicato momento storico, dato che pochi mesi prima era stato assassinato Giacomo Matteotti, e le forze di opposizioni discutevano della maniera di reagire al Fascismo. Dopo l'assassinio di Matteotti sembrò allora che il fascismo stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni percorse il Paese, ma non fu così: l'opposizione parlamentare scelse la linea di abbandonare il Parlamento, dando luogo alla cosiddetta Secessione dell'Aventino, in quanto ogni forza politica aveva delle aspettative con i liberali che speravano in un appoggio della Corona, i cattolici che erano ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e con questi ultimi erano ostili a tutti, comunisti compresi.

Gramsci avanzò al «Comitato dei sedici» - il nucleo dirigente dei gruppi aventiniani - la proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta; i comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione». Nell'ottobre 1924 Antonio Gramsci avanzava la proposta che l'opposizione aventiniana si costituisse in «Antiparlamento», in modo da segnare nettamente la distanza e svuotare di significato un Parlamento di soli fascisti. In tale contesto storico Corrado Graziadei ebbe l'incarico di accompagnare Gramsci nel suo viaggio da Roma a Castellamare.

Corrado Graziadei rimane affascinato dalla figura di Antonio Gramsci, ospitandolo nella sua casa di Sparanise. L'episodio è ricordato con parole di ammirazione e di nostalgia durante il primo Congresso di ricostruzione del Partito Comunista Italiano nel 1945: "Nella mia vita di militante spesso ho intrecciato fatti e esperienze che ho fermato nella mente per trarne da essi ammaestramenti e consiglio. Uno, però, più di ogni altro mi ha lasciato un'ora, che il tempo non cancellerà mai. Pochi mesi prima che cadesse nelle mani dei suoi carnefici, Antonio Gramsci, che avevo avuto incarico di accompagnare ad un convegno clandestino, fu mio ospite."

"In quella indimenticabile veglia notturna, il maestro si affacciò al balcone e, respirando ampiamente, mi disse col suo eterno sorriso: Non basta camminare sulla via giusta, occorre che si abbia la capacità di farvi camminare anche gli altri". "Noi camminiamo sulla via giusta, ma occorre far leva sulla nostra onestà, sulla nostra capacità, sul nostro spirito di sacrificio, per trascinare tutto il popolo su questa stessa via alla conquista dell'avvenire".

Al congresso provinciale del 1924, che si svolse clandestinamente in un casolare di Riardo, Graziadei fu confermato segretario della federazione di Terra di Lavoro e delegato alla conferenza nazionale di Mara Capanna in Como. Il gruppo che Corrado Graziadei diresse dal 1924 al 1929 era formato da Benedetto D’Innocenzo di Calvi, Domenico Schiavo di Caserta, Antonio Marasco di Piedimonte d’Alife, Leoncavallo di Tora e Piccilli, Ambrogio Ursillo di Marzano Appio e Antonio Barbato di Sparanise. Graziadei era stato già cacciato dalle ferrovie nel 1923 per aver organizzato gli scioperi nel 1921-22 e aveva ripreso gli studi laureandosi in legge e iniziando l’attività di procuratore legale. In particolare, tra i compagni, Benedetto D'Innocenzo diventa uno dei collaboratori più fidati di Corrado Graziadei nella propaganda politica nelle campagne e contrade dell'Alto Casertano e entrambi sono accomunati anche dall'arresto e dal confino per un anno nel 1937 nelle Isole Tremiti.

Nel prosieguo Corrado Graziadei riesce ad intessere una rete clandestina di resistenza con i compagni di Santa Maria Capua Vetere, con quelli di Capua e di Piedimonte, dando vita all’unico giornale clandestino durante il Fascismo “Il proletario”. Il giornale “Il proletario” fu il primo stampato clandestinamente nel Mezzogiorno d’Italia negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, dal 1942 all’agosto del 1943. Fu fondato da Aniello Tucci, ferroviere di Afragola e da Michele Semeraro, giovane universitario di Taranto che prestava il servizio militare a Capua. Tra i primi collaboratori de “Il proletario” fu Corrado Graziadei di Sparanise, che, entrato nella redazione, ne promosse la diffusione nell’Agro Caleno, nel Matese e nella zona di Cassino insieme a Benedetto D’Innocenzo.

Infatti la diffusione del quotidiano era divisa in zone con ciascun responsabile che era coadiuvato da addetti alla diffusione nelle sottozone. In particolare Corrado Graziadei consegnava le copie da diffondere nella zona di Cassino a Benedetto D’Innocenzo. La sua diffusione, oltre che in Campania, concerneva anche Calabria e Puglia grazie all’attivismo dei ferrovieri che riuscivano a divulgarlo con prudenza e coraggio, anche se episodi cruenti sono da annoverare, come ricorda lo stesso fondatore Aniello Tucci: “A San Tammaro un contadino viene preso. E’ disarmato. Grida che non ha partecipato agli scontri armati e che è estraneo alle squadre partigiane. Viene creduto e liberato. Ma mentre sta per allontanarsi, un soldato tedesco lo richiama: ha notato uscire dalla tasca posteriore dei pantaloni un foglio di giornale: è “Il proletario" ed è la sua condanna a morte. Il numero più famoso de “Il proletario” è quello del 26 luglio 1943 che annunciava e commentava la caduta di Mussolini.Aniello Nucci ricorda che “il lavoro del giornale era così suddiviso: per gli articoli ideologici e di politica estera redattore era il comunista Michele Semeraro; per gli articoli di fondo, il socialista Antonio Iannone, per bollettini e notizie lo stesso Tucci, collaboratori Corrado Graziadei e Vittorio La Rocca… Graziadei provvedeva a portare le copie ad un compagno di Piedimonte d’Alife, questi divideva le copie tra i componenti del gruppo della zona del Matese… per la zona di Cassino, sempre Graziadei al compagno D’Innocenzo di Calvi Risorta… per la zona di Caserta c’era Raffaele Parretta, macchinista delle Ferrovie dello Stato. Per Portici c’era Agostino Buono, ferroviere… per Napoli periferia c’era il tipografo Iazzetti… per Napoli provincia e zona nolana, La Rocca. Altri corrieri provvedevano a portare le copie in tutto il Mezzogiorno…

