Le aree sacre dell'antica Cales
Portale di Pignataro,
06 aprile 2014
Giuseppe D'Auria
Nel corso della fase culturale ausone ed etrusco-sannita,
l’antica Cales conobbe già una rilevante vita religiosa, attestata dal
ritrovamento, in situ, di alcuni resti archeologici, quali santuari, terrecotte
architettoniche nonché le diversi stipi votive e ceramiche miniaturistiche, in
cui risalta il culto della Mater Matuta. Abbiamo,
inoltre, la testimonianza di Strabone, il quale ci
comunica il culto degli abitanti di Cales per la Dea Fortuna, scrivendo che i
confini tra l’Agro Caleno e quello Sidicino erano
delimitati da due templi dedicati a tale divinità: […] Cales et Teanum Sidicinum
quas distinguunt duae Fortunae aedes[…].
Tali templi si trovavano nei pressi dell’attuale bivio di Torricelle.
In età romana gli abitanti di Cales adoravano
anche Bacco ed Apollo. Riguardo a Bacco, fu rinvenuta, in occasione della
grande campagna di scavi del 1858 da parte dell’archeologo Novi, una grande
statura di marmo del dio del vino e della vendemmia. Lo studioso Giulio Minervini, che aiutò il Novi a studiare l’importante
reperto, scrisse che la scultura di Bacco rinvenuta nel 1858, era da
considerarsi la più bella opera d’arte fino ad allora venuta alla luce. In
relazione al dio Apollo, la testimonianza del suo culto nell’Antica Cales è
stata riscontrata dallo studioso Domenico Guidobaldi,
il quale, in una nota, apparsa nel Bollettino Archeologico Italiano del giugno
1862, comunicava di aver rinvenuto “in una ricchissima favissa
un donario a forma di cassettina rettangolare tenuta
da una mano che sembrava un frammento di statua di terra miniata[…] la quale
statua rappresentava il devoto donatore che offriva il voto al benefico Apollo,
alla quale deità, vicino o sopra l’istessa favissa, così prodigiosamente ricca di cose sacre, un
tempio consacratele dai Caleni ”Inoltre Guidobaldi riportava la particolarità della cassettina
consistente un’interessante iscrizione incisa su uno dei lati.
Tale epigrafe era graffita in latino a
caratteri arcaici e trattava di un tale Caio Inoleio,
liberto di Caio, che offriva il proprio dono ad Apollo. Lo studioso Giuseppe Carcaiso ci comunica, inoltre, che “niente vieta di
supporre che a Cales si adorassero anche Mercurio, Ercole, Diana ecc”, anche se
degli innumerevoli e splendidi templi che una volta esistevano a Cales, ben
poco o quasi niente si è salvato dalle devastazioni operate dal tempo e
dall’uomo. Sia terremoti che incendi ci hanno privato di tali edifici, e i
saccheggi dei barbari fecero il resto. “Poi - scrive Carcaiso
- per centinaia e centinaia di anni la città morta fu considerata una
inesauribile miniera di sculture, di colonne e di marmi con i quali i
signorotti della regione ebbero la possibilità di abbellire gratis i loro
palazzi”. Tuttavia tante iscrizioni ed epigrafi fanno esplicito riferimento a
Giunone Lucina, a Giano come alla stessa Mater Matuta.
In particolare la seguente iscrizione risulta di particolare interesse in
relazione al culto dei caleni:
[…] GUSTALIS ORNAMENTIS VIAM. AB. ANGIPORTU A IUNONIS.LUCINAE.ET.
CLIVO AB. JANU AD. GISARIOS. PORTAE STELLATINAE, ET, VIAM PATULAM AD. PORTAM.LAEVAM.ET. AB. FORO AD PORTAM. DOMESTICAM SUA.PECUNIA. STRAVIT.
Quindi apprendiamo che un ignoto Augustale caleno aveva provveduto, con proprio denaro, a
far pavimentare ed ornare di statue e colonnati la via che andava
dall’Angiporto di Giunone Lucina fino al tempio della dea Matuta.
Allo stesso modo aveva fatto sistemare quella strada che, partendo dal Clivio, e dal tempio di Giano, si allungava fino al rione
dei Cisiari di Porta Stellatina
ed, ancora, la via Patula fino alla Porta Laeva e dal Foro della Porta Domestica. A proposito di
queste due ultime “Porte”, Giuseppe Carcaiso
sostiene: “possiamo aggiungere che sicuramente una delle due porte cittadine
era situata davanti al Ponte delle Monache, all’inizio di una strada che
portava verso l’Ager Falernus,
mentre un’altra di esse sorgeva, infine, sul perimetro occidentale della città,
a Sud del teatro”. Quindi tante indicazioni ed informazioni che, in relazione
alla religiosità degli abitanti dell’Antica Cales, ci testimoniano un ricco,
vario “Pàntheon”.
