La Calvi
longobarda: da Gastaldato a Contea
Comune
di Pignataro, 02 marzo 2015
Angelo
Martino
Dopo
il crollo dell’Impero romano, Cales, l’antica città degli Ausoni,
non aveva cessato di esistere, ma, pur tra stenti e devastazioni, ridotta a qualche
migliaio di abitanti arroccati alla meglio sulla vecchia arce,
Calvi aveva dimostrato di saper resistere e sopravvivere. Una lastra di
sarcofago, risalente alla fine dell’VIII sec. d.C.,
murata sulla facciata della Cattedrale romanica di Calvi Vecchia, ci offre la
testimonianza della presenza di dignitari longobardi già nel corso dell’VIII sec. d.C., oltre un secolo prima della spartizione
della Contea di Capua, avvenuta nell’879.
Nell’849,
al fine di porre termine alle varie lotte intestine per la supremazia del
principato Longobardo di Benevento, fu stipulata la Divisio
Ducatis con cui il Gastaldato
di Capua afferiva al principato di Salerno, che si estendeva su tutta la
Campania nord-occidentale, l’Alto Molise ed il Basso Lazio. Tali durissime guerre
avevano solo otto anni prima, nel 841, causato, tra l’altro, l’incendio di
Capua e devastato il territorio del basso Volturno, Calvi inclusa. Nell’alta
Campania longobarda esistevano nel 849 solo tre Gastaldati:
Capua, Teano ma, in breve tempo, già nel 860, si arrivò ad una quindicina,
allorché la contea capuana si rese indipendente dal
Principato di Salerno. Tali Gastaldati, secondo la
ricostruzione dello studioso Nicola Cilento, erano quelli di Sora, Atina, Pontecorvo, Isernia, Venafro, Suessula
(Cancello), Sessa, Teano, Carinola, Alife, Telese, Caiazzo, Furculae e Calvi.
In
relazione a Calvi longobarda, il 12 marzo 879, alla morte del vescovo-conte Landolfo II, i suoi nipoti, circa una dozzina, si divisero
i Gastadati della Contea e Calinium
fu attribuito a Landone III, mentre il fratello Atenolfo si prodigava per la costruzione di un castello a
Calvi. In tal modo lo storico Paolo Diacono racconta la situazione che si venne
a creare dopo la morte di Landolfo II: In questi
giorni il vescovo Landolfo morì ucciso[...] I nipoti,
vista la sua fine, si riunirono, e si spartirono sotto giuramento il territorio
di Capua, suddividendolo equamente […] Atenolfo
cominciò a costruire un castello a Calvi. Come scrive Erchemperto,
costruire un castello a Calvi nel 879 significava per Atenolfo
affermare una posizione personale di potenza militare, di autonomia e di
mostrare di avere la forza per conquistarla in un contesto di politica accorta.
Tale
inizio della costruzione di un castello a Calvi da parte di Atenolfo,
che trasformò la città romana in un castrum
fortificato, provocò, tuttavia, l’irritazione di Pandonolfo,
non disposto a tollerare che un Gastaldato si
rafforzasse a poca distanza da Capua. Pertanto, con l’aiuto di Papa Giovanni
VIII, Pandonolfo conquistò tutti gli altri Gastaldati, al fine di rafforzare sè
stesso. Gli mancava solo Calvi che resistette coraggiosamente e Pandonolfo dovette abbandonare l’impresa.
Riguardo all’elevazione del Gastaldato di Calvi a
Contea, si ritiene che ciò sia avvenuto tra la fine del IX secolo e i primi
decenni del X secolo, negli anni del principato di Atenolfo.
In
particolare, i contrasti tra Atenolfo e Atanasio (vescovo-duca di Napoli), per la supremazia sulla
Contea di Capua, causarono, negli anni successivi, vari scontri con alterne
vicende, fino alla capitolazione di Atanasio che, per
ottenere la pace, fu costretto a riconsegnare ad Atenolfo
vari territori della Contea che aveva precedentemente occupato. Per Atenolfo il salto qualitativo dalla signoria di un piccolo Gastaldato a quella di una grande Contea non costituiva un
punto di arrivo, ma soltanto una tappa intermedia per conseguire più importanti
traguardi: il principato di Benevento. Nel gennaio del 900 giungeva felicemente
al culmine il percorso politico di Atenolfo, che da
Gastaldo di Calvi diventava principe dei Longobardi di Capua e Benevento.
Tra
la fine del decimo secolo e il secolo undicesimo si cominciano ad avere le
prime notizie sui nuovi centri abitati nell’agro caleno. Così apprendiamo del
borgo di Montanaro abitato nel 986, di Sparanise nel
988, di Francolise nel 1014, Petrulo nell’XI secolo e Rocchetta nel 1091. In relazione a Petrulo, la
datazione precisa è incerta, ma la notizia è avvalorata da Camillo Pellegrino,
il quale, attingendo ad un antico Chronicon
medievale, che riporta notizie in merito a due nobili calvesi
vissuti nell’undicesimo secolo, ci parla di una “Mathia”
che fu “dignissima” badessa del monastero di Santa
Maria in Capua, discendente da una nobile famiglia del “castrum
Petruri”. Il nome Mathia
potrebbe essere un’errata trascrizione di Maria in quanto, facendo riferimento
ad una pergamena del 1049, lo storico Gennaro Morra ci informa di una
convenzione stipulata tra Pandolfo ed una cugina di
nome Maria, potente badessa del convento di Santa Maria in Capua.
