La Contea
longobarda di Calvi nella grande storia dell’Alta Campania medievale
Comune di Pignataro, 02 novembre 2014
Angelo Martino
Dopo il crollo dell’Impero
romano, Cales, l’antica città degli Ausoni, non aveva cessato di esistere , ma, pur tra stenti
e devastazioni, ridotta a qualche migliaio di abitanti arroccati alla meglio
sulla vecchia arce, Calvi aveva dimostrato di saper
resistere e sopravvivere. Una lastra di sarcofago, risalente alla fine dell’VIII sec. d.C., murata sulla facciata della Cattedrale romanica
di Calvi Vecchia, ci offre la testimonianza della la presenza di dignitari
longobardi già nel corso dell’VIII sec. d.C., oltre
un secolo prima della spartizione della contea di Capua, avvenuta nell’879.
Nell’849, al fine di porre
fine alle varie lotte intestine per la supremazia del principato Longobardo di
Benevento, fu stipulata la Divisio Ducatis con cui il Gastaldato di
Capua afferiva al principato di Salerno, che si estendeva su tutta la Campania
nord-occidentale, l’Alto Molise ed il Basso Lazio. Tali durissime guerre
avevano solo otto anni prima, nel 841, causato, tra l’altro, l’incendio di
Capua e devastato il territorio del basso Volturno, Calvi inclusa.
Nell’alta Campania
longobarda esistevano nel 849 solo tre Gastaldati:
Capua, Teano ma che, in breve tempo, già nel 860, si arrivò ad una quindicina,
allorché la contea capuana si rese indipendente dal
Principato di Salerno. Tali Gastaldati, secondo la
ricostruzione dello studioso Nicola Cilento, erano quelli di Sora, Atina, Pontecorvo, Isernia, Venafro, Suessula
( Cancello) , Sessa, Teano, Carinola, Alife, Telese, Caiazzo, Furculae e Calvi.
In relazione a Calvi
longobarda, il 12 marzo 879, alla morte del vescovo-conte Landolfo
II, i suoi nipoti, circa una dozzina, si divisero i Gastadati
della contea e Calinium fu attribuito a Landone III, mentre il fratello Atenolfo
si prodigava per la costruzione di un castello a Calvi. Tale inizio della
costruzione di un castello a Calvi da parte di Atenolfo,
che trasformò la città romana in un castrum fortificato,
provocò l’irritazione di Pandonolfo, non disposto a
tollerare che un Gastaldato si rafforzasse a poca
distanza da Capua. Pertanto, con l’aiuto di Papa Giovanni VIII, Pandonolfo conquistò tutti gli altri Gastaldati,
al fine di rafforzare se stesso. Gli mancava solo Calvi che resistette
coraggiosamente e Pandonolfo dovette abbandonare
l’impresa.
Riguardo all’elevazione
del Gastaldato di Calvi a Contea, si ritiene che ciò
sia avvenuto tra la fine del IX secolo e i primi decenni del X secolo, negli anni
del principato di Atenolfo.
In particolare, i
contrasti tra Atenolfo e Atanasio
(vescovo-duca di Napoli), per la supremazia sulla Contea di Capua, causarono,
negli anni successivi, vari scontri con alterne vicende, fino alla
capitolazione di Atanasio che per ottenere la pace fu
costretto a riconsegnare ad Atenolfo vari territori
della contea che aveva precedentemente occupato. Per Atenolfo
il salto qualitativo dalla signoria di un piccolo Gastaldato
a quella di una grande contea non costituiva un punto di arrivo, ma soltanto
una tappa intermedia per conseguire più importanti traguardi: il principato di
Benevento. Nel gennaio del 900 giungeva felicemente al culmine il percorso
politico di Atenolfo, che da Gastaldo di Calvi
diventava principe dei Longobardi di Capua e Benevento.
Tra la fine del decimo
secolo e il secolo undicesimo si cominciano ad avere le prime notizie sui nuovi
centri abitati nell’agro caleno. Così apprendiamo del
borgo di Montanaro, abitato nel 986, di Sparanise nel
988, di Francolise nel 1014, Petrulo
nell’XI secolo e Rocchetta nel 1091. In relazione a Petrulo, la datazione precisa è incerta, ma la notizia è
avvalorata da Camillo Pellegrino, il quale, attingendo ad un antico Chronicon medievale, che riporta notizie in merito a due
nobili calvesi vissuti nell’undicesimo secolo, ci
parla di una “Mathia” che fu “dignissima”
badessa del monastero di Santa Maria in Capua, discendente da una nobile
famiglia del “castrum Petruri”.
Il nome Mathia potrebbe essere un’errata trascrizione
di Maria in quanto, facendo riferimento ad una pergamena del 1049, lo storico
Gennaro Morra ci informa di una convenzione stipulata tra Pandolfo
ed una cugina di nome Maria, potente badessa del convento di Santa Maria in
Capua.
“Mi sembra ragionevole
supporre - scrive Giuseppe Carcaiso, facendo
riferimento ai primi borghi dell’agro caleno - che
questi piccoli agglomerati furono popolati in parte con i discendenti degli
antichi Caleni dispersi sulle alture del Callicola (Monte Maggiore) ed in parte con coloni provenienti
da altre regioni.”