Quindi il “Il proletario” fu il giornale che negli ultimi anni del regime fascista consentì un informazione “fuorilegge” e clandestina dal 1942 fino all’agosto 1943 preziosa e coraggiosa, se consideriamo che lo stesso giornale “L’Unità” riprese le sue pubblicazioni il 27 luglio 1943 a Milano il giorno successivo alla caduta di Mussolini. Negli anni del dopoguerra le parole d’ordine “le terre ai contadini” già erano ben presenti in maniera rilevante dopo la prima guerra mondiale in tutta Italia grazie ai grandi partiti di massa che le stavano diffondendo. Corrado Graziadei diede il suo primario contributo alle lotte contadine in Terra di Lavoro dal 1945 al 1950. Le occupazioni iniziarono a Nocelleto di Carinola e proseguirono negli anni successivi in altre zone, avendo il loro momento più rilevante nel 1949.

Andando a ritroso, in relazione a Terra di Lavoro la Prima lega contadina della Provincia nasceva a Sparanise nel 1901, con dei tentativi di lotta che a Nocelleto e a Carinola erano iniziate già negli anni venti. Nell’inverno del 1944 la cooperativa “La terra” di Nocelleto di Carinola, non avendo avuto risposta ad una richiesta di concessione di terre incolte, il 18 febbraio 1945 occupa 1000 moggi di terreno. La commissione di Napoli si vede costretta a concedere i primi ettari di terreno alla Cooperativa di Nocelleto e tale concessione è festeggiata dalla Federterra il primo maggio con tutta la popolazione. Ricorda Libero Graziadei, figlio di Corrado, che “i contadini, guidati dal compagno Sciorio, organizzarono un grande corteo con alla testa la bandiera rossa e il crocifisso”. Memorabile è il comizio che tenne in quella occasione Corrado Graziadei insieme a Lombardo Gori e Paolo Fissore.

Dopo Nocelleto le proteste si estesero a Villa Literno, ove era attiva la cooperativa “l’Agricola” che si fece promotrice dell’occupazione della tenuta di “Torre del Monaco”e della tenuta di Gargiulo. Ciò diede coraggio alle sezioni della Federterra le quali, secondo un’inchiesta del 15 novembre del 1946, avevano raggiunto il numero di ben 41 sezioni, tra cui annoveriamo quella di Calvi Risorta con 86 iscritti, di Pignataro Maggiore con 121, di Nocelleto con ben 272 iscritti, di Teano con 129, di Falciano di Carinola con ben 170 iscritti, di Vitulazio con 80 iscritti, di Santa Maria C. V. con un migliaio di iscritti. Da allora le lotte si estendono, le manifestazioni diventano man mano imponenti e il 16 maggio 1947 si festeggiò “La giornata del contadino” con diecimila contadini che manifestarono a Caserta e in centri minori quali Grazzanise, Pignataro Maggiore e Teano ove parlarono Graziadei, Ferrante e Picardi.

I tempi erano maturi per la grande occupazione delle terre incolte del 22 novembre 1949, che fu preparata nei minimi dettagli con tanti attivisti che agivano in maniera sinergica. Vi parteciparono 12 mila braccianti e un trionfante Graziadei scrisse: “La provincia viene divisa in quattro zone principali ed in altre marginali, nel primo giorno nel Carinolese, che aveva una vera e propria tradizione in questo genere, e sul Sammaritano in precedenza “saggiati”… Nel contempo si prepara l’intervento delle altre due zone: l’Aversana con centro a Lusciano, la Sessana con centro a Fasani. L’occupazione delle terre continuò per ben 25 giorni fino a quando gli occupanti ottennero la concessione di 1300 moggi di terra distribuita nel territorio provinciale. Tali 25 giorni di lotte sono descritti in tutta la loro determinazione, sottolineando altresì la sofferenza, da parte di Corrado Graziadei, soprattutto nei primi giorni di occupazione delle terre. Il 22 novembre lo stesso Graziadei, con altri attivisti, guida 2000 braccianti ad occupare 5 tenute dell’agro di Carinola.

La serata del 22 i carabinieri fecero sgombrare i terreni occupati, ma in seguito alle subitanee riunioni tenute nella Camera del Lavoro di Sparanise da Antonio Romeo e in quella di Sant’Andrea del Pizzone da Michele Zona, i manifestanti acquistano il coraggio di occupare altre tenute con i primi inevitabili arresti da parte dei carabinieri, tra cui il primo sarà proprio Corrado Graziadei. Occupazioni e arresti non si arrestano nei giorni successivi a Capua, a Brezza. Ormai è un evento che contagia l’intera provincia casertana da Recale a Casagiove, da Curti a San Prisco, da Santa Maria a san Tammaro, a Sessa Aurunca, Vitulazio, Lusciano. Ogni giorno si registrano nuove occupazioni di terra a Pietramelara, a Baia e Latina. Ricorda Mario Pignataro che in quei giorni venivano distribuiti dei giornalini ciclostilati che aggiornavano i contadini sull’andamento delle occupazioni.

Scrive Giuseppe Capobianco nel testo “La questione meridionale”: Ogni giorno si formavano sette colonne di lavoratori dal Casertano che puntava sul Demanio di Calvi dove confluiva un’altra colonna proveniente da Sparanise-Calvi-S’Andrea del Pizzone; due colonne si formavano nella zona aversana ed occupavano le terre a sud del Volturno, mentre quelle della frazione di Carinola, casale di Nocelleto e Falciano, occupavano le terre a sud del Volturno. Le popolazioni della zona aversana occupavano le terre a sud del Volturno, mentre quelle delle frazioni di Carinola invadevano le terre a nord del Volturno. Nella piana del Sessano gli occupanti provenivano da tre diversi punti in cui confluivano Carano, Cellole, Fasani, le frazioni delle Torraglie.

