Gli uomini
illustri delle prime lotte operaie e contadine in Terra di Lavoro
Comune
di Pignataro, 12 marzo 2015
Angelo
Martino
Per
gli uomini che rappresentarono il movimento operaio e contadino in Terra di Lavoro
essere comunisti coincideva con la lotta per cambiare un assetto sociale
fortemente ingiusto. La maggior parte di loro lo fece sia nel corso della lotta
antifascista che nel dopoguerra, allorché si mostrò necessario lottare ed agire
in maniera forte per il riscatto delle classi subalterne. Le loro storie si
intrecciano, le loro vie denotano un percorso comune mirato a dare forza ed
organizzazione agli operai, ai braccianti di Terra di Lavoro per condizioni di
vita più dignitose. Tali uomini furono sempre rispettati dagli avversari
politici, i quali riconoscevano in loro la forza di un impegno politico, che
seppure non condiviso, era caratterizzato da una forte impronta civile di
sacrificio e di passione ideale.
CORRADO GRAZIADEI
Corrado
Graziadei giunse al Partito Comunista Italiano dalle fila socialiste dove aveva
militato fin da giovanissimo prima come segretario cittadino e poi come
segretario della federazione giovanile socialista. La sua iscrizione alla
Federazione Giovanile Socialista Italiana risale al 1907, quando aveva appena
14 anni. Corrado Graziadei era nato l’11 agosto 1893 in Sparanise,
patria di Leopoldo Ranucci, divenuto assessore al
Comune di Napoli nella giunta del Cln. A 16 anni fu
denunciato e condannato dalla pretura di Pignataro Maggiore a pagare cinque
lire di ammenda “quale promotore di processione civile senza licenza e per
disturbo della quiete pubblica”.
Ricorda
Giuseppe Capobianco nel suo testo "Sulle ali
della democrazia" che Terra di Lavoro fu presente al primo congresso regionale
socialista del 14 gennaio 1900 con il gruppo di Sparanise
che già dai primi anni del socialismo partecipa con il suo contributo rilevante
alla costruzione del Partito Nuovo. Ricordiamo che il Partito Socialista era
nato durante il Congresso di Reggio Emilia nel 1895. Graziadei rimase nel PSI
anche dopo la scissione di Livorno, essendo sulla posizione della corrente di
Serrati. Fu nel 1923 che Corrado Graziadei confluì nel Partito Comunista
d’Italia, due anni dopo la scissione di Livorno.
Fu in questo periodo decisivo per le sorti del movimento socialista e comunista
in Terra di Lavoro che Corrado Graziadei di Sparanise
divenne segretario della Federazione di Caserta del PC d'I. Ebbe dal partito
l'incarico di accompagnare, nei primi giorni di ottobre del 1924, il fondatore
del Partito Comunista d'Italia per un congresso clandestino che doveva tenersi
a Castellamare di Stabia.
Antonio
Gramsci doveva presiedere il Congresso della Federazione Napoletana in un
delicato momento storico, dato che pochi mesi prima era stato assassinato
Giacomo Matteotti, e le forze di opposizioni discutevano della maniera di
reagire al Fascismo. Dopo l'assassinio di Matteotti sembrò allora che il
fascismo stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni percorse
il Paese, ma non fu così: l'opposizione parlamentare scelse la linea di
abbandonare il Parlamento, dando luogo alla cosiddetta Secessione
dell'Aventino, in quanto ogni forza politica aveva delle aspettative con i
liberali che speravano in un appoggio della Corona, i cattolici che erano
ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e con questi ultimi erano ostili a
tutti, comunisti compresi.
Gramsci
avanzò al «Comitato dei sedici» - il nucleo dirigente dei gruppi aventiniani -
la proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta; i
comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il
quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura
incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad
abbandonare la riunione». Nell'ottobre 1924 Antonio Gramsci avanzava la
proposta che l'opposizione aventiniana si costituisse in «Antiparlamento», in
modo da segnare nettamente la distanza e svuotare di significato un Parlamento
di soli fascisti. In tale contesto storico Corrado Graziadei ebbe l'incarico di
accompagnare Gramsci nel suo viaggio da Roma a Castellamare.
Corrado
Graziadei rimane affascinato dalla figura di Antonio Gramsci, ospitandolo nella
sua casa di Sparanise. L'episodio è ricordato con
parole di ammirazione e di nostalgia durante il primo Congresso di
ricostruzione del Partito Comunista Italiano nel 1945: "Nella mia vita di
militante spesso ho intrecciato fatti e esperienze che ho fermato nella mente
per trarne da essi ammaestramenti e consiglio. Uno, però, più di ogni altro mi
ha lasciato un'ora, che il tempo non cancellerà mai. Pochi mesi prima che
cadesse nelle mani dei suoi carnefici, Antonio Gramsci, che avevo avuto
incarico di accompagnare ad un convegno clandestino, fu mio ospite."
"In
quella indimenticabile veglia notturna, il maestro si affacciò al balcone e,
respirando ampiamente, mi disse col suo eterno sorriso: Non basta camminare
sulla via giusta, occorre che si abbia la capacità di farvi camminare anche gli
altri". "Noi camminiamo sulla via giusta, ma occorre far leva sulla
nostra onestà, sulla nostra capacità, sul nostro spirito di sacrificio, per
trascinare tutto il popolo su questa stessa via alla conquista
dell'avvenire".
Al
congresso provinciale del 1924, che si svolse clandestinamente in un casolare
di Riardo, Graziadei fu confermato segretario della federazione di Terra di
Lavoro e delegato alla conferenza nazionale di Mara Capanna in Como. Il gruppo
che Corrado Graziadei diresse dal 1924 al 1929 era formato da Benedetto
D’Innocenzo di Calvi, Domenico Schiavo di Caserta, Antonio Marasco di Piedimonte d’Alife, Leoncavallo di Tora e Piccilli, Ambrogio Ursillo di
Marzano Appio e Antonio Barbato di Sparanise.
Graziadei era stato già cacciato dalle ferrovie nel 1923 per aver organizzato
gli scioperi nel 1921-22 e aveva ripreso gli studi laureandosi in legge e
iniziando l’attività di procuratore legale. In particolare, tra i compagni,
Benedetto D'Innocenzo diventa uno dei collaboratori più fidati di Corrado
Graziadei nella propaganda politica nelle campagne e contrade dell'Alto
Casertano e entrambi sono accomunati anche dall'arresto e dal confino per un
anno nel 1937 nelle Isole Tremiti.
