Bruciatura di
residui vegetali... la nota del comando del Corpo Forestale
CDP, 12 giugno 2014
Pietro Ricciardi
La lettera inviata dal
nostro lettore, e appena pubblicata, ci ha presi in contropiede poiché è giunta
proprio mentre ci accingevamo a trattare l'argomento, nella convinzione che
l'assessore Bovenzi abbia accolto con troppo
entusiasmo un suggerimento che andava approfondito piuttosto che fatto proprio
acriticamente.
Avevamo sollevato le
nostre perplessità già quando era giunto il suggerimento da cui potrebbe essere
scaturita l'ordinanza sindacale, confidando che prima di mettere nero su bianco
il testo di un'ordinanza, Cuccaro e i suoi assessori provvedessero ad una
verifica di fattibilità.
Evidentemente oltre ai
tanti problemi che giornalmente solleviamo in merito alla mala gestione del
nostro paese da parte di questa amministrazione retta dalle indennità, vi è
anche quello della estrema superficialità.
Basterebbe seguire la
cronaca casertana per leggere, ad esempio, la nota del comandante provinciale di del Corpo
Forestale di Stato di Caserta per sapere che i militari non prendono in
considerazione le ordinanze sindacali che non possono essere
"contra legem", per almeno cercare di
approfondire il tema.
Considerato che a questo
punto ogni nostro ulteriore approfondimento sarebbe superfluo, ci limitiamo a
pubblicare di seguito la nota del Comando provinciale Corpo forestale dello
Stato Avellino dell'8 aprile 2014, prot. n. 3673,
avente per oggetto: "Chiarimenti sulla bruciatura di residui vegetali da
attività agricola".
DI SEGUITO IL TESTO DELLA NOTA:
"Pervengono
all'ufficio scrivente numerose richieste di chiarimenti, da parte dei
cittadini, in ordine alla possibilità di bruciare sul luogo di produzione i
residui vegetali provenienti da attività agricole, e tanto anche sulla scorta
di alcune ordinanze, recentemente emanate da Sindaci della provincia, le quali
autorizzano tale condotta.
Si rende, pertanto,
opportuno ribadire la posizione in merito di questo Comando, già espressa in
precedenti diramazioni indirizzate ai Reparti dipendenti, Ai sensi
dell'articolo 185, comma 1, lettera f, del Dlgs n.
152/2006 es. m. i. (cd."Testo unico"
ambientale), "paglia, sfalci, potature, nonché altro materiale agricolo o
forestale" non sono assoggettati alla disciplina di cui alla Parte IV del
medesimo provvedimento normativo, inerente alla gestione dei rifiuti, soltanto
se trattasi di materiali "non pericolosi, utilizzati in agricoltura o
nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, mediante
processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la
salute umana".
Al di fuori di tali
ipotesi, i suddetti materiali sono quindi assimilati ai rifiuti (speciali, ex
articolo 184), sicché la loro combustione nel sito di produzione si configura
come una attività di gestione, nella forma dello smaltimento, priva di
autorizzazione.
La fattispecie integra
l'ipotesi di reato contravvenzionale sanzionato dall'articolo 256 del T.u.a. ("gestione non autorizzata"), con
l'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro.
Per inciso, si menziona
l'esistenza di un disegno di legge collegato alla legge di stabilità per l'anno
2014, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 15 novembre 2013, il quale
all'articolo 30 prevedeva la modifica dell'articolo 185 del T.u.a.,
con l'introduzione della cd. "combustione controllata dei materiali
vegetali di origine agricola". Si disponeva, cioè, che i Comuni,
"(...) tenuto conto delle specifiche peculiarità del territorio, con
propria ordinanza individuano le aree, i periodi e gli orari in cui è
consentita la combustione controllata, sul sito di produzione, del materiale
vegetale di origine agricola, suddiviso in piccoli cumuli ed in quantità non
superiori a tre metri stero per ettaro, mediante metodi o processi che in ogni caso
non danneggino l'ambiente o mettano in pericolo la salute umana. Nei periodi di
massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalla Regione, la
bruciatura di residui vegetali agricoli o forestali è comunque vietata."