Un popolo di contadini che si muovono guidati da uomini in cui credevano, credibili negli anni fino ad ottenere una legge molto importante: La legge stralcio del 1950 che conteneva norme per l’espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini e prevedeva l’esproprio di una quota di possesso superiore ai 750 ettari per i comuni di Cancello e Arnone, Capua, Castel Volturno, Grazzanise, S.Maria La Fossa, Villa Literno, Vitualzio, Carinola, Francolise, Mondragone e Sessa Aurunca. Nel 1953 Corrado Graziadei fu eletto deputato del Pci e il suo impegno politico fu tutto un dedicarsi ad una politica sociale per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei ferrovieri, facendo parte della Commissione Trasporti. Il suo discorso alla Camera dei Deputati del 26 ottobre 1953 rappresenta uno dei più appassionati interventi, che risente di tutta una concezione ben precisa e mirata della funzione sociale dei trasporti.

La realtà lavorativa dei ferrovieri era ben conosciuta da Graziadei i quali, come ricorda il deputato di Sparanise, erano stati uno dei presidi della libertà nell'agosto del 1922 e di cui si sentiva onorato di averne fatto parte. L'intervento di Graziadei alla Camera quel 26 ottobre del 1953, è diretto a denunciare le forme di sfruttamento alla quale l'Amministrazione Ferroviaria ricorreva da sempre: "E' infame, più che ingiusto attendere che questi vecchi muoiano prima che si veda corrisposto quanto è loro sacrosanto dovuto. Si faccia quindi giustizia a questi vecchi lavoratori dei trasporti". Vogliamo rimarcare che Graziadei non ne fa solo un giusto interesse di categoria, dato che di questo si occupa alla Camera dei Deputati, ma estende la sua forte richiesta di giustizia sociale alle varie collettività che vivono situazioni di sfruttamento. “Funzione sociale - dice Graziadei - significa sensibilità verso gli interessi di una estesa collettività... una mano che si porge a chi ha più bisogno”.

Graziadei denuncia la mancanza di personale che costringe i ferrovieri a pesanti turni, alla mancata concessione di ferie e all'essere impiegati in mansioni di carattere superiore senza avere un riconoscimento economico dignitoso. Il 30 marzo del 1953 le proteste dei ferrovieri e gli scioperi portano ad una "punizione" con dieci, venti fino ad arrivare a trenta giorni di sospensione dal lavoro, a seconda della presunta gravità dei casi segnalati dall'Amministrazione Ferroviaria". Corrado Graziadei continua a denunciare abusi e vero e proprio sfruttamento, termine più ricorrente nei suoi interventi. Nel suo ultimo discorso alla Camera dei Deputati del 1956 si parla ancora di sfruttamento del personale: I sistemi di sfruttamento in uso già da tempo nelle Ferrovie dello Stato li abbiamo già denunciati negli anni precedenti e sono rimasti tutti inalterati... turni di lavoro superiori alle 48 ore settimanali, centinaia di migliaia di giornate di ferie, che, a dispetto delle norme della Costituzione, vengono negate..."

Tuttavia il discorso di Graziadei, che rimase per tanto tempo impresso nelle menti e nei cuori di tutti i lavoratori, anche per la liricità di alcuni passi, fu quello del 12 novembre 1954 a favore dei dipendenti statali nel corso della quale si esplicita: "Desidero ricordarvi che quando parlate di futuri miglioramenti vi è una categoria di interessati per i quali il futuro è, per legge di vita, soltanto una possibilità che col tempo si allontana inesorabilmente, sempre di più... Non è che non lo sia per tutti, ma per i pensionati ogni mese, ogni giorno, ogni ora che fugge, più si avvicinano le ore del tramonto. E per migliaia e migliaia, il miraggio di una vecchiaia meno triste, meno penosa, con minore sofferenza e minore miseria, è svanito in una delusione che non ha possibilità di compenso".

Anche nel suo impegno politico di deputato Corrado Graziadei tenne fede alla sua coerente visione di vita di stare sempre con i più umili e con quelli che soffrivano condizioni sociali inaccettabili e a dir poco ingiuste. Corrado Graziadei continuò la sua lotta per l’emancipazione delle classi subalterne fino alla morte, avvenuta il 13 luglio 1960. Fu proprio Giorgio Napolitano a ricordare il militante, il partigiano, il politico, il leader delle lotte contadine alla Camera dei Deputati nella seduta pomeridiana del 14 luglio 1960 con le seguenti parole : “Signor Presidente, è deceduto ieri sera a Roma Corrado Graziadei, già consultore nazionale e deputato al Parlamento per la seconda legislatura. Con lui scompare un vecchio, fedele e ardente combattente della causa della libertà e del socialismo. Al movimento socialista Corrado Graziadei aderì, infatti, giovanissimo nel lontano 1917 e ne fu per lunghi decenni instancabile e appassionato pioniere, in una provincia che, per le condizioni di pesante arretratezza sociale e politica, opponeva allora le più gravi difficoltà alla penetrazione dell’idea e dell’organizzazione socialista.