Nel
prosieguo Corrado Graziadei riesce ad intessere una rete clandestina di
resistenza con i compagni di Santa Maria Capua Vetere,
con quelli di Capua e di Piedimonte, dando vita
all’unico giornale clandestino durante il Fascismo “Il proletario”. Il giornale
“Il proletario” fu il primo stampato clandestinamente nel Mezzogiorno d’Italia
negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, dal 1942 all’agosto del 1943.
Fu fondato da Aniello Tucci,
ferroviere di Afragola e da Michele Semeraro, giovane universitario di Taranto
che prestava il servizio militare a Capua. Tra i primi collaboratori de “Il
proletario” fu Corrado Graziadei di Sparanise, che,
entrato nella redazione, ne promosse la diffusione nell’Agro Caleno, nel Matese e nella zona di Cassino insieme a Benedetto
D’Innocenzo.
Infatti
la diffusione del quotidiano era divisa in zone con ciascun responsabile che
era coadiuvato da addetti alla diffusione nelle sottozone. In particolare
Corrado Graziadei consegnava le copie da diffondere nella zona di Cassino a
Benedetto D’Innocenzo. La sua diffusione, oltre che in Campania, concerneva
anche Calabria e Puglia grazie all’attivismo dei ferrovieri che riuscivano a
divulgarlo con prudenza e coraggio, anche se episodi cruenti sono da
annoverare, come ricorda lo stesso fondatore Aniello Tucci: “A San Tammaro un
contadino viene preso. E’ disarmato. Grida che non ha partecipato agli scontri
armati e che è estraneo alle squadre partigiane. Viene creduto e liberato. Ma
mentre sta per allontanarsi, un soldato tedesco lo richiama: ha notato uscire
dalla tasca posteriore dei pantaloni un foglio di giornale: è “Il
proletario" ed è la sua condanna a morte. Il numero più famoso de “Il
proletario” è quello del 26 luglio 1943 che annunciava e commentava la caduta
di Mussolini.Aniello Nucci
ricorda che “il lavoro del giornale era così suddiviso: per gli articoli ideologici
e di politica estera redattore era il comunista Michele Semeraro; per gli
articoli di fondo, il socialista Antonio Iannone, per
bollettini e notizie lo stesso Tucci, collaboratori
Corrado Graziadei e Vittorio La Rocca… Graziadei
provvedeva a portare le copie ad un compagno di Piedimonte
d’Alife, questi divideva le copie tra i componenti
del gruppo della zona del Matese… per la zona di
Cassino, sempre Graziadei al compagno D’Innocenzo di Calvi Risorta…
per la zona di Caserta c’era Raffaele Parretta,
macchinista delle Ferrovie dello Stato. Per Portici c’era Agostino Buono, ferroviere… per Napoli periferia c’era il tipografo Iazzetti… per Napoli provincia e zona nolana,
La Rocca. Altri corrieri provvedevano a portare le copie in tutto il Mezzogiorno…”
Quindi
il “Il proletario” fu il giornale che negli ultimi anni del regime fascista
consentì un informazione “fuorilegge” e clandestina dal 1942 fino all’agosto
1943 preziosa e coraggiosa, se consideriamo che lo stesso giornale “L’Unità”
riprese le sue pubblicazioni il 27 luglio 1943 a Milano il giorno successivo
alla caduta di Mussolini. Negli anni del dopoguerra le parole d’ordine “le
terre ai contadini” già erano ben presenti in maniera rilevante dopo la prima
guerra mondiale in tutta Italia grazie ai grandi partiti di massa che le
stavano diffondendo. Corrado Graziadei diede il suo primario contributo alle
lotte contadine in Terra di Lavoro dal 1945 al 1950. Le occupazioni iniziarono
a Nocelleto di Carinola e
proseguirono negli anni successivi in altre zone, avendo il loro momento più
rilevante nel 1949.
Andando
a ritroso, in relazione a Terra di Lavoro la Prima lega contadina della
Provincia nasceva a Sparanise nel 1901, con dei
tentativi di lotta che a Nocelleto e a Carinola erano iniziate già negli anni venti. Nell’inverno
del 1944 la cooperativa “La terra” di Nocelleto di Carinola, non avendo avuto risposta ad una richiesta di
concessione di terre incolte, il 18 febbraio 1945 occupa 1000 moggi di terreno.
La commissione di Napoli si vede costretta a concedere i primi ettari di
terreno alla Cooperativa di Nocelleto e tale
concessione è festeggiata dalla Federterra il primo
maggio con tutta la popolazione. Ricorda Libero Graziadei, figlio di Corrado,
che “i contadini, guidati dal compagno Sciorio,
organizzarono un grande corteo con alla testa la bandiera rossa e il
crocifisso”. Memorabile è il comizio che tenne in quella occasione Corrado
Graziadei insieme a Lombardo Gori e Paolo Fissore.
Dopo
Nocelleto le proteste si estesero a Villa Literno, ove era attiva la cooperativa “l’Agricola” che si
fece promotrice dell’occupazione della tenuta di “Torre del Monaco”e della
tenuta di Gargiulo. Ciò diede coraggio alle sezioni
della Federterra le quali, secondo un’inchiesta del
15 novembre del 1946, avevano raggiunto il numero di ben 41 sezioni, tra cui
annoveriamo quella di Calvi Risorta con 86 iscritti, di Pignataro Maggiore con
121, di Nocelleto con ben 272 iscritti, di Teano con
129, di Falciano di Carinola con ben 170 iscritti, di
Vitulazio con 80 iscritti, di Santa Maria C. V. con
un migliaio di iscritti. Da allora le lotte si estendono, le manifestazioni
diventano man mano imponenti e il 16 maggio 1947 si festeggiò “La giornata del
contadino” con diecimila contadini che manifestarono a Caserta e in centri minori
quali Grazzanise, Pignataro Maggiore e Teano ove
parlarono Graziadei, Ferrante e Picardi.
I
tempi erano maturi per la grande occupazione delle terre incolte del 22
novembre 1949, che fu preparata nei minimi dettagli con tanti attivisti che
agivano in maniera sinergica. Vi parteciparono 12 mila braccianti e un
trionfante Graziadei scrisse: “La provincia viene divisa in quattro zone
principali ed in altre marginali, nel primo giorno nel Carinolese,
che aveva una vera e propria tradizione in questo genere, e sul Sammaritano in
precedenza “saggiati”… Nel contempo si prepara l’intervento delle altre due
zone: l’Aversana con centro a Lusciano, la Sessana con centro a Fasani.