“Mi
sembra ragionevole supporre - scrive Giuseppe Carcaiso,
facendo riferimento ai primi borghi dell’agro caleno - che questi piccoli
agglomerati furono popolati in parte con i discendenti degli antichi Caleni dispersi sulle alture del Callicola
(Monte Maggiore) ed in parte con coloni provenienti da altre regioni”.
Erchemperto e
alcune pergamene stilate intorno all’anno mille ci offrono, inoltre, un’idea di
massima dell’esistenza quotidiana nella contea longobarda di Calvi. Certamente,
analizzando tale materiale, ci si rende conto ovviamente che siamo lontanissimi
da quello che in età romana era stato il prosperoso agro caleno. Dopo la
distruzione di Cales e il suo saccheggio da parte di Alarico
nel corso del V secolo d.C., sulle colline del vecchio Callicola,
alcuni sparuti gruppi di abitanti erano riusciti a sopravvivere alle continue
guerre barbariche che si succedettero nel corso dei secoli successivi. Da tale
nucleo di gruppi di abitanti vi fu gradualmente la costituzione della Calvi longobarda.
Vivendo
in baracche di legno ed anfratti naturali, i primi abitanti della Contea
longobarda di Calvi si dedicarono ad un’economia che possiamo definire di
carattere silvo-pastorale. Venivano allevati,
pertanto, greggi e armenti in buona quantità, e soprattutto maiali la cui
carne, come è noto, insieme al pane e al vino, fu alla base dell’alimentazione
del contadino medievale. Inoltre in alcune zone pedemontane si registra la
presenza di qualche campo di grano e qualche vigneto. Le coltivazioni arboree o
le piante a vegetazione spontanea erano costituite soprattutto da querce,
ulivi, castagne, alberi di pere, mele, fichi e sorbe.
Fu
all’incirca nell’anno mille, che iniziò a svilupparsi la cosiddetta “economia
curtense” nella contea longobarda di Calvi, di cui sono esemplificative le “villae” e le “hereditates” di Roffredo a Sparanise. Riguardo
all'artigianato, Erchemperto afferma che già negli
anni del X d.C. si era tornati a produrre vasi fittili e le arti della
viticoltura. Tale testimonianza si rivela molto importante, in quanto, pur in
quantità decisamente inferiore a quella dell'antica Cales, ci fornisce una
prova che "a Calvi era rimasta qualche traccia di una grande civiltà
tradizione di civiltà e di lavoro", come scrive testualmente Giuseppe Carcaiso.
Tali
condizioni generali di vita andarono, tuttavia, progressivamente migliorando
sicuramente dalla metà del X secolo grazie alla benefica influenza sul
territorio dei due grandi monasteri benedettini di Montecassino e di S.
Vincenzo al Volturno, il cui processo di rinnovamento ebbe una ripercussione
positiva nel graduale processo di rinnovamento della "Longobardia
Minore", interessando di conseguenza anche la contea di Calvi.
Allorché
il miglioramento delle condizioni di vita della Calvi longobarda si mostrò
sempre più incisivo dall’anno Mille, vaste estensioni di terreno vennero
sottratte a paludi e boscaglie e restituite alle tradizionali colture, mentre
il ripopolamento delle campagne fu favorita da una mirata ed accorta politica
di insediamenti rurali che comportava l’obbligo per i coloni di risiedere sulle
terre da bonificare.
E’
da rimarcare che l’insediamento dei coloni fu agevolata da nuovi tipi di
contratti agrari, i cui più rinomati furono quelli di “livello e di pastinato”, che offrivano condizioni molto vantaggiose per
i contadini. Esse erano caratterizzate dalla loro lunga durata e dalle pattuizioni specificate dalle notevoli clausole di “terram pastenare, ossia da
bonificare, propaginare et frugiare o frudiare di silvam infrucuosam roncare vel stirpare, di arbores, salices, poma et alia
fructifera plantare”.
Parimenti
si mostrava gradualmente emergente la proprietà fondiaria che rimase quasi
sempre nelle mani dei signori longobardi, dei monasteri e delle chiese a cui
tali signori concessero nel prosieguo molti terreni. La proprietà di
considerevoli latifondi costituiva per i signori longobardi un motivo di
prestigio ed anche una maniera per implementare le loro ambizioni politiche.
Riguardo alle donazioni di terreni a monasteri e chiese, sono numerosi i
documenti, date le controversie che spesso comportavano. A metà del X secolo
siamo già in presenza di vaste dipendenze monastiche, frutto di donazioni, che,
nella contea longobarda, si accompagnano ai “latifondi laici”.
Tale
consistente mole di documenti recanti donazioni sono da collegare alla
singolare dottrina del Millenarismo, secondo la quale la fine del mondo si
sarebbe verificata nell’anno Mille e i signori longobardi, convertiti al
cattolicesimo, speravano con tali atti di donazione di acquistare benemerenze
nella vita ultraterrena, convinti dai più fanatici ed esaltati predicatori
dell’imminente seconda venuta di Cristo. In tal maniera, nella contea
longobarda di Calvi, si consolida una stirpe dominante formata dai nobili longobardi,
alleata del potere temporale della Chiesa, e una "pars vulgi"
di contadini con un ordinamento sociale ben differenziato, di cui ci fornisce
informazioni dettagliate lo storico del tempo Erchemperto,
una fonte rilevante per conoscere lo stato della contea longobarda di Calvi in
tanti suoi aspetti.
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