Corrado Graziadei entrò a far parte del Partito Comunista Italiano fin dalla sua formazione nel 1921, proprio perché convinto assertore della causa dell’emancipazione del lavoro, della democrazia e del progresso; e proprio perché comunista, fu per vent’anni un tenace combattente dell’antifascismo, affrontando carcere e confino. Fu fiero e animoso esponente della Resistenza. Uomo di sommo disinteresse e probità nella vita politica e in quella professionale, Corrado Graziadei seppe guadagnarsi, anche al di là della cerchia del suo partito e del movimento operaio, universale stima e rispetto.  Noi siamo certi che, nel cordoglio per la sua scomparsa e nella commossa solidarietà con la sua famiglia, vorranno associarsi al nostro gruppo, al nostro partito che lo ebbe fedele e combattivo militante per quasi quarant’anni, tutti i settori della Camera e tutto il Parlamento “Parole mirate ed incisive quelle di Giorgio Napolitano a memoria di un uomo, Corrado Graziadei, che in una memorabile lettera, aveva scritto al figlio Libero: “Nella vita cerca di stare sempre con i più umili e con quelli che soffrono: sarà poco utile ma in quella poesia troverai la più alta ricompensa e ti sentirai ricco per sempre”


GORI LOMBARDI

La sezione comunista di Sessa Aurunca venne ricostruita il 19 febbraio 1944 da Gori Lombardi insieme ad altri militanti comunisti che avevano combattuto clandestinamente nella zona sessana, come Corrado Graziadei e Benedetto D’Innocenzo avevano fatto nell’agro caleno, come il professore Alberto Iannone e i compagni di Capua, come Antonio Marasco, fondatore del movimento operaio a Piedimonte Matese, come Leopoldo Cappabianca a Santa Maria Capua Vetere. Nella riunione del 19 febbraio, Gori Lombardi fu eletto all’unanimità segretario della sezione comunista di Sessa Aurunca e partecipò alla svolta di Salerno, diventando altresì delegato al primo congresso della federazione comunista campana del 27 febbraio 1944. Sotto la guida di Gori Lombardi la sezione del Pci di Sessa raggiunse, dopo un anno, 252 iscritti dai diciotto che ne aveva quando era stato eletto segretario. Gori Lombardi ebbe un ruolo importante nella costruzione e nel funzionamento del Comitato di Liberazione Nazionale in Terra di Lavoro. Partecipò, insieme a Corrado Graziadei, alle lotte contadine, organizzando marce per l’occupazione delle terre incolte di Carinola.

Insieme a Corrado Graziadei si occupò, quindi, della questione agraria. “Per tale sensibilità e capacità - scrive Giuseppe Capobianco - venne chiamato, dopo il 2 giugno 1946, a dirigere la sezione agraria della Federazione di Caserta”. Infatti Gori Lombardi è l’uomo nel quale la federazione pone fiducia e lui non delude le attese. Nel suo intervento del giorno dell’incarico, tiene un discorso in cui esplicita che “per la richiesta di terre incolte è necessario precisare il luogo ove esistono, se sono veramente incolte, quali sono i confini, il moggiatico”. Quindi quello di Gori Lombardi è un approccio pragmatico alla questione del latifondo. Oltre alle grandi lotte contadine, non disdegnò l’impegno politico nel partito con la volontà di svolgere un ruolo di dirigente, e in questo sogno era sostenuto da Corrado Graziadei e da Enzo Raucci. Come evidenzia Adolfo Villani, era il periodo in cui “i dirigenti del Pci erano convinti che solo affrontando il tema della riforma agraria, del rapporto tra agricoltura e industria, solo considerando centrale il ruolo dei contadini meridionali nella rivoluzione italiana, si potevano davvero superare gli equilibri politici, economici e sociali su cui si era retto il regime fascista.

Dopo tale impegno e militanza, Gori Lombardi, che era nato a Sessa Aurunca l’8 luglio 1916, riuscì ad entrare in consiglio provinciale nel 1964, tentando senza successo di diventare parlamentare della Repubblica come Corrado Graziadei nel cui collegio fu candidato nel 1958 e nel 1963. Poteva ancora dare un contributo rilevante all'emancipazione delle classi subalterne, ma mancò a soli 49 anni il 23 marzo 1966.


BENEDETTO D’INNOCENZO

Benedetto D’Innocenzo (Calvi Risorta 29/01/1879-Calvi Risorta 26/02/1962) si rivela figura storica rilevante nella lotta non solo contro il fascismo, ma soprattutto per una società più giusta, in stretto collegamento con l'impegno antifascista, politico e sociale di Corrado Graziadei. Infatti, se la figura di Corrado Graziadei risulta rilevante al fine di conoscere la storia dell'antifascismo, dell'organizzazione del Partito Comunista, delle lotte contadine in Terra di Lavoro, non minore rilievo riveste la figura di Benedetto D’Innocenzo. D'altronde i rapporti tra Corrado Graziadei e Benedetto D'Innocenzo non erano solo di impegno politico comune, quasi parallelo, ma anche di rispetto e grande amicizia. Benedetto D’Innocenzo era titolare di una fabbrica di bibite che commercializzava nell’agro caleno. Benedetto D'Innocenzo di Calvi si iscrive al PCd'I nel 1921 e, quando nel 1924 Corrado Graziadei ospita Antonio Gramsci nella sua abitazione di Sparanise, all'incontro è presente anche il D’Innocenzo. Nell’anno successivo a Taverna Mele, residenza della famiglia D’Innocenzo, si svolge il congresso provinciale del Pcd’I presieduto da Celeste Negarville. Nel 1926 l’attivismo antifascista costa a D'Innocenzo sei anni di ammonizione. Iniziano quelli che Giuseppe Capobianco definisce “gli anni bui”. Benedetto D'Innocenzo continua ad essere, tuttavia, uno dei collaboratori più fidati di Corrado Graziadei nella propaganda politica nelle campagne e contrade dell'Alto Casertano e entrambi sono accomunati anche dall'arresto e dal confino nel 1937.

In particolare Benedetto D'Innocenzo è arrestato e confinato per aver diffuso notizie sulla guerra civile spagnola, che aveva appreso da Radio Barcellona. Per tale "reato" a Benedetto D'Innocenzo viene comminato un confino duro, una condanna a tre anni di isolamento alle Isole Tremiti. La famiglia è provata, ma il 4 giugno 1937 è Corrado Graziadei stesso a recarsi a Calvi Risorta per informare e rassicurare la famiglia sulle condizioni di salute buone a tal punto che "con la sua solita baldanza trascorre le giornate componendo musica". Anche la signora Graziadei in quel periodo visita spesso la signora Alessandra Alessandrini e i figli.