L’occupazione delle terre continuò per ben 25 giorni fino a quando gli
occupanti ottennero la concessione di 1300 moggi di terra distribuita nel
territorio provinciale. Tali 25 giorni di lotte sono descritti in tutta la loro
determinazione, sottolineando altresì la sofferenza, da parte di Corrado
Graziadei, soprattutto nei primi giorni di occupazione delle terre. Il 22
novembre lo stesso Graziadei, con altri attivisti, guida 2000 braccianti ad
occupare 5 tenute dell’agro di Carinola.
La
serata del 22 i carabinieri fecero sgombrare i terreni occupati, ma in seguito
alle subitanee riunioni tenute nella Camera del Lavoro di Sparanise
da Antonio Romeo e in quella di Sant’Andrea del Pizzone
da Michele Zona, i manifestanti acquistano il coraggio di occupare altre tenute
con i primi inevitabili arresti da parte dei carabinieri, tra cui il primo sarà
proprio Corrado Graziadei. Occupazioni e arresti non si arrestano nei giorni
successivi a Capua, a Brezza. Ormai è un evento che contagia l’intera provincia
casertana da Recale a Casagiove, da Curti a San Prisco, da Santa
Maria a san Tammaro, a Sessa Aurunca, Vitulazio, Lusciano. Ogni giorno
si registrano nuove occupazioni di terra a Pietramelara,
a Baia e Latina. Ricorda Mario Pignataro che in quei giorni venivano
distribuiti dei giornalini ciclostilati che aggiornavano i contadini
sull’andamento delle occupazioni.
Scrive
Giuseppe Capobianco nel testo “La questione
meridionale”: Ogni giorno si formavano sette colonne di lavoratori dal
Casertano che puntava sul Demanio di Calvi dove confluiva un’altra colonna
proveniente da Sparanise-Calvi-S’Andrea del Pizzone; due colonne si formavano nella zona aversana ed
occupavano le terre a sud del Volturno, mentre quelle della frazione di Carinola, casale di Nocelleto e
Falciano, occupavano le terre a sud del Volturno. Le popolazioni della zona
aversana occupavano le terre a sud del Volturno, mentre quelle delle frazioni
di Carinola invadevano le terre a nord del Volturno.
Nella piana del Sessano gli occupanti provenivano da
tre diversi punti in cui confluivano Carano, Cellole, Fasani, le frazioni
delle Torraglie.
Un
popolo di contadini che si muovono guidati da uomini in cui credevano,
credibili negli anni fino ad ottenere una legge molto importante: La legge
stralcio del 1950 che conteneva norme per l’espropriazione, bonifica,
trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini e prevedeva l’esproprio
di una quota di possesso superiore ai 750 ettari per i comuni di Cancello e Arnone, Capua, Castel Volturno, Grazzanise, S.Maria La Fossa,
Villa Literno, Vitualzio, Carinola, Francolise, Mondragone e Sessa Aurunca. Nel 1953 Corrado Graziadei fu
eletto deputato del Pci e il suo impegno politico fu tutto un dedicarsi ad una
politica sociale per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei
ferrovieri, facendo parte della Commissione Trasporti. Il suo discorso alla
Camera dei Deputati del 26 ottobre 1953 rappresenta uno dei più appassionati
interventi, che risente di tutta una concezione ben precisa e mirata della
funzione sociale dei trasporti.
La
realtà lavorativa dei ferrovieri era ben conosciuta da Graziadei i quali, come
ricorda il deputato di Sparanise, erano stati uno dei
presidi della libertà nell'agosto del 1922 e di cui si sentiva onorato di
averne fatto parte. L'intervento di Graziadei alla Camera quel 26 ottobre del
1953, è diretto a denunciare le forme di sfruttamento alla quale
l'Amministrazione Ferroviaria ricorreva da sempre: "E' infame, più che
ingiusto attendere che questi vecchi muoiano prima che si veda corrisposto
quanto è loro sacrosanto dovuto. Si faccia quindi giustizia a questi vecchi
lavoratori dei trasporti". Vogliamo rimarcare che Graziadei non ne fa solo
un giusto interesse di categoria, dato che di questo si occupa alla Camera dei
Deputati, ma estende la sua forte richiesta di giustizia sociale alle varie
collettività che vivono situazioni di sfruttamento. “Funzione sociale - dice
Graziadei - significa sensibilità verso gli interessi di una estesa
collettività... una mano che si porge a chi ha più bisogno”.
Graziadei
denuncia la mancanza di personale che costringe i ferrovieri a pesanti turni,
alla mancata concessione di ferie e all'essere impiegati in mansioni di
carattere superiore senza avere un riconoscimento economico dignitoso. Il 30
marzo del 1953 le proteste dei ferrovieri e gli scioperi portano ad una
"punizione" con dieci, venti fino ad arrivare a trenta giorni di
sospensione dal lavoro, a seconda della presunta gravità dei casi segnalati
dall'Amministrazione Ferroviaria". Corrado Graziadei continua a denunciare
abusi e vero e proprio sfruttamento, termine più ricorrente nei suoi interventi.
Nel suo ultimo discorso alla Camera dei Deputati del 1956 si parla ancora di
sfruttamento del personale: I sistemi di sfruttamento in uso già da tempo nelle
Ferrovie dello Stato li abbiamo già denunciati negli anni precedenti e sono
rimasti tutti inalterati... turni di lavoro superiori alle 48 ore settimanali,
centinaia di migliaia di giornate di ferie, che, a dispetto delle norme della
Costituzione, vengono negate..."
Tuttavia
il discorso di Graziadei, che rimase per tanto tempo impresso nelle menti e nei
cuori di tutti i lavoratori, anche per la liricità di alcuni passi, fu quello
del 12 novembre 1954 a favore dei dipendenti statali nel corso della quale si
esplicita: "Desidero ricordarvi che quando parlate di futuri miglioramenti
vi è una categoria di interessati per i quali il futuro è, per legge di vita,
soltanto una possibilità che col tempo si allontana inesorabilmente, sempre di
più... Non è che non lo sia per tutti, ma per i pensionati ogni mese, ogni
giorno, ogni ora che fugge, più si avvicinano le ore del tramonto. E per
migliaia e migliaia, il miraggio di una vecchiaia meno triste, meno penosa, con
minore sofferenza e minore miseria, è svanito in una delusione che non ha
possibilità di compenso".