Erchemperto e
alcune pergamene stilate intorno all’anno mille ci offrono, inoltre, un’idea di
massima dell’esistenza quotidiana nella contea longobarda di Calvi. Certamente,
analizzando tale materiale, ci si rende conto ovviamente che siamo lontanissimi
da quello che in età romana era stato il prosperoso agro caleno.
Dopo la distruzione di Cales e il suo saccheggio da parte di Alarico
nel corso del V secolo d.C., sulle colline del vecchio Callicola,
alcuni sparuti gruppi di abitanti erano riusciti a sopravvivere alle continue
guerre barbariche che si succederono nel corso dei
secoli successivi. Da tale nucleo di gruppi di abitanti vi fu gradualmente la
costituzione della Calvi longobarda.
Vivendo in baracche di
legno ed anfratti naturali, i primi abitanti della Contea longobarda di Calvi
si dedicarono ad un’economia che possiamo definire di carattere silvo-pastorale. Venivano allevati, pertanto, greggi e
armenti in buona quantità, e soprattutto maiali la cui carne, come è noto, insieme
al pane e al vino, fu alla base dell’alimentazione del contadino medievale.
Inoltre in alcune zone pedemontane si registra la presenza di qualche campo di
grano e qualche vigneto. Le coltivazioni arboree o le piante a vegetazione
spontanea erano costituite soprattutto da querce, ulivi, castagne, alberi di
pere, mele, fichi e sorbe.
Fu, all’incirca nell’anno
mille, che iniziò a svilupparsi la cosiddetta “economia curtense” nella contea
longobarda di Calvi, di cui sono esemplificative le “villae”
e le “hereditates” di Roffredo
a Sparanise. Riguardo all'artigianato, Erchemperto afferma che già negli anni del X d. C. si era
tornati a produrre vasi fittili e le arti della viticoltura. Tale testimonianza
si rivela molto importante, in quanto, pur in quantità decisamente inferiore a
quella dell'antica Cales, ci fornisce una prova che
"a Calvi era rimasta qualche traccia di una grande civiltà tradizione di
civiltà e di lavoro", come scrive testualmente Giuseppe Carcaiso.
Tali condizioni generali
di vita andarono, tuttavia, progressivamente migliorando sicuramente dalla metà
del X secolo grazie alla benefica influenza sul territorio dei due grandi
monasteri benedettini di Montecassino e di S. Vincenzo al Volturno, il cui
processo di rinnovamento ebbe una ripercussione positiva nel graduale processo
di rinnovamento della "Longobardia Minore",
interessando di conseguenza anche la contea di Calvi. Allorché il miglioramento
delle condizioni di vita della Calvi longobarda si mostrò sempre più incisivo
dall’anno Mille, vaste estensioni di terreno vennero sottratte a paludi e
boscaglie e restituite alle tradizionali colture, mentre il ripopolamento delle
campagne fu favorita da una mirata ed accorta politica di insediamenti rurali
che comportava l’obbligo per i coloni di risiedere sulle terre da bonificare.
E’ da rimarcare che l’insediamento dei coloni fu agevolata da nuovi tipi di
contratti agrari, i cui più rinomati furono quelli di “livello” e di “pastinato”, che offrivano condizioni molto vantaggiose per
i contadini. Lo storico Nicola Cilento definisce tali convenzioni di “livello”
e di “pastinato” . Esse erano caratterizzate dalla
loro lunga durata e dalle pattuizioni specificate
dalle notevoli clausole di “terram pastenare”, ossia da bonificare, “propaginare
et frugiare” o “frudiare” di “silvam infrucuosam roncare vel stirpare, di arbores, salices, poma et
alia fructifera plantare”.
Parimenti si mostrava
gradualmente emergente la proprietà fondiaria che rimase quasi sempre nelle
mani dei signori longobardi, dei monasteri e delle chiese a cui tali signori
concessero nel prosieguo molti terreni. La proprietà di considerevoli latifondi
costituiva per i signori longobardi un motivo di prestigio ed anche una maniera
per implementare le loro ambizioni politiche. Riguardo alle donazioni di
terreni a monasteri e chiese, sono numerosi i documenti, date le controversie
che spesso comportavano. A metà del X secolo siamo già in presenza di vaste
dipendenze monastiche, frutto di donazioni, che, nella contea longobarda, si
accompagnano ai “latifondi laici”. Tale consistente mole di documenti recanti
donazioni sono da collegare alla singolare dottrina del Millenarismo, secondo
la quale la fine del mondo si sarebbe verificata nell’anno Mille e i signori
longobardi, convertiti al cattolicesimo, speravano con tali atti di donazione
di acquistare benemerenze nella vita ultraterrena, convinti dai più fanatici ed
esaltati predicatori dell’imminente seconda venuta di Cristo.
In tal maniera, nella
contea longobarda di Calvi, si consolida una stirpe dominante formata dai
nobili longobardi, alleata del potere temporale della Chiesa, e una "pars vulgi" di contadini con un ordinamento sociale ben
differenziato, di cui ci fornisce informazioni dettagliate lo storico del tempo
Erchemperto, una fonte rilevante per conoscere lo
stato della contea longobarda di Calvi in tanti suoi aspetti.
Bibliografia:
Giuseppe Carcaiso - Calvi e l’Alta Campania - 1996
Visita: www.CalviRisorta.com