Diocrate, da parte sua, invia una rassicurante lettera al padre, comunicandogli che tutto va bene e che hanno cambiato l'automobile, mentre il camion va bene e non ha bisogno di sostituzione. Nel 1942 e 1943 D’Innocenzo fu uno dei più attivi nella distribuzione del giornale clandestino “Il Proletario”, responsabile della sua distribuzione nella zona di Cassino.
Dato che Graziadei considerava D'Innocenzo legato ad un socialismo romantico di stampo bordighiano, i rapporti man mano si incrinano culminando nella presa di distanza di Graziadei da D'Innocenzo nel congresso provinciale del PCI dell'ottobre 1945. Negli anni dopo la liberazione Benedetto D'Innocenzo fu nominato più volte "commissario del popolo" e ricevette nella sua abitazione per diverse volte Giorgio Napolitano, che allora era segretario provinciale del PCI di Caserta.

A rimarcare che in quegli anni si lottava, ci si combatteva, ma erano gli ideali che muovevano tali uomini, citiamo la testimonianza di Mario Canzano di Calvi Risorta, prima fascista, poi esponente politico missino e in seguito di Alleanza Nazionale, il quale parla di D'Innocenzo quale "brava persona" che non ha avuto sentimenti di vendetta nel dopoguerra.
La sua abitazione di Calvi Risorta, a Taverna Mele lungo la Statale Casilina, fungeva da sede di sezione calena del PCI, ove venivano spesso esponenti di rilievo dell'allora partito comunista: da Umberto Terracini a Pietro Ingrao, da Giorgio Amendola a Giorgio Napolitano. Benedetto D'Innocenzo continuò la sua battaglia per l'occupazione delle terre negli anni 1949-50 a Calvi Risorta con il figlio Diocrate che allora aveva 35 anni.

Infatti negli anni che vanno dal 1945 al 1950 in Terra di Lavoro, che era tornata ad essere provincia, ma relativamente a quella che è l'odierna provincia di Caserta, iniziarono le occupazioni a Nocelleto di Carinola nel 1945 e proseguirono negli anni successivi in altre zone. Il 27 aprile 1945 la Federterra festeggiava l'assegnazione dei primi terreni occupati. Da allora tentativi di occupazione furono sporadici. Bisogna arrivare al periodo che va dal 22 Novembre 1949 al 17 dicembre 1949 in cui vi furono un susseguirsi di occupazioni di terre incolte:

il 22 novembre 2000 braccianti occupano ben 5 tenute dell'agro di Carinola;
il 24 novembre 2000 braccianti occupano la tenuta Spinelli di S. Maria La Fossa;
il 28 novembre un migliaio di persone occupano la tenuta Pontoni nel territorio di Vitulazio;
il 3 dicembre circa 2000 persone occupano la tenuta Limata nell'Agro di Carinola;
il 17 dicembre un gruppo imprecisato di contadini occupa la tenuta Porcara di Baia e Latina.

L'impegno di Benedetto D'Innocenzo è sempre in prima linea anche in questa fase per favorire la costruzione di una società più giusta. Benedetto D'Innocenzo morì il 26 febbraio del 1962 a Calvi Risorta.


ALBERTO IANNONE

Dopo circa trent’anni di impegno a favore delle classi subalterne, anni vissuti con la coerenza dei grandi uomini che sanno ove è presente la sofferenza e il dolore di chi subisce condizioni ingiuste ed inique, il professore Alberto Iannone di Capua, a soli quarantasei anni, rimase vittima, il 5 gennaio 1945, con altri cinque operai del Pirotecnico, del crollo del solaio del collocamento, sito in corso Appio a Capua, ove lavorava e che aveva subìto danni rilevanti dal bombardamento e dalle infiltrazioni di acqua piovana.

Alberto Iannone lasciava l’inseparabile compagna Margherita Troili, ed inoltre un vuoto nel suo Partito Comunista, nella sua città, e nell’intera provincia di Terra di Lavoro. Il professore Iannone, dopo il rifiuto di prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista, era stato isolato e gli era stato precluso l’ingresso nel mondo della scuola quale insegnante e la cancellazione dall’albo dei pubblicisti. Fu con le lezioni private che Alberto Iannone si procurò da vivere per sé e per la sua famiglia. “Tuttavia” - come scrive Adolfo Villani - con le sue lezioni private, l’unico lavoro che gli era consentito, aveva saputo tenere vive le idee di libertà e di democrazia. La sua scuola era stata un grande crogiolo di antifascismo, di umanesimo, di socialismo, un luogo privilegiato di formazione di una parte importante della classe dirigente del dopoguerra di Terra di Lavoro”. Alberto Iannone proveniva da una famiglia di grandi ideali risorgimentali in quanto il nonno Alberto Bellentani fu, insieme a Salvatore Pizzi, protagonista delle grandi conquisti civili del Risorgimento con l’innovativa esperienza della Normale femminile di Capua, che, come è noto, fu luogo di incontro delle migliori, seppur diverse, scuole di pensiero della stagione risorgimentale. Quindi Alberto Iannone, anche in tempi di oscurantismo e di oppressione delle classi subalterne di Terra di Lavoro, seppe tenere alti gli ideali di libertà, di giustizia sociale, di riscatto per gli operai e i contadini di Terra di Lavoro.

Il nome di Alberto Iannone è noto anche per la stampa clandestina dell’unico giornale diffuso in tutto il Mezzogiorno da un gruppo di compagni. Il giornale “Il proletario” fu, infatti, il primo stampato clandestinamente nel Mezzogiorno d’Italia negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, dal 1942 all’agosto del 1943. Fu fondato da Aniello Tucci, ferroviere di Afragola e a Michele Semeraro, giovane universitario di Taranto che prestava il servizio militare a Capua. Tra i primi collaboratori de “Il proletario” furono Alberto Iannone e Corrado Graziadei di Sparanise, che, entrato nella redazione, ne promosse la diffusione nell’Agro Caleno, nel Matese e nella zona di Cassino insieme a Benedetto D’Innocenzo.