Anche
nel suo impegno politico di deputato Corrado Graziadei tenne fede alla sua
coerente visione di vita di stare sempre con i più umili e con quelli che
soffrivano condizioni sociali inaccettabili e a dir poco ingiuste. Corrado
Graziadei continuò la sua lotta per l’emancipazione delle classi subalterne
fino alla morte, avvenuta il 13 luglio 1960. Fu proprio Giorgio Napolitano a
ricordare il militante, il partigiano, il politico, il leader delle lotte
contadine alla Camera dei Deputati nella seduta pomeridiana del 14 luglio 1960
con le seguenti parole : “Signor Presidente, è deceduto ieri sera a Roma
Corrado Graziadei, già consultore nazionale e deputato al Parlamento per la
seconda legislatura. Con lui scompare un vecchio, fedele e ardente combattente
della causa della libertà e del socialismo. Al movimento socialista Corrado
Graziadei aderì, infatti, giovanissimo nel lontano 1917 e ne fu per lunghi
decenni instancabile e appassionato pioniere, in una provincia che, per le
condizioni di pesante arretratezza sociale e politica, opponeva allora le più gravi
difficoltà alla penetrazione dell’idea e dell’organizzazione socialista.
Corrado
Graziadei entrò a far parte del Partito Comunista Italiano fin dalla sua
formazione nel 1921, proprio perché convinto assertore della causa
dell’emancipazione del lavoro, della democrazia e del progresso; e proprio
perché comunista, fu per vent’anni un tenace combattente dell’antifascismo,
affrontando carcere e confino. Fu fiero e animoso esponente della Resistenza.
Uomo di sommo disinteresse e probità nella vita politica e in quella
professionale, Corrado Graziadei seppe guadagnarsi, anche al di là della
cerchia del suo partito e del movimento operaio, universale stima e
rispetto. Noi siamo certi che, nel
cordoglio per la sua scomparsa e nella commossa solidarietà con la sua
famiglia, vorranno associarsi al nostro gruppo, al nostro partito che lo ebbe
fedele e combattivo militante per quasi quarant’anni, tutti i settori della
Camera e tutto il Parlamento “Parole mirate ed incisive quelle di Giorgio
Napolitano a memoria di un uomo, Corrado Graziadei, che in una memorabile
lettera, aveva scritto al figlio Libero: “Nella vita cerca di stare sempre con
i più umili e con quelli che soffrono: sarà poco utile ma in quella poesia
troverai la più alta ricompensa e ti sentirai ricco per sempre”
GORI LOMBARDI
La
sezione comunista di Sessa Aurunca venne ricostruita il 19 febbraio 1944 da Gori Lombardi insieme ad altri militanti comunisti che
avevano combattuto clandestinamente nella zona sessana,
come Corrado Graziadei e Benedetto D’Innocenzo avevano fatto nell’agro caleno,
come il professore Alberto Iannone e i compagni di
Capua, come Antonio Marasco, fondatore del movimento operaio a Piedimonte Matese, come Leopoldo Cappabianca a Santa Maria Capua Vetere.
Nella riunione del 19 febbraio, Gori Lombardi fu
eletto all’unanimità segretario della sezione comunista di Sessa Aurunca e
partecipò alla svolta di Salerno, diventando altresì delegato al primo
congresso della federazione comunista campana del 27 febbraio 1944. Sotto la
guida di Gori Lombardi la sezione del Pci di Sessa
raggiunse, dopo un anno, 252 iscritti dai diciotto che ne aveva quando era
stato eletto segretario. Gori Lombardi ebbe un ruolo
importante nella costruzione e nel funzionamento del Comitato di Liberazione
Nazionale in Terra di Lavoro. Partecipò, insieme a Corrado Graziadei, alle
lotte contadine, organizzando marce per l’occupazione delle terre incolte di Carinola.
Insieme
a Corrado Graziadei si occupò, quindi, della questione agraria. “Per tale sensibilità
e capacità - scrive Giuseppe Capobianco - venne
chiamato, dopo il 2 giugno 1946, a dirigere la sezione agraria della
Federazione di Caserta”. Infatti Gori Lombardi è
l’uomo nel quale la federazione pone fiducia e lui non delude le attese. Nel suo
intervento del giorno dell’incarico, tiene un discorso in cui esplicita che
“per la richiesta di terre incolte è necessario precisare il luogo ove
esistono, se sono veramente incolte, quali sono i confini, il moggiatico”. Quindi quello di Gori
Lombardi è un approccio pragmatico alla questione del latifondo. Oltre alle
grandi lotte contadine, non disdegnò l’impegno politico nel partito con la
volontà di svolgere un ruolo di dirigente, e in questo sogno era sostenuto da
Corrado Graziadei e da Enzo Raucci. Come evidenzia
Adolfo Villani, era il periodo in cui “i dirigenti del Pci erano convinti che
solo affrontando il tema della riforma agraria, del rapporto tra agricoltura e
industria, solo considerando centrale il ruolo dei contadini meridionali nella
rivoluzione italiana, si potevano davvero superare gli equilibri politici,
economici e sociali su cui si era retto il regime fascista.
Dopo
tale impegno e militanza, Gori Lombardi, che era nato
a Sessa Aurunca l’8 luglio 1916, riuscì ad entrare in consiglio provinciale nel
1964, tentando senza successo di diventare parlamentare della Repubblica come
Corrado Graziadei nel cui collegio fu candidato nel 1958 e nel 1963. Poteva
ancora dare un contributo rilevante all'emancipazione delle classi subalterne,
ma mancò a soli 49 anni il 23 marzo 1966.
BENEDETTO D’INNOCENZO
Benedetto
D’Innocenzo (Calvi Risorta 29/01/1879-Calvi Risorta 26/02/1962) si rivela
figura storica rilevante nella lotta non solo contro il fascismo, ma
soprattutto per una società più giusta, in stretto collegamento con l'impegno
antifascista, politico e sociale di Corrado Graziadei. Infatti, se la figura di
Corrado Graziadei risulta rilevante al fine di conoscere la storia
dell'antifascismo, dell'organizzazione del Partito Comunista, delle lotte contadine
in Terra di Lavoro, non minore rilievo riveste la figura di Benedetto
D’Innocenzo. D'altronde i rapporti tra Corrado Graziadei e Benedetto
D'Innocenzo non erano solo di impegno politico comune, quasi parallelo, ma
anche di rispetto e grande amicizia. Benedetto D’Innocenzo era titolare di una
fabbrica di bibite che commercializzava nell’agro caleno. Benedetto D'Innocenzo
di Calvi si iscrive al PCd'I nel 1921 e, quando nel
1924 Corrado Graziadei ospita Antonio Gramsci nella sua abitazione di Sparanise, all'incontro è presente anche il D’Innocenzo.