Lo studio più recente dell’archeologa Concetta
Bonacci ci conferma che, in località San Pietro, nell’area del lato occidentale
dell’abitato, presso la porta urbica dalla quale
entrava la Via Latina proveniente da Teanum, era
presente già dall’età arcaica, segnatamente nel VI
secolo a.C., un santuario che conservava tale natura anche in epoca romana. I
rinvenimenti consentono di ipotizzare che il santuario fosse dedicato a
divinità femminile “con competenze nella sfera ctonia e iniziatica”, quindi
divinità quali Demetra e Persefone. L’area sacra in
località San Pietro è stata oggetto di approfondite ricerche da parte di Johannowsky negli anni Sessanta del secolo scorso, durante
i quali è stata rinvenuta una stipa votiva contenente un gran numero di stamnoi (1) miniaturistici che sono certamente databili al
V secolo a.C. In scavi successivi, oltre agli stamnoi,
sono stati rinvenuti capitelli dorici in tufo grigio scuro e ancora in seguito
antefisse arcaiche a palmetta e lastre di rivestimento architettoniche in
terracotta decorate con motivi vegetali quali palmette, fiori di loto e girali.
Tale santuario aveva un ruolo fondamentale, una funzione cultuale di probabile
matrice iniziatica, dedicato a divinità femminili, presumibilmente Demetra e Persefone, il cui culto aveva una vasta diffusione in
Sicilia e nell’intera Magna Grecia.
Si officiavano, quindi, riti iniziatici di
passaggio, che caratterizzavano varie e determinanti fasi della vita
dell’antico cittadino caleno. Prima degli scavi effettuati nel corso del 1993,
non si conoscevano ancora i resti del Santuario in località Circolo, posto a
sud dell’Anfiteatro, ma durante quell’anno vennero quindi alla luce un gran
numero di voti fittili, tra i quali si annoverano panieri, pani, uccelli,
statue miniaturistiche di bambini in fasce e una statuetta di una madre assisa
in trono che tiene al seno un bambino in fasce. La datazione è del IV secolo
a.C. “ma – scrive l’archeologa calena Concetta Bonacci - “la frequentazione ha
breve durata in quanto il santuario viene sostituito da strutture abitative
alla fine del III secolo a.C.”.
Con ogni probabilità è presumibile che il sito
cultuale fosse collegato alla protezione del mondo femminile, in rapporto alla
ciclo di fecondità, riproduzione, nascita. Inoltre, abbiamo notizie storiche
sul un Santuario in località Ponte delle Monache, ubicato nel settore
sud-orientale della città, in una posizione coincidente con la confluenza dei
corsi d’acqua del Rio Pezza Secca e del Rio Lanzi e
in stretta prossimità ai due assi viari che collegavano la città all’Ager Falernus e a Capua. Il luogo
sacro è stato oggetto di scavi solo in epoca recente, quando sono stati
rinvenuti materiali votivi che hanno determinato, con un certo margine di
precisioni, la datazione dell’area sacra, che pare risalire al V secolo a.C. Il
materiale rinvenuto è costituito in prevalenza da ceramiche votive
miniaturistiche con statuette di figure femminili, esemplari di figura
femminile seduta in trono che allatta un bambino, teste, mezze teste, ex voto anatomici.
Risulta difficile in tal caso identificare la divinità o le divinità, a cui
l’area sacra era dedicata, anche se, come sostiene Concetta Bonacci, “alcuni
elementi fanno propendere per il culto di una dea madre”, forse non molto
diversa dal culto agreste, e sicuramente largamente diffuso nell’area capuana, della Mater Matuta (2).
L’ipotesi finora più nota è che l’area sacra
fosse infatti dedicata ad una divinità, la quale possedeva uno stretto legame
con le fasi principali della vita umana: nascita, vita adulta, matrimonio,
l’accettazione nella comunità e infine il passaggio più estremo, quello dalla
vita alla morte. Riportare alla luce infatti i resti di costruzioni di natura
cultuale ha una considerevole importanza, poiché esse ci raccontano della vita,
della morte, ma soprattutto delle aspettative e delle speranze che
caratterizzavano la vita di quelle persone vissute tanti secoli addietro.
Note
(1) Gli stamnoi
erano contenitori per liquidi, costruiti in argilla. Vennero prodotti in Grecia
sul finire del VI secolo a.C., ma fu solo alla fine
del secolo successivo che ne ritroviamo la presenza in Etruria.
(2) La Mater Matuta
era la dea protettrice delle nascite nella mitologia romana. Benché il suo
culto fosse evidentemente di origine preromana, sappiamo che ne sorgeva un
tempio, a lei dedicato, nei pressi dell’attuale Capua o nell’area di Santa
Maria Capua Vetere.
Bibliografia: Giuseppe Carcaiso - Storia dell’Antica Cales
- Quaderni di storia e arte campana 7- 1980
AAVV – Cales - Soprintendenza per i Beni
Archeologici di Caserta e Benevento – Sparanise - 2009
Concetta Bonacci – Cales - Un’area
archeologica da riscoprire – Vertigo - 2013
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