La sua diffusione, oltre che in Campania, fu promossa anche Calabria e Puglia grazie all’attivismo dei ferrovieri che riuscivano a divulgarlo con prudenza e coraggio. In particolare Aniello Nucci ricorda che “il lavoro del giornale era così suddiviso: per gli articoli ideologici e di politica estera redattore era il comunista Michele Semeraro; per gli articoli di fondo, il socialista Antonio Iannone, per bollettini e notizie lo stesso Tucci, collaboratori Corrado Graziadei e Vittorio La Rocca [...] Graziadei provvedeva a portare le copie ad un compagno di Piedimonte d’Alife, questi divideva le copie tra i componenti del gruppo della zona del Matese… per la zona di Cassino, sempre Graziadei al compagno D’Innocenzo di Calvi Risorta, per la zona di Caserta c’era Raffaele Parretta, macchinista delle Ferrovie dello Stato. Per Portici c’era Agostino Buono, ferroviere, per Napoli periferia c’era il tipografo Iazzetti, per Napoli provincia e zona nolana La Rocca. Altri corrieri provvedevano a portare le copie in tutto il Mezzogiorno…”.

Nella testimonianza di Aniello Tucci Alberto Iannone è indicato quale socialista. In effetti, pur provenendo dal Pcd’I, dopo la costituzione del Comitato di Liberazione di Capua, ad Alberto Iannone fu chiesto di entrare quale socialista. Alberto Iannone era stato precedentemente protagonista delle lotte per la libertà e per la resistenza che andavavano di pari passo con la militanza politica che ebbe inizio nei primi anni giovanili allorché da educatore aveva rifiutato di prendere la tessera del Partito fascista. Alberto Iannone fu un grande protagonista degli ideali resistenziali e politici per l’emancipazione delle classi subalterne, facendo riferimento alla stagione risorgimentale. La sua azione politica e sociale fu in collegamento con Corrado Graziadei di Sparanise, con Benedetto D’Innocenzo, con Gori Lombardi di Sessa Aurunca, con Antonio Marasco di Piedimonte Matese e con altri militanti comunisti e socialisti che, durante il periodo fascista, tennero vivi gli ideali di libertà, di democrazia e di giustizia sociale.

Tali ideali saranno raccolti e rilanciati dai suoi “ragazzi", coloro che, dopo la sua prematura e tragica morte, raccolsero la sua eredità culturale e politica e parteciperanno al processo di ricostruzione della democrazia e del paese. Tra questi tre futuri parlamentari della Repubblica: Enzo Raucci, deputato dal 1960 al 1976; Antonio Bellocchio, deputato dal 1976 al 1992; Pompeo Rendina, senatore dal 1963 al 1968. Tali uomini daranno vita alla rinascita democratica di Terra di Lavoro - con la ricostituzione della Provincia, soppressa nel 1926, con la costruzione del Partito Comunista e della CGIL. Saranno, inoltre, i protagonisti del movimento di lotte contadine per la conquista delle terre nell' immediato dopoguerra, poi sfociate in quelle operaie intorno ai poli industriali e dell’elettronica civile che segnarono il tentativo di una fase di modernizzazione per l’intera provincia di Caserta.


MICHELE IZZO

Giuseppe Capobianco, nel ricordare Michele Izzo di Carano di Sessa, usa parole che tendono alla lirica al fine di comunicare quanto questo uomo, semplice lavoratore, abbia inteso dedicare la sua vita al riscatto delle classi subalterne di Terra di Lavoro, profondendo il suo indefesso impegno nel territorio sessano già dal 1920. Michele Izzo fu colui che seppe far intendere agli “intellettuali per vocazione” che non bisognava cullarsi su un passato di lotta alla resistenza e vivere di rendita su di esso. Per lui anche la lotta resistenziale era stato un grande momento di sofferenza, ma essa costituiva il preludio per le grandi lotte contadine, già iniziate nel 1920, ma da intraprendere, dopo gli anni del fascismo, ancora con maggiore vigore, spirito di sacrificio ed abnegazione “per intaccare nelle campagne i rapporti di proprietà e di produzione e conquistare così una nuova coscienza e una maggiore autonomia delle masse contadine”.

Pertanto Michele Izzo, insieme ai compagni Giovanni Gentile e Vincenzo Girone di Cellole, a Coronato Sessa di Piedimonte di Sessa, operò fattivamente per una scelta decisa e determinata, una scelta di vita per il riscatto delle classi subalterne negli anni delle prime lotte contadine del 1920 e delle grandi lotte del 1949. Le parole di Giuseppe Capobianco non lasciano adito ad alcun dubbio o interpretazione: “Essi non furono i depositari di una storia del passato, di una resistenza tenace alla dittatura, ma gli animatori di una storia vivente combattuta con lo stesso slancio e la stessa passione di quelle condotte negli anni della loro giovinezza”. Furono, dunque, amati dai contadini del territorio sessano i quali saranno loro sempre grati di essere stati vicini a loro, guidandoli nelle battaglie per la riforma agraria e le occupazioni delle terre.