Nell’anno successivo a Taverna Mele, residenza della famiglia D’Innocenzo, si
svolge il congresso provinciale del Pcd’I presieduto
da Celeste Negarville. Nel 1926 l’attivismo
antifascista costa a D'Innocenzo sei anni di ammonizione. Iniziano quelli che
Giuseppe Capobianco definisce “gli anni bui”.
Benedetto D'Innocenzo continua ad essere, tuttavia, uno dei collaboratori più
fidati di Corrado Graziadei nella propaganda politica nelle campagne e contrade
dell'Alto Casertano e entrambi sono accomunati anche dall'arresto e dal confino
nel 1937.
In
particolare Benedetto D'Innocenzo è arrestato e confinato per aver diffuso
notizie sulla guerra civile spagnola, che aveva appreso da Radio Barcellona.
Per tale "reato" a Benedetto D'Innocenzo viene comminato un confino
duro, una condanna a tre anni di isolamento alle Isole Tremiti. La famiglia è
provata, ma il 4 giugno 1937 è Corrado Graziadei stesso a recarsi a Calvi
Risorta per informare e rassicurare la famiglia sulle condizioni di salute
buone a tal punto che "con la sua solita baldanza trascorre le giornate
componendo musica". Anche la signora Graziadei in quel periodo visita
spesso la signora Alessandra Alessandrini e i figli.
Diocrate,
da parte sua, invia una rassicurante lettera al padre, comunicandogli che tutto
va bene e che hanno cambiato l'automobile, mentre il camion va bene e non ha
bisogno di sostituzione. Nel 1942 e 1943 D’Innocenzo fu uno dei più attivi
nella distribuzione del giornale clandestino “Il Proletario”, responsabile
della sua distribuzione nella zona di Cassino.
Dato che Graziadei considerava D'Innocenzo legato ad un socialismo romantico di
stampo bordighiano, i rapporti man mano si incrinano
culminando nella presa di distanza di Graziadei da D'Innocenzo nel congresso
provinciale del PCI dell'ottobre 1945. Negli anni dopo la liberazione Benedetto
D'Innocenzo fu nominato più volte "commissario del popolo" e
ricevette nella sua abitazione per diverse volte Giorgio Napolitano, che allora
era segretario provinciale del PCI di Caserta.
A
rimarcare che in quegli anni si lottava, ci si combatteva, ma erano gli ideali
che muovevano tali uomini, citiamo la testimonianza di Mario Canzano di Calvi Risorta, prima fascista, poi esponente
politico missino e in seguito di Alleanza Nazionale, il quale parla di
D'Innocenzo quale "brava persona" che non ha avuto sentimenti di
vendetta nel dopoguerra.
La sua abitazione di Calvi Risorta, a Taverna Mele lungo la Statale Casilina, fungeva da sede di sezione calena del PCI, ove
venivano spesso esponenti di rilievo dell'allora partito comunista: da Umberto Terracini a Pietro Ingrao, da Giorgio Amendola a Giorgio
Napolitano. Benedetto D'Innocenzo continuò la sua battaglia per l'occupazione
delle terre negli anni 1949-50 a Calvi Risorta con il figlio Diocrate che allora aveva 35 anni.
Infatti
negli anni che vanno dal 1945 al 1950 in Terra di Lavoro, che era tornata ad
essere provincia, ma relativamente a quella che è l'odierna provincia di
Caserta, iniziarono le occupazioni a Nocelleto di Carinola nel 1945 e proseguirono negli anni successivi in
altre zone. Il 27 aprile 1945 la Federterra
festeggiava l'assegnazione dei primi terreni occupati. Da allora tentativi di
occupazione furono sporadici. Bisogna arrivare al periodo che va dal 22
Novembre 1949 al 17 dicembre 1949 in cui vi furono un susseguirsi di
occupazioni di terre incolte:
il 22 novembre 2000
braccianti occupano ben 5 tenute dell'agro di Carinola;
il 24 novembre 2000 braccianti occupano la tenuta Spinelli di S. Maria La Fossa;
il 28 novembre un migliaio di persone occupano la tenuta Pontoni nel territorio
di Vitulazio;
il 3 dicembre circa 2000 persone occupano la tenuta Limata nell'Agro di Carinola;
il 17 dicembre un gruppo imprecisato di contadini occupa la tenuta Porcara di Baia e Latina.
L'impegno
di Benedetto D'Innocenzo è sempre in prima linea anche in questa fase per
favorire la costruzione di una società più giusta. Benedetto D'Innocenzo morì
il 26 febbraio del 1962 a Calvi Risorta.
ALBERTO IANNONE
Dopo
circa trent’anni di impegno a favore delle classi subalterne, anni vissuti con
la coerenza dei grandi uomini che sanno ove è presente la sofferenza e il
dolore di chi subisce condizioni ingiuste ed inique, il professore Alberto Iannone di Capua, a soli quarantasei anni, rimase vittima,
il 5 gennaio 1945, con altri cinque operai del Pirotecnico, del crollo del
solaio del collocamento, sito in corso Appio a Capua, ove lavorava e che aveva
subìto danni rilevanti dal bombardamento e dalle infiltrazioni di acqua piovana.
Alberto
Iannone lasciava l’inseparabile compagna Margherita Troili, ed inoltre un vuoto nel suo Partito Comunista,
nella sua città, e nell’intera provincia di Terra di Lavoro. Il professore Iannone, dopo il rifiuto di prendere la tessera del Partito
Nazionale Fascista, era stato isolato e gli era stato precluso l’ingresso nel
mondo della scuola quale insegnante e la cancellazione dall’albo dei
pubblicisti. Fu con le lezioni private che Alberto Iannone
si procurò da vivere per sé e per la sua famiglia. “Tuttavia” - come scrive
Adolfo Villani - con le sue lezioni private, l’unico lavoro che gli era
consentito, aveva saputo tenere vive le idee di libertà e di democrazia. La sua
scuola era stata un grande crogiolo di antifascismo, di umanesimo, di socialismo,
un luogo privilegiato di formazione di una parte importante della classe
dirigente del dopoguerra di Terra di Lavoro”. Alberto Iannone
proveniva da una famiglia di grandi ideali risorgimentali in quanto il nonno
Alberto Bellentani fu, insieme a Salvatore Pizzi,
protagonista delle grandi conquisti civili del Risorgimento con l’innovativa
esperienza della Normale femminile di Capua, che, come è noto, fu luogo di
incontro delle migliori, seppur diverse, scuole di pensiero della stagione
risorgimentale. Quindi Alberto Iannone, anche in
tempi di oscurantismo e di oppressione delle classi subalterne di Terra di
Lavoro, seppe tenere alti gli ideali di libertà, di giustizia sociale, di
riscatto per gli operai e i contadini di Terra di Lavoro.
