Il grande coraggio di CALES contro Roma nella cronaca storica di Tito Livio

Comune di Pignataro, 25 ottobre 2014

Angelo Martino

Collocata ai piedi delle montagne che seguono verso nord il limite della pianura campana, l’antica Cales fu un importante luogo strategico per il controllo delle vie di accesso dalla Campania al Lazio e al Sannio. Il sito, nel territorio dell’attuale Calvi Risorta, già frequentato in età preistorica (almeno fin dall’Eneolitico), a partire dall’Età del Ferro divenne sede di un insediamento con caratteri urbani attestati dall’VIII secolo a. C. da aree di Necropoli e da capanne circolari del VII-VI secolo a.C.

Si è ipotizzato che la fase più antica delle mura risalga al V secolo a. C. con opere di canalizzazione e bonifica.  Nel 336 a.C. Tito Livio (Ab Urbe condita - VIII, 16) ci testimonia della guerra combattuta dai Romani contro gli Ausoni, un popolo che abitava la città di Cales: “Insequens annus, L. Papirio Crasso K. Duillio consulibus, Ausonum magis novo quam magno bello fuit insignis. ea gens Cales urbem incolebat.” (L’anno successivo, durante il consolato di Lucio Papirio Crasso e Cesone Duilio, si segnala per una guerra, combattuta con gli Ausoni, un popolo che abitava la citta di Cales).

Tito Livio, principale fonte di informazioni sul conflitto tra Cales e Roma (Ab Urbe condita – VIII -16) ci narra ancora che “essi avevano unito le proprie forze con quelle dei Sidicini; ma siccome l’esercito delle due genti era stato sconfitto in un’unica battaglia tutt’altro che memorabile, a causa delle vicinanze delle rispettive città fu tanto pronta alla fuga quanto sicuro fu il rifugio trovato nella fuga stessa” (“Sidicinis finitimis arma conxiuerat; unoque proelio haud haud sane memorabili duorom populorom exercitus fusus propinquate urbium et at fugam ipsa tutior fuit).
Quando Marco Fabio, cavaliere dell’esercito romano, fu catturato dagli Ausoni, fu condotto in catene nella cittadina fortificata di Cales ove rimase prigioniero per breve periodo di tempo.

Il senato romano affidò allora al condottiero Marco Valerio Corvo, il più grande ed autorevole comandante dell’epoca (ut maximum ea tempestate imperatorem), il comando supremo dell’esercito per dirigersi a Cales ove era scoppiata di nuovo la ribellione (unde bellum ortum erat), mettendo in fuga i nemici che non si erano ancora ripresi dalla precedente battaglia.

Tito Livio scrive che “le legioni romane arrivarono di fronte alla capitale degli Ausoni, Cales, e cominciò l’assedio (moenia ipsa oppugnare est adgressus). Per prima cosa i romani ripulirono il terreno intorno all’area, circondarono la citta e l’ardore dei soldati romani si mostrava talmente incontenibile da sospingerli ad assaltare le mura nemiche con le scale. (et militum quidem is erat ardor ut iam inde cum scalis succedere ad muros vellent evasurosque contenderent).

Poiché l’impresa era ardua, il comandante Marco Valerio Corvo preferì portare a compimento il suo piano puntando sul lavoro dei soldati in modo da salvaguardare la loro incolumità (Corvus, quia id arduum factu erat, labore militum potius quam periculo peragere inceptum voluit). Decise così di costruire rampe che partivano dall’accampamento romano e gradualmente si avvicinavano alle mura. Le rampe erano fatte di tronchi d’albero e di terra che permettevano di raggiungere la sommità delle mura di cinta. Da qui i romani potevano scatenare un attacco massiccio contro la città. Durante la costruzione delle rampe i legionari piazzavano delle catapulte tutt’intorno per impedire ai nemici di salire in cima alle mura e difenderle. Ma per una fortunosa circostanza l’impiego di questo armamentario non fu necessario.