Nel proseguire nel suo omaggio a Michele Izzo e ai suoi compagni Giuseppe Capobianco esplicita: “Il loro merito sta nel fatto che essi non si chiusero in un aristocratico isolamento, ma continuarono con grande modestia e passione il loro impegno di combattenti, il loro insegnamento”. Peppino Capobianco considerava Michele Izzo e gli altri compagni dei “maestri”, quelli che furono i pionieri già nel 1920, i grandi “iniziatori”, le avanguardie del movimento operaio e contadino in Terra di Lavoro”. Infatti nel 1920 la sezione socialista di Sessa Aurunca aveva già la forza di 26 iscritti, un anno in cui ebbero inizio le prime lotte per la terra nei territori di Carano di Sessa, Cellole e Piedimonte, con l'occupazione di ben 1200 moggi di terre demaniali. Anche l’anno successivo, precisamente nell’estate del 1921, il territorio interessato alla lotta contadina per la terra è quello di Cellole e del territorio sessano. E’ l’Ordine Nuovo del 3 luglio che riporta: “I contadini del piano di Sessa sono in agitazione. Essi hanno rifiutato di pagare al Comune un canone che si vuole loro imporre per il possesso delle quote delle terre demaniali. Intanto il movimento si era già precedentemente organizzato con strumenti nuovi, quali le cooperative e il 17 febbraio 1921 la cooperativa di Carinola, La Massicana, aveva ottenuto una concessione di 360 moggi della tenuta Tenuta di Torre Vecchia, mentre solo l’11 marzo dell’anno successivo la cooperativa di Sessa Aurunca Agostino Nifo riceverà dal Ministero dell’Agricoltura l’assegnazione di 350 moggi della tenuta San Vito, pur dovendo subire il parere contrario della prefettura di Caserta.”

Giuseppe Capobianco dedica parole di grande affetto e riconoscimento a Michele Izzo, in quanto egli stesso, da giovanissimo, fu guidato da Michele Izzo e dagli altri compagni. Esse sono pregne di un’immensa gratitudine in quanto il muratore lasciò la sua famiglia, i suoi affetti per dedicarsi ai suoi amati contadini. Riguardo alla stagione di lotte del 1949 di cui da giovane lui medesimo fu protagonista, Giuseppe Capobianco rimarca come il grande successo di quell’anno fu dovuto ad uomini credibili, uomini in cui i contadini riponevano fiducia per la loro coerenza e il loro alto senso dell’empatia per la loro causa e così avvenne che “ogni giorno si formavano sette colonne di lavoratori: dal Casertano che puntava sul Demanio di Calvi dove confluiva un’altra colonna proveniente da Sparanise-Calvi-S’Andrea del Pizzone; due colonne si formavano nella zona aversana ed occupavano le terre a sud del Volturno, mentre quelle della frazione di Carinola, casale di Nocelleto e Falciano, occupavano le terre a sud del Volturno. Le popolazioni della zona aversana occupavano le terre a sud del Volturno, mentre quelle delle frazioni di Carinola invadevano le terre a nord del Volturno. Nella piana del Sessano gli occupanti provenivano da tre diversi punti in cui confluivano Carano, Cellole, Fasani, le frazioni delle Torraglie.

"Un popolo di contadini che si muoveva guidati da uomini in cui credevano, credibili negli anni fino ad ottenere una legge molto importante: la legge stralcio del 1950 che conteneva norme per l’espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini e prevedeva l’esproprio di una quota di possesso superiore ai 750 ettari per i comuni di Cancello e Arnone, Capua, Castel Volturno, Grazzanise, S.Maria La Fossa, Villa Literno, Vitulazio, Carinola, Francolise, Mondragone e Sessa Aurunca. "Agli inizi del Novecento una cittadina di Terra di Lavoro dove erano giunte le idee emancipatrici del socialismo fu Piedimonte Matese. E dato che le idee camminano se a rappresentarle sono uomini credibili e coerenti, tale fu Antonio Marasco. Di lui si hanno notizie frammentarie grazie alla ricerca costante e attiva di Giuseppe Capobianco che le ha rinvenute consultando l'archivio di Caserta.


ANTONIO MARASCO

Antonio Marasco fu il fondatore nel 1919 della Camera del Lavoro di Piedimonte Matese insieme agli operai elettrici della centrale, ove lavorò fino al pensionamento. Tale Camera del Lavoro diede impulso alla sezione massimalista del Partito Socialista Italiano, la quale aderirà con la forza dei suoi 200 iscritti al Partito Comunista d'Italia, dopo la scissione di Livorno. Negli anni del Fascismo Antonio Marasco fu presidente del Comitato di Liberazione Nazionale di Piedimonte, mentre si organizzava il Movimento Operaio di Terra di Lavoro con segretario provinciale Corrado Graziadei, delegato alla conferenza di Capanna Mara presso Como nel 1924, anno in cui Graziadei avrà il compito di accompagnare Antonio Gramsci e di ospitarlo nella sua abitazione di Sparanise. Di Antonio Marasco abbiamo altre notizie solo nel dopoguerra, allorché si organizzeranno i primi movimenti contadini e la sezione comunista di Piedimonte Matese diventerà punto di riferimento importante per le classi subalterne. Ciò che evidenzia Giuseppe Capobianco è la bellezza di tale realtà in Piedimonte ove negli anni cinquanta "ognuno, indipendentemente dalle sue idee politiche, si recava per un consiglio, per denunciare un sopruso, per rivendicare un diritto."

"In quell'attività - prosegue Giuseppe Capobianco - non c'era ombra di paternalismo, ma il riconoscimento di un'autorità alternativa a quella predominante, un'autorità conquistata sul campo, con testarda coerenza.” Ed è per questo che nel territorio di Piedimonte la sinistra potrà competere con la Democrazia Cristiana e con le Destre in quegli anni, per la coerenza "testarda" degli uomini che esprimeva, uomini credibili che la gente seguiva, se rapportiamo i risultati ottenuti a quelli delle altre realtà del Casertano ove le sinistre erano decisamente e prevalentemente minoritarie. In tale contesto Giuseppe Capobianco con orgoglio ci comunica il risultato delle elezioni amministrative del 1956 con la sinistra che a Piedimonte ottenne un 39,2% di consensi, riuscendo a competere quasi alla pari con la Democrazia Cristiana che raggiunse il 42.6%, mentre le Destre il 18,2%. Tale successo fu dovuto preminentemente ad Antonio Marasco, alla sua credibilità e alla sua coerenza nel guidare il Partito Comunista Italiano nel territorio di Piedimonte, uomo a cui anche gli avversari riconoscevano le sue idealità rapportandosi con lui con gran rispetto e stima.