Il
nome di Alberto Iannone è noto anche per la stampa
clandestina dell’unico giornale diffuso in tutto il Mezzogiorno da un gruppo di
compagni. Il giornale “Il proletario” fu, infatti, il primo stampato
clandestinamente nel Mezzogiorno d’Italia negli ultimi anni della seconda guerra
mondiale, dal 1942 all’agosto del 1943. Fu fondato da Aniello
Tucci, ferroviere di Afragola e a Michele Semeraro,
giovane universitario di Taranto che prestava il servizio militare a Capua. Tra
i primi collaboratori de “Il proletario” furono Alberto Iannone
e Corrado Graziadei di Sparanise, che, entrato nella
redazione, ne promosse la diffusione nell’Agro Caleno, nel Matese
e nella zona di Cassino insieme a Benedetto D’Innocenzo.
La
sua diffusione, oltre che in Campania, fu promossa anche Calabria e Puglia
grazie all’attivismo dei ferrovieri che riuscivano a divulgarlo con prudenza e
coraggio. In particolare Aniello Nucci
ricorda che “il lavoro del giornale era così suddiviso: per gli articoli
ideologici e di politica estera redattore era il comunista Michele Semeraro;
per gli articoli di fondo, il socialista Antonio Iannone,
per bollettini e notizie lo stesso Tucci,
collaboratori Corrado Graziadei e Vittorio La Rocca [...] Graziadei provvedeva
a portare le copie ad un compagno di Piedimonte d’Alife, questi divideva le copie tra i componenti del gruppo
della zona del Matese… per la zona di Cassino, sempre
Graziadei al compagno D’Innocenzo di Calvi Risorta, per la zona di Caserta
c’era Raffaele Parretta, macchinista delle Ferrovie
dello Stato. Per Portici c’era Agostino Buono, ferroviere, per Napoli periferia
c’era il tipografo Iazzetti, per Napoli provincia e
zona nolana La Rocca. Altri corrieri provvedevano a
portare le copie in tutto il Mezzogiorno…”.
Nella
testimonianza di Aniello Tucci
Alberto Iannone è indicato quale socialista. In
effetti, pur provenendo dal Pcd’I, dopo la
costituzione del Comitato di Liberazione di Capua, ad Alberto Iannone fu chiesto di entrare quale socialista. Alberto Iannone era stato precedentemente protagonista delle lotte
per la libertà e per la resistenza che andavavano di
pari passo con la militanza politica che ebbe inizio nei primi anni giovanili
allorché da educatore aveva rifiutato di prendere la tessera del Partito
fascista. Alberto Iannone fu un grande protagonista
degli ideali resistenziali e politici per l’emancipazione delle classi
subalterne, facendo riferimento alla stagione risorgimentale. La sua azione
politica e sociale fu in collegamento con Corrado Graziadei di Sparanise, con Benedetto D’Innocenzo, con Gori Lombardi di Sessa Aurunca, con Antonio Marasco di Piedimonte Matese e con altri
militanti comunisti e socialisti che, durante il periodo fascista, tennero vivi
gli ideali di libertà, di democrazia e di giustizia sociale.
Tali
ideali saranno raccolti e rilanciati dai suoi “ragazzi", coloro che, dopo
la sua prematura e tragica morte, raccolsero la sua eredità culturale e
politica e parteciperanno al processo di ricostruzione della democrazia e del
paese. Tra questi tre futuri parlamentari della Repubblica: Enzo Raucci, deputato dal 1960 al 1976; Antonio Bellocchio,
deputato dal 1976 al 1992; Pompeo Rendina,
senatore dal 1963 al 1968. Tali uomini daranno vita alla rinascita democratica
di Terra di Lavoro - con la ricostituzione della Provincia, soppressa nel 1926,
con la costruzione del Partito Comunista e della CGIL. Saranno, inoltre, i
protagonisti del movimento di lotte contadine per la conquista delle terre
nell' immediato dopoguerra, poi sfociate in quelle operaie intorno ai poli
industriali e dell’elettronica civile che segnarono il tentativo di una fase di
modernizzazione per l’intera provincia di Caserta.
MICHELE IZZO
Giuseppe
Capobianco, nel ricordare Michele Izzo di Carano di Sessa, usa parole che tendono alla lirica al fine
di comunicare quanto questo uomo, semplice lavoratore, abbia inteso dedicare la
sua vita al riscatto delle classi subalterne di Terra di Lavoro, profondendo il
suo indefesso impegno nel territorio sessano già dal
1920. Michele Izzo fu colui che seppe far intendere agli “intellettuali per
vocazione” che non bisognava cullarsi su un passato di lotta alla resistenza e
vivere di rendita su di esso. Per lui anche la lotta resistenziale era stato un
grande momento di sofferenza, ma essa costituiva il preludio per le grandi
lotte contadine, già iniziate nel 1920, ma da intraprendere, dopo gli anni del
fascismo, ancora con maggiore vigore, spirito di sacrificio ed abnegazione “per
intaccare nelle campagne i rapporti di proprietà e di produzione e conquistare
così una nuova coscienza e una maggiore autonomia delle masse contadine”.
Pertanto
Michele Izzo, insieme ai compagni Giovanni Gentile e Vincenzo Girone di Cellole, a Coronato Sessa di Piedimonte
di Sessa, operò fattivamente per una scelta decisa e determinata, una scelta di
vita per il riscatto delle classi subalterne negli anni delle prime lotte
contadine del 1920 e delle grandi lotte del 1949. Le parole di Giuseppe Capobianco non lasciano adito ad alcun dubbio o
interpretazione: “Essi non furono i depositari di una storia del passato, di una
resistenza tenace alla dittatura, ma gli animatori di una storia vivente
combattuta con lo stesso slancio e la stessa passione di quelle condotte negli
anni della loro giovinezza”. Furono, dunque, amati dai contadini del territorio
sessano i quali saranno loro sempre grati di essere
stati vicini a loro, guidandoli nelle battaglie per la riforma agraria e le
occupazioni delle terre.