Tale Ddl,
tuttavia, non è mai stato approvato dalle Camere.
Viceversa, con la legge n.
6 del 6 febbraio 2014 — di conversione del Dl n. 136/2013, cd. decreto sulla
"Terra dei Fuochi" — è stato introdotto nel T.u.a.
l'articolo 256-bis, che prevede lo specifico reato di "combustione
illecita dei rifiuti", ascrivibile a "chiunque appicca il fuoco a
rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non
autorizzate".
La sanzione prevista è la
reclusione da due a cinque anni (da tre a sei anni se si tratta di rifiuti
pericolosi): si tratta quindi di un'ipotesi di delitto, piuttosto che di
contravvenzione, a differenza della fattispecie prevista dall'articolo 256 del T.u.a.
Verosimilmente, tale norma
non si applicherà a quantità modeste di residui vegetali bruciati in pieno
campo, avendo ad oggetto soltanto i rifiuti abbandonati ovvero depositati in
maniera incontrollata in aree non autorizzate. La nozione di "deposito
incontrollato" è ricavabile, a contrario, da quella di "deposito
temporaneo", di cui all'articolo 183, lettera bb),
del T.u.a., ossia il raggruppamento per categorie
omogenee di rifiuti effettuato prima della raccolta, nello stesso luogo di
produzione, nel rispetto di precisi limiti, quantitativi e temporali.
Si evidenzia, altresì, che
il comma 6 dell'articolo 3 della legge 6/2014 prevede l'applicazione delle
sanzioni di cui all'articolo 255 del T.u.a. se la
condotta descritta nel comma 1 ha ad oggetto rifiuti di cui all'articolo 184,
comma 2, lettera e), ossia vegetali provenienti da aree verdi quali giardini,
parchi e aree cimiteriali (rifiuti urbani). Appiccare il fuoco a materiali di
questo tipo, qualora l'autore del fatto sia un soggetto privato non titolare di
impresa, costituisce quindi un illecito amministrativo, ai sensi del richiamato
articolo 255 ("abbandono di rifiuti"), punito con la sanzione
pecuniaria da 300 a 3.000 euro.
In definitiva, fatta salva
solo l'eccezione di cui al capoverso precedente, la pratica dell'abbruciamento
dei residui vegetali in pieno campo integra una violazione di carattere penale.
Il personale del Corpo
forestale dello Stato, pertanto, nel suo servizio d'istituto, conformemente
anche agli indirizzi operativi costantemente impartiti dall'A.g.,
deve contrastare tale fenomeno con tutti gli strumenti previsti dal C.p.p., in
primis procedendo alla comunicazione della notizia di reato a carico degli
autori.
Non si ignora,
naturalmente, il divario tra le nuove prescrizioni normative e le pratiche
agricole tradizionali, così come le difficoltà imposte ai cittadini, specie se
piccoli coltivatori, dalla necessità di adeguarsi alle prime. In tal senso, le
ordinanze sindacali che legittimano la condotta in esame non fanno che
ingenerare confusione e vane aspettative nella popolazione.
Tali provvedimenti sono
talvolta presentati come "ordinanze contingibili ed urgenti" ex
articolo 191 del T.u.a., quindi con possibilità di
derogare alle normative vigenti; tuttavia il potere di ordinanza del Sindaco
appare circoscritto da precisi presupposti normativi analiticamente indicati
nel predetto articolo, quali: una necessità eccezionale ed urgente di tutela
della salute pubblica e dell'ambiente: la limitazione nel tempo (ed infatti, i
suddetti provvedimenti hanno un'efficacia non superiore a sei mesi); l'assoluta
inevitabilità del ricorso a forme di gestione straordinaria dei rifiuti.