Infatti Marco Fabio, prigioniero nelle galere calene, sfruttando la disattenzione delle guardie in un giorno di festa, si liberò dalle catene e, con una fune legata a un bastione del muro, si calò lungo il muro stesso fino alle strutture d’assedio erette dai romani e convinse il generale ad attaccare i nemici frastornati dal vino e dai banchetti (namque M. Fabius, captiuus Romanus, cum per neglegentiam custodum festo die uinculis ruptis per murum inter opera Romanorum, religata ad pinnam muri reste suspensus, manibus se demisisset, perpulit imperatorem ut uino epulisque sopitos hostes adgrederetur).

Gli Ausoni e la loro capitale furono sopraffatti con uno sforzo non più arduo di quello impiegato per sconfiggerli in battaglia. Il bottino ottenuto risultò essere ingente e, posto un presidio a Cales, le legioni furono ricondotte a Roma (praeda capta ingens est praesidioque imposito Calibus reductae Romam legiones).

Per questo successo il Senato decretò il meritato trionfo a Marco Valerio Corvo (consul ex senatus consulto triumphauit). Il trionfo nella Roma antica rappresentava il massimo onore tributato con una cerimonia solenne al generale che avesse conseguito un’importante vittoria. Furono i consoli Tito Veturio e Spurio Postumio ad essere incaricati di portare a termine la guerra contro i Sidicini, anticipando i desideri del popolo e per rendere un servizio ai plebei, presentarono la proposta di insediare una colonia a Cales (de colonia deducenda Cales rettulerunt). Per questa iniziativa, il Senato decise di inviare 2500 uomini ed elesse un triumvirato formato da Cesone Duilio, Tito Quinzio e Marco Fabio con il compito di fondare il possedimento e di assegnare la terra (factoque senatus consulto ut duo milia quingenti homines eo scriberentur, tres uiros coloniae deducendae agroque diuidundo creauerunt K. Duillium T. Quinctium M. Fabium). Abbandonata dai Romani dopo la sconfitta delle Forche Caudine, Cales fu riconquistata nel 315 a. C.

Durante la terza guerra sannitica (298-290 a.C.), il suo territorio fu devastato (Tito Livio, X, 29); la città fu poi scelta come sede di una delle quattro questure decretate dal Senato Romano nel 267 a. C. e a quel periodo risale la coniazione delle monete con legenda Caleno.

La città fu nuovamente devastata ad opera di Annibale durante la seconda guerra punica (Tito Livio, XXII, 13; nel corso della stessa guerra, nel 209 a.C., fu una delle dodici colonie che si rifiutò di fornire aiuti a Roma (Tito Livio, XXVII, 9, 10): “Erano allora trenta le colonie del popolo romano. Dodici di queste, avendo tutte i loro ambasciatori a Roma, negarono ai consoli di poter dare né soldati né denaro. Furono queste Ardea, Nepete, Sutrio, Alba, Carseole, Cora, Suessa, Circello, Sezia, Cales, Narnia, Interamna (Triginta tum coloniae populi romani erant; ex iis duodecim, cum omnia legationes Romae essent, negaverunt consulibus esse unde milites pecuniamque darent. Eae fuere Ardea, Nepete, Sutrium, Alba, Carseoli, Sora, Suessa, Circeii, Setia, Cales Narnia, Interamna).

Per questo motivo Cales fu punita cinque anni dopo, con l’imposizione di pesanti tributi e la perdita della relativa autonomia di cui aveva goduto (Tito Livio, XXIX, 15, 37): “Decretarono che i consoli chiamassero a Roma i magistrati e dieci dei principali cittadini di Ardea, Nepete, Sutrio, Alba, Carseole, Cora, Suessa, Circello, Sezia, Cales, Narnia, Interamna[…] comandassero loro che ciascuna desse duplicato il numero di quel più di soldati, che avevano dato al popolo romano dal giorno che il nemico avesse posto piede in Italia, nonché centoventi cavalieri (decreverunt ut consules magistratus denosque principes Ardea, Nepete, Sutrium, Alba, Carseoli, Sora, Suessa, Circeii, Setia, Cales Narnia, Interamna[…] Romam excirent; iis impararent quantum quaeque earum coloniarum militum plurimo dedisset populo Romano ex quos hostes in Italia essent, duplicatum eius summae numerum peditum daret et equites centenos vicenos).

Nel Foro di Cales, furono inoltre messi a morte i maggiorenti di Capua, rei della defezione ad Annibale della loro città.

 

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