Nel
proseguire nel suo omaggio a Michele Izzo e ai suoi compagni Giuseppe Capobianco esplicita: “Il loro merito sta nel fatto che
essi non si chiusero in un aristocratico isolamento, ma continuarono con grande
modestia e passione il loro impegno di combattenti, il loro insegnamento”.
Peppino Capobianco considerava Michele Izzo e gli
altri compagni dei “maestri”, quelli che furono i pionieri già nel 1920, i
grandi “iniziatori”, le avanguardie del movimento operaio e contadino in Terra
di Lavoro”. Infatti nel 1920 la sezione socialista di Sessa Aurunca aveva già
la forza di 26 iscritti, un anno in cui ebbero inizio le prime lotte per la
terra nei territori di Carano di Sessa, Cellole e Piedimonte, con
l'occupazione di ben 1200 moggi di terre demaniali. Anche l’anno successivo,
precisamente nell’estate del 1921, il territorio interessato alla lotta
contadina per la terra è quello di Cellole e del
territorio sessano. E’ l’Ordine Nuovo del 3 luglio
che riporta: “I contadini del piano di Sessa sono in agitazione. Essi hanno
rifiutato di pagare al Comune un canone che si vuole loro imporre per il
possesso delle quote delle terre demaniali. Intanto il movimento si era già
precedentemente organizzato con strumenti nuovi, quali le cooperative e il 17
febbraio 1921 la cooperativa di Carinola, La Massicana, aveva ottenuto una concessione di 360 moggi
della tenuta Tenuta di Torre Vecchia, mentre solo
l’11 marzo dell’anno successivo la cooperativa di Sessa Aurunca Agostino Nifo riceverà dal Ministero dell’Agricoltura l’assegnazione
di 350 moggi della tenuta San Vito, pur dovendo subire il parere contrario
della prefettura di Caserta.”
Giuseppe
Capobianco dedica parole di grande affetto e
riconoscimento a Michele Izzo, in quanto egli stesso, da giovanissimo, fu
guidato da Michele Izzo e dagli altri compagni. Esse sono pregne di un’immensa
gratitudine in quanto il muratore lasciò la sua famiglia, i suoi affetti per
dedicarsi ai suoi amati contadini. Riguardo alla stagione di lotte del 1949 di
cui da giovane lui medesimo fu protagonista, Giuseppe Capobianco
rimarca come il grande successo di quell’anno fu dovuto ad uomini credibili,
uomini in cui i contadini riponevano fiducia per la loro coerenza e il loro
alto senso dell’empatia per la loro causa e così avvenne che “ogni giorno si
formavano sette colonne di lavoratori: dal Casertano che puntava sul Demanio di
Calvi dove confluiva un’altra colonna proveniente da Sparanise-Calvi-S’Andrea
del Pizzone; due colonne si formavano nella zona
aversana ed occupavano le terre a sud del Volturno, mentre quelle della
frazione di Carinola, casale di Nocelleto
e Falciano, occupavano le terre a sud del Volturno. Le popolazioni della zona
aversana occupavano le terre a sud del Volturno, mentre quelle delle frazioni
di Carinola invadevano le terre a nord del Volturno.
Nella piana del Sessano gli occupanti provenivano da
tre diversi punti in cui confluivano Carano, Cellole, Fasani, le frazioni
delle Torraglie.
"Un
popolo di contadini che si muoveva guidati da uomini in cui credevano,
credibili negli anni fino ad ottenere una legge molto importante: la legge
stralcio del 1950 che conteneva norme per l’espropriazione, bonifica,
trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini e prevedeva l’esproprio
di una quota di possesso superiore ai 750 ettari per i comuni di Cancello e Arnone, Capua, Castel Volturno, Grazzanise, S.Maria La Fossa,
Villa Literno, Vitulazio, Carinola, Francolise, Mondragone e Sessa Aurunca. "Agli inizi del Novecento
una cittadina di Terra di Lavoro dove erano giunte le idee emancipatrici del
socialismo fu Piedimonte Matese.
E dato che le idee camminano se a rappresentarle sono uomini credibili e coerenti,
tale fu Antonio Marasco. Di lui si hanno notizie frammentarie grazie alla
ricerca costante e attiva di Giuseppe Capobianco che
le ha rinvenute consultando l'archivio di Caserta.
ANTONIO MARASCO
Antonio
Marasco fu il fondatore nel 1919 della Camera del Lavoro di Piedimonte
Matese insieme agli operai elettrici della centrale,
ove lavorò fino al pensionamento. Tale Camera del Lavoro diede impulso alla
sezione massimalista del Partito Socialista Italiano, la quale aderirà con la
forza dei suoi 200 iscritti al Partito Comunista d'Italia, dopo la scissione di
Livorno. Negli anni del Fascismo Antonio Marasco fu presidente del Comitato di
Liberazione Nazionale di Piedimonte, mentre si
organizzava il Movimento Operaio di Terra di Lavoro con segretario provinciale
Corrado Graziadei, delegato alla conferenza di Capanna Mara presso Como nel
1924, anno in cui Graziadei avrà il compito di accompagnare Antonio Gramsci e
di ospitarlo nella sua abitazione di Sparanise. Di
Antonio Marasco abbiamo altre notizie solo nel dopoguerra, allorché si
organizzeranno i primi movimenti contadini e la sezione comunista di Piedimonte Matese diventerà punto
di riferimento importante per le classi subalterne. Ciò che evidenzia Giuseppe Capobianco è la bellezza di tale realtà in Piedimonte ove negli anni cinquanta "ognuno,
indipendentemente dalle sue idee politiche, si recava per un consiglio, per
denunciare un sopruso, per rivendicare un diritto."
"In
quell'attività - prosegue Giuseppe Capobianco - non
c'era ombra di paternalismo, ma il riconoscimento di un'autorità alternativa a
quella predominante, un'autorità conquistata sul campo, con testarda coerenza.”
Ed è per questo che nel territorio di Piedimonte la
sinistra potrà competere con la Democrazia Cristiana e con le Destre in quegli
anni, per la coerenza "testarda" degli uomini che esprimeva, uomini
credibili che la gente seguiva, se rapportiamo i risultati ottenuti a quelli
delle altre realtà del Casertano ove le sinistre erano decisamente e
prevalentemente minoritarie. In tale contesto Giuseppe Capobianco
con orgoglio ci comunica il risultato delle elezioni amministrative del 1956
con la sinistra che a Piedimonte ottenne un 39,2% di
consensi, riuscendo a competere quasi alla pari con la Democrazia Cristiana che
raggiunse il 42.6%, mentre le Destre il 18,2%. Tale successo fu dovuto
preminentemente ad Antonio Marasco, alla sua credibilità e alla sua coerenza
nel guidare il Partito Comunista Italiano nel territorio di Piedimonte,
uomo a cui anche gli avversari riconoscevano le sue idealità rapportandosi con
lui con gran rispetto e stima.