Tale ultima condizione, in
particolare, secondo la Cassazione non può essere integrata da ragioni
finanziarie (quali l'eccessiva onerosità del servizio di gestione per il
Comune, o per i cittadini), non sussistendo un principio di giustificazione di
tipo economico nel sistema, già previsto dal Dlgs
22/1997 (decreto Ronchi).
Per tali motivi, ordinanze
così motivate appaiono del tutto prive del loro fondamento normativo.
Parimenti illegittimi sono
i provvedimenti sindacali che autorizzano la pratica in esame presentandola
come strumento di lotta fitosanitaria, in particolare a tutela della
castanicoltura; in tali casi, essi hanno un oggetto 'più circoscritto,
rivolgendosi ai proprietari o conduttori di castagneti, autorizzati
all'abbruciamento dei ricci, del fogliame e delle felci per contrastare la
diffusione di un insetto patogeno, quale il cinipi de del castagno.
Tali ordinanze, per tutti
i motivi innanzi esposti, sono contrarie alle leggi nazionali; oltretutto, le
stesse si pongono anche in contrasto con fonti regolamentari che disciplinano
specificamente la materia, quali, innanzitutto, il Dm del Ministero delle
politiche agricole, alimentari e forestali del 30 ottobre 2007 ("Misure
d'emergenza per impedire la diffusione del cinipide del castagno: Recepimento
della decisione della Commissione 2006/464/Ce"): questo prevede che siano
le competenti strutture del Servizio fitosanitario regionale a delimitare le
zone di insediamento del patogeno, nell'ambito di controlli ufficiali, e a
prescrivere le misure di contrasto, tra le quali non rientra la distruzione di
parti arboree (prevista, nelle zone "focolaio", solo all'inizio della
diffusione), essendosi ormai optato per forme di lotta biologica, tramite
l'introduzione di organismi antagonisti. Oltre a ciò, si segnala come nelle
"Linee regionali di indirizzo agronomico per prevenire e contrastare il
degrado dei castagneti da frutto", approvate con delibera della Giunta
regionale della Campania n. 104 del 27 maggio 2013, si prescriva che il
materiale di risulta derivante da interventi di ripulitura sia lasciato
"necessariamente nel castagneto al fine di sostenere la fertilità organica
del suolo. (...) In ogni caso occorre evitare di procedere alla bruciatura della
ramaglia in quanto tale operazione determina un impoverimento della fertilità
biologica del suolo."
Per completezza, si
evidenzia infine che la legge regionale n. 11 del 7 maggio 1996 e s.m.i., all'articolo 6 dell'allegato C ("Prescrizioni
di massima e di polizia forestale "), consente nei castagneti da frutto,
dal 1° settembre al 30 marzo, la ripulitura del terreno dai ricci, dal fogliame
e dalle felci mediante il loro abbruciamento, nonché la bruciatura delle ristoppie ed altri residui vegetali, ad una certa distanza
dai boschi (50 metri, 100 nel periodo di massima pericolosità) e con
determinate cautele.
Tale legge (entrata in
vigore ben prima del Dlgs 152/2006), deve però
necessariamente soccombere alle previsioni del T.u.a.,
in virtù del principio di gerarchia tra le fonti normative in una materia,
quale quella della tutela dell'ambiente, di esclusiva competenza statale
(articolo 117 Cost., lettera s, come modificato dalla
legge 3/2001).
Concludendo, si ribadisce
che all'attualità la pratica della bruciatura in pieno campo dei residui
vegetali costituisce una violazione di carattere penale, con la sola eccezione
della sanzione amministrativa riservata ai rifiuti urbani provenienti da
giardini, parchi e aree cimiteriali.
Il personale del Corpo
forestale dello Stato pertanto, in ossequio alle leggi vigenti ed in stretta
dipendenza dall'A.g., pur comprendendo i disagi della
popolazione, non può che applicare tutti gli strumenti di contrasto previsti
dal C.p.p, in caso contrario incorrendo esso stesso
in una perseguibile condotta omissiva".
Trovarla, in rete, ci è costato circa 5 minuti. Tanto sarebbe bastato per
evitare l'ennesima brutta figura, ma tant'è...
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