Avv. Massimo Taffuri &
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Diritto del Lavoro – Previdenza Ordinaria – Previdenza
Militare
Patrocinante dinanzi alle Sezioni Giurisdizionali della
Corte dei Conti
COME SARA’ IL
PRECARIATO
SCUOLA
A SEGUITO
DELLA RECENTE
SENTENZA
DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
I pochi casi ricorribili dinanzi alla Magistratura
Italiana
La recentissima
sentenza della Corte di Giustizia Europea (Mascolo/MIUR+ altri), ha provocato un gran fermento tra gli
operatori del diritto, oltre che tra il personale docente ed ATA, bistrattati
dalla legislazione e giurisprudenza italiane, in netta contrapposizione con la
normativa comunitaria, riguardo ai contratti a termine nell’ambito del pubblico
insegnamento.
Secondo la Corte
Europea, la normativa italiana che disciplina la materia, poteva essere
ritenuta legittima, se non per un evidente abuso
consentito nell’utilizzare i rinnovi dei contratti a tempo determinato, dovendo
i Magistrati italiani, da ora in poi, seguire i parametri di riferimento riassunti
in sentenza.
La prima
conclusione, dunque, è quella che vede esclusa l’applicazione diretta sul
nostro Territorio della pronuncia della Corte di Giustizia Europea.
La novità non è
di poco conto, atteso che ancor prima dell’intervento europeo, i Magistrati
Italiani erano costretti ad agire nel “blindato” sistema normativo, secondo cui
il precariato nelle scuole non poteva essere stabilizzato per sentenza, perché
- da un lato - la previsione massima dei 36 mesi “di tempo determinato” si
applica al settore privato ed espressamente negato al settore scolastico con la
legge n. 70/2011; dall’altro, perché la Legge n. 124/1999 ha previsto il
possibile ricorso alle supplenze annuali “in attese delle procedure
concorsuali”, come unica condizione di assunzione a tempo indeterminato.
La legge
nostrana prevede, infatti, che per assumere la docenza, deve esservi un
concorso pubblico, ed in mancanza si ricorre alle supplenze; ma i supplenti
vengono attinti da una graduatoria formata da docenti che tali sono già “di
diritto”; la successione di supplenze da parte di uno stesso docente ne
comporta l’avanzamento in graduatoria e può condurlo all’immissione in ruolo,
che non avviene con facilità, visto supplenze che durano da oltre 70 mesi
(sic!).
La Corte ha ravvisato,
dunque, il mancato allineamento ai principi europei per il metodo della “speranza” di essere assunti a tempo
indeterminato, possibile al verificarsi della condizione concorsuale,
assoggettati, nelle more, al macchinoso e fantasioso gioco di fasce e
graduatorie, che ha consentito all’intero apparato scolastico e dirigenziale,
di poter asservire precari (ossia, manodopera a basso costo) per interi anni.
Tale eversiva
condizione, che ha reso possibile stipulare contratti a termini nel settore
scolastico, è stata ritenuta non trasparente, né verificabile né obiettiva la
“motivazione” del termine apposto ai contratti ai docenti.
È proprio
l’assenza di questa “obiettiva ragione” che ha facilitato l’abuso
(incontrollato) nel settore, privando i docenti precari della minima tutela,
che esiste (lo ripetiamo), invece, nel settore privato da oltre 10 anni.
Ragioni
obiettive
La Corte Europea
sostiene esservi, invece, una giusta ragione obiettiva, quando è riconducibile
a politiche sociali (maternità o simili condizioni), tanto da dover sgomberare
il campo da tante illusioni, ritenendo che le supplenze di breve durata, sono
il linea con principi europei, se necessari a coprire temporaneamente un posto
ricoperto da un collega assente giustificatamente.
Allora il giusto
criterio per accertare, innanzitutto, l’abuso, è quello del posto vacante e
disponibile, che tale non sarebbe se il docente o il personale ATA avesse
stipulato un contratto a termine per sostituire un collega infortunatosi ovvero
in maternità.
Da qui la
ragione del perché la Corte non ha del tutto disconosciuto la presenza di
“obiettive ragioni” nelle supplenze scolastiche in Italia, possibili per rispondere,
ad esempio, in maniera adeguata alla domanda scolastica.
Come
agire in giudizio
Ragionando
nell’alveo normativo, c’è da rilevare quanta fatica intellettiva deve essere
impiegata per capire il punto da sostenere nelle future causa da promuovere,
senza incappare in sentenze ben argomentante che evidenziano quanto non sia adeguatamente
provato l’abuso dei contratti a termine.
Pertanto da
subito eliminerei ricorsi giudiziari per le supplenze c.d. brevi o che
rispecchino una “obiettiva ragione”, prima fra tutte, quelle che rispondono ad
un apolitica sociale (sostituzione per maternità, malattia ed altro simile),
mentre sosterrei le azioni avverso le supplenze annuali per posti vacanti e
disponibili.
ATTENZIONE
Nessun caso è
uguale ad un altro; tutto va accertato e provato, avendo ottenuto dalla
sentenza europea, secondo il mio modesto avviso, la sola possibilità di trovare
una maggiore apertura dei Magistrati Italiani, ai quali è stato consegnato il
gravoso compito di capire se vi è o meno “l’abuso” commesso dalla P.A. nel conferire
supplenze di lunga durata, accertando, preliminarmente, l’obiettività della
motivazione, che tale non sarà se il posto e vacante e disponibile.
Un dato statico
conferma l’abuso perpetrato tra il 2006 e 2011, secondo cui il 30% del
personale ATA (secondo alcuni Tribunali il 61%), è stato impiegato con il
contratto a termine, mentre tra il 13% ed il 18%, il personale docente.
Conclusivamente,
atteso che non è stato ritenuta una “obiettiva ragione” l’attesa di un
concorso, se il Governo dovesse decidere di assumere nel 2015 una consistente
componente del corpo docente (e personale ATA), viene meno anche il presupposto
per le future azioni legali, che legittimerebbero solo una richiesta di
risarcimento del danno e riconoscimento dell’anzianità accumulatasi e non
riconosciuta, unitamente alle mensilità estive.
Non si
dimentichi la norma relativa al collegato lavoro (e sue modifiche), riguardo
alle decadenze, che pare siano trascurate da alcune comunicazioni di certi
sindacati, che addirittura riferiscono (pericolosamente) che basterà una
semplice diffida al Ministero per avere la garanzia della stabilizzazione.
Un
punto oscuro rimane, invece, la sanzione !
La Corte di
Giustizia Europea sottolinea che la normativa europea non enuncia un obbligo
generale degli Stati Membri di prevedere la trasformazione in contratto a tempo
indeterminato, ma esalta il principio secondo cui all’abuso avutosi per una
successione di contratti a tempo determinato, si deve applicare una misura che
presenti garanzie di tutela dei lavoratori effettive ed equivalenti al fine di
sanzionare l’abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto
dell’Unione.
Si dovrà
pertanto dimostrare al Giudice l’abuso, e chiedere tutte le misure
sanzionatorie utili perché trovino accoglimento, secondo il principio della
garanzia effettiva ristoratrice dell’abuso medesimo.
Per eventuali
chiarimenti, lo studio si offre disponibile a dei chiarimenti gratuiti.
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