A conferma di ciò, quando morì, poco tempo dopo le elezioni, il 15 luglio 1956, all'età di 62 anni, come ci tiene a sottolineare lo stesso Capobianco - anche la Chiesa locale non fece alcuna minima opposizione ai funerali religiosi di Antonio Marasco, data la volontà dei familiari di "portarlo in Chiesa". Allora vi fu l'accordo per un funerale misto, un funerale organizzato dal Partito e uno dalla Chiesa per ricordare l'uomo che aveva inalberato la bandiera rossa sul Monte Cila il primo maggio 1943, avvenimento che lo stesso Capobianco definisce “clamoroso”.

 

GIUSEPPE CAPOBIANCO

Giuseppe Capobianco è stato uno dei rappresentanti più nobili della vita politica e culturale di Terra di Lavoro. Il suo fu un impegno civile di primo piano sia quale comunista coerente nella visione di una società in cui brillassero giustizia, uguaglianza sociale, progresso civile ed umano delle classi sociali sfruttate che in relazione al suo ruolo di storico, di autore di ricerche storiche sulla Resistenza, sulle lotte agrarie, sull’impegno sindacale nella provincia di Caserta. Nato a Santa Maria a Vico il 27 luglio 1926, scelse l’impegno politico in giovane età perché profondamente colpito dalla violenza e dall’assurdità della guerra. La Resistenza era stata per Capobianco guerra contro nemici interni e contro l’occupazione nazista per cui il Mezzogiorno, pur non avendo conosciuto il senso di una consapevole e rilevante partecipazione di lotta di liberazione del Nord, aveva dato contributi di sangue che testimoniò nel testo “Il recupero della Memoria.”

Ricordiamo l’apporto determinante di Giuseppe Capobianco, con Joseph Agnone, nel far luce sulle responsabilità della terribile strage nazista di Caiazzo. Mentre si dedicava a tale impegno - come scrive Adelchi Scarano - “era solito intrattenersi con gruppi di giovani caiatini, in un ambiente essenzialmente anticomunista, con passione, raccontando le sue esperienze e i giovani provavano ammirazione per la coerenza e il rigore etico che comunicava ai suoi attenti ascoltatori”.

L’esperienza dolorosissima della guerra vissuta “con gli sbandati e gli sfollati” lo portò all’impegno civile e in breve tempo divenne un dirigente del Partito Comunista casertano, un dirigente sindacale, un uomo delle istituzioni pubbliche al servizio della giustizia e dell’uguaglianza. Pur essendo un uomo di parte, era stimato da tutte le persone di buona volontà della provincia di Caserta e non solo, in quanto tutti gli riconoscevano l’essere una figura straordinaria di democratico. Peppino Capobianco dedicò la sua vita a servire il partito in quanto per lui era porsi al servizio dei lavoratori e della loro emancipazione.

Sulla tomba di Peppino Capobianco c’è solo una semplice scritta: Giuseppe Capobianco 1926-1994, Comunista. Che significava essere “comunista“ per Giuseppe Capobianco? Semplicemente lottare per un assetto sociale giusto in maniera fattiva, considerando il partito non un fine per raggiungere un carrierismo personale o qualsiasi altro “particulareguicciardiniano. Per Peppino Capobianco il partito comunista era solo uno strumento funzionale alla costruzione di un sistema politico e sociale più giusto e compiutamente democratico, tenendo presente quell’articolo 3 della costituzione che invita ad operare nella società per la rimozione delle disuguaglianze. Tale era il concetto nobile della politica per Capobianco, un agire al servizio degli altri con un consapevolezza dell’eticità con cui esso deve sapersi proporre.

Tutto ciò emerge chiaramente dai suoi tanti scritti. La politica- scriveva Peppino Capobianco- non è una cosa repellente, ma l’unico strumento che le vittime di un sistema di cose ingiuste hanno a disposizione per cambiare tale situazione. In tale senso, nell’esistenza degli esseri umani - era solito dire e scrivere - non esiste nulla di più nobile dell’agire politico. Quando aveva un minimo dubbio passeggero al riguardo, si dedicava alle sue ricerche storiche con passione e dedizione. Peppino Capobianco dedicò molte pagine a Corrado Graziadei, ripercorrendo il suo impegno quale antifascista e successivamente protagonista delle tante lotte per l'emancipazione delle classi subalterne della provincia di Caserta. Gli scritti di Capobianco su Graziadei sono tra le più belle e appassionanti pagine di storia della provincia di Caserta, quella Terra di Lavoro che Peppino Capobianco amava fino ad appassionarsi a tutto il suo percorso storico dal fascismo agli anni del dopoguerra, della costituente, delle lotte operaie e contadine.

Capobianco si appassionò allo smembramento di Terra di Lavoro operata dal Fascismo nel 1927. Vi dedica pagine di alta analisi storica per comprendere le motivazioni di quella decisione e in quale maniera essa si potesse rapportare alla debolezza di una classe dirigente dall’ età prefascista fino al Regime. Capobianco non seguì i compagni nella svolta dal Pci al Pds. Al XVII congresso della federazione del Pci di Caserta nel 1990 il suo intervento “Io non vi seguirò”, al di là della condivisione o meno del contenuto, si dimostrò ancora una volta una testimonianza degli alti valori umani, politici e sociali di chi aveva incarnato davvero la politica quale nobile servizio per il riscatto delle classi subalterne meridionali.

Militò per poco tempo in Rifondazione Comunista, ma morì pochi anni dopo il 27 settembre del 1994. La sua storia fu “storia di una sconfitta” - scrive Adelchi Scarano - in quanto negli ultimi anni di vita si trovò nella posizione di essere scambiato per un nostalgico del passato. Il suo dubbio che lasciò quale riflessione ai suoi compagni fu: “Dove finiremo se, invece di cambiar le cose che vanno cambiate, non sappiano far altro che liquidare il soggetto portatore del cambiamento”. Ultime riflessioni di chi aveva testimoniato una nobiltà della politica con la sua forte carica di eticità.

 

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