A
conferma di ciò, quando morì, poco tempo dopo le elezioni, il 15 luglio 1956,
all'età di 62 anni, come ci tiene a sottolineare lo stesso Capobianco
- anche la Chiesa locale non fece alcuna minima opposizione ai funerali
religiosi di Antonio Marasco, data la volontà dei familiari di "portarlo
in Chiesa". Allora vi fu l'accordo per un funerale misto, un funerale
organizzato dal Partito e uno dalla Chiesa per ricordare l'uomo che aveva
inalberato la bandiera rossa sul Monte Cila il primo
maggio 1943, avvenimento che lo stesso Capobianco
definisce “clamoroso”.
GIUSEPPE CAPOBIANCO
Giuseppe
Capobianco è stato uno dei rappresentanti più nobili della vita politica e
culturale di Terra di Lavoro. Il suo fu un impegno civile di primo piano sia
quale comunista coerente nella visione di una società in cui brillassero
giustizia, uguaglianza sociale, progresso civile ed umano delle classi sociali
sfruttate che in relazione al suo ruolo di storico, di autore di ricerche
storiche sulla Resistenza, sulle lotte agrarie, sull’impegno sindacale nella
provincia di Caserta. Nato a Santa Maria a Vico il 27 luglio 1926, scelse
l’impegno politico in giovane età perché profondamente colpito dalla violenza e
dall’assurdità della guerra. La Resistenza era stata per Capobianco
guerra contro nemici interni e contro l’occupazione nazista per cui il
Mezzogiorno, pur non avendo conosciuto il senso di una consapevole e rilevante
partecipazione di lotta di liberazione del Nord, aveva dato contributi di
sangue che testimoniò nel testo “Il recupero della Memoria.”
Ricordiamo
l’apporto determinante di Giuseppe Capobianco, con
Joseph Agnone, nel far luce sulle responsabilità della terribile strage nazista
di Caiazzo. Mentre si dedicava a tale impegno - come
scrive Adelchi Scarano -
“era solito intrattenersi con gruppi di giovani caiatini,
in un ambiente essenzialmente anticomunista, con passione, raccontando le sue
esperienze e i giovani provavano ammirazione per la coerenza e il rigore etico
che comunicava ai suoi attenti ascoltatori”.
L’esperienza
dolorosissima della guerra vissuta “con gli sbandati e gli sfollati” lo portò
all’impegno civile e in breve tempo divenne un dirigente del Partito Comunista
casertano, un dirigente sindacale, un uomo delle istituzioni pubbliche al
servizio della giustizia e dell’uguaglianza. Pur essendo un uomo di parte, era
stimato da tutte le persone di buona volontà della provincia di Caserta e non solo,
in quanto tutti gli riconoscevano l’essere una figura straordinaria di
democratico. Peppino Capobianco dedicò la sua vita a
servire il partito in quanto per lui era porsi al servizio dei lavoratori e
della loro emancipazione.
Sulla
tomba di Peppino Capobianco c’è solo una semplice
scritta: Giuseppe Capobianco 1926-1994, Comunista. Che
significava essere “comunista“ per Giuseppe Capobianco?
Semplicemente lottare per un assetto sociale giusto in maniera fattiva,
considerando il partito non un fine per raggiungere un carrierismo personale o
qualsiasi altro “particulare” guicciardiniano.
Per Peppino Capobianco il partito comunista era solo
uno strumento funzionale alla costruzione di un sistema politico e sociale più
giusto e compiutamente democratico, tenendo presente quell’articolo 3 della
costituzione che invita ad operare nella società per la rimozione delle
disuguaglianze. Tale era il concetto nobile della politica per Capobianco, un agire al servizio degli altri con un
consapevolezza dell’eticità con cui esso deve sapersi proporre.
Tutto
ciò emerge chiaramente dai suoi tanti scritti. La politica- scriveva Peppino Capobianco- non è una cosa repellente, ma l’unico strumento
che le vittime di un sistema di cose ingiuste hanno a disposizione per cambiare
tale situazione. In tale senso, nell’esistenza degli esseri umani - era solito
dire e scrivere - non esiste nulla di più nobile dell’agire politico. Quando
aveva un minimo dubbio passeggero al riguardo, si dedicava alle sue ricerche
storiche con passione e dedizione. Peppino Capobianco
dedicò molte pagine a Corrado Graziadei, ripercorrendo il suo impegno quale
antifascista e successivamente protagonista delle tante lotte per
l'emancipazione delle classi subalterne della provincia di Caserta. Gli scritti
di Capobianco su Graziadei sono tra le più belle e
appassionanti pagine di storia della provincia di Caserta, quella Terra di
Lavoro che Peppino Capobianco amava fino ad
appassionarsi a tutto il suo percorso storico dal fascismo agli anni del
dopoguerra, della costituente, delle lotte operaie e contadine.
Capobianco
si appassionò allo smembramento di Terra di Lavoro operata dal Fascismo nel
1927. Vi dedica pagine di alta analisi storica per comprendere le motivazioni
di quella decisione e in quale maniera essa si potesse rapportare alla
debolezza di una classe dirigente dall’ età prefascista fino al Regime. Capobianco non seguì i compagni nella svolta dal Pci al
Pds. Al XVII congresso della federazione del Pci di Caserta nel 1990 il suo
intervento “Io non vi seguirò”, al di là della condivisione o meno del
contenuto, si dimostrò ancora una volta una testimonianza degli alti valori
umani, politici e sociali di chi aveva incarnato davvero la politica quale
nobile servizio per il riscatto delle classi subalterne meridionali.
Militò
per poco tempo in Rifondazione Comunista, ma morì pochi anni dopo il 27
settembre del 1994. La sua storia fu “storia di una sconfitta” - scrive Adelchi Scarano - in quanto negli
ultimi anni di vita si trovò nella posizione di essere scambiato per un
nostalgico del passato. Il suo dubbio che lasciò quale riflessione ai suoi
compagni fu: “Dove finiremo se, invece di cambiar le cose che vanno cambiate,
non sappiano far altro che liquidare il soggetto portatore del cambiamento”. Ultime
riflessioni di chi aveva testimoniato una nobiltà della politica con la sua
forte carica di eticità.
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