Occupazione di suolo senza “giusto” esproprio: Comune di Calvi Risorta condannato
Paese News, 10 luglio 2013
I giudici del
Tar hanno emessa sentenza sul ricorso n. 6077 del 2008 proposto dai Sigg. Tescione Rosa in proprio e quale legale rappresentante p.t. della Soc. Agricola Milite
Albino & C., Milite Maria Teresa, Milite Albino, Milite Gennaro e Milite
Romeo, rappresentati e difesi dall’avv. Girolamo Izzo contro il Comune di Calvi
Risorta in persona dei legale rappresentante p.t.,
rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Abbate ed elettivamente domiciliato
presso lo studio Prisco-Soprano-Sasso in Napoli, Via Toledo n.156; per
l’accertamento della illegittima occupazione dei suoli e per il risarcimento
del danno.
Espongono in
fatto i ricorrenti di essere eredi del sig. Milite Carmine, già proprietario di
terreno in Calvi Risorta loc. Riello fl.7 p.lle 62, 63 e 64– riportato in PRG come “Zona Verde
Attrezzato” – di cui la soc. Agricola Milite Albino
& C. è affittuaria, oggetto di occupazione sin dal 2000 e di immissione in
possesso dal 5/4/2000 per la costruzione di un campo di calcio e relativi
servizi; la indennità offerta non veniva accettata dai ricorrenti e mai è
intervenuto il decreto di esproprio. E’ stata adita anche l’Autorità
Giudiziaria Ordinaria, ma con sentenza del Tribunale di S. Maria C.V. n.1438
del 2008 è stato dichiarato il difetto di giurisdizione a favore del giudice
amministrativo.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta) definitivamente
pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per
l’effetto, dichiara il diritto di parte ricorrente con relative statuizioni di
cui in premessa. Condanna il Comune di Calvi Risorta al pagamento delle spese
del presente giudizio, liquidate in € 2.000,00 oltre IVA, CNAP, onere di cui
all’art.13 del DPR n.115/2002 come successivamente modificato e rimborso per
spese generali come per legge, nonché di CTU, definitivamente determinate in €
4.000,00 oltre IVA ed oneri previdenziali ed anticipate da parte ricorrente
quanto a € 3.000,00. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità
Amministrativa. La sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che
provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Napoli, nella
Camera di Consiglio del giorno 27/6/2013 con l’intervento dei magistrati.
Il Comune si è
costituito per dedurre circa l’inammissibilità ed infondatezza della richiesta
di indennità di occupazione. Con ordinanza il Tribunale ha disposto una
consulenza tecnica d’ufficio che, con riguardo alle vicende in contestazione,
previa esatta ricostruzione dei fatti ed individuazione dell’area di cui al
presente gravame, quantificasse i danni a vario titolo provocati e relativi sia
al valore per anno di occupazione per ogni singola superficie, sia
all’occupazione illegittima, anche con riferimento ad altre perizie di stima
per suoli vicini a quelli oggetto di occupazione, ciò al fine della stima del
valore del fondo in contestazione; successivamente è stata depositata la
relazione di consulenza.
Alla udienza
pubblica del 27 giugno 2013 la causa è stata chiamata e trattenuta per la
decisione come da verbale.
DIRITTO
1.Con il
ricorso in esame parte ricorrente lamenta la mancata adozione del decreto di
esproprio e di altri adempimenti consequenziali al procedimento espropriativo
in epigrafe.
2. In punto di
giurisdizione la Sezione ritiene di non aver motivo per discostarsi nella
circostanza dall’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il
quale, nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità,
ad eccezione delle ipotesi in cui l’Amministrazione espropriante abbia agito
nell’assoluto difetto di una potestà ablativa come mancanza di qualunque facultas agendi vincolata o
discrezionale di elidere o comprimere detto diritto – devolute come tali alla
giurisdizione ordinaria, sono devolute alla giurisdizione amministrativa
esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione – anche ai fini
complementari della tutela risarcitoria – di attività di occupazione e
trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità
e con essa congruenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono
state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo
della proprietà ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati
illegittimi, purchè vi sia un collegamento all’esercizio
della pubblica funzione (Cons. Stato, IV, 4.4.2011,
n.2113; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 18.12.2008, n.1796; 1.6.2007, n.466; Cons. Stato, A.P. 30.7.2007, n.9 e 22.10.2007, n. 12;
T.A.R. Basilicata, 22.2.2007, n.75; T.A.R. Puglia, Bari, III, 9.2.2007, n.404;
T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18.12.2007, n.6676; T.A.R. Lazio, Roma, II,
3.7.2007, n.5985; T.A.R. Toscana, I, 14.9.2006, n.3976; Cass.
Civ., SS.UU., 20.12.2006, nn.
27190, 27191 e 27193). Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a
fattispecie di occupazione usurpativa rientrano nella giurisdizione ordinaria,
così come il giudice amministrativo – nello stabilire l’importo del danno da
ablazione illegittima – non può includervi anche quanto dovuto per il periodo
di occupazione legittima, la cui valutazione pure è di spettanza del giudice
ordinario a norma degli artt. 53, comma 3 e 54 T.U. 8 giugno 2001, n. 327,
viceversa sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
caso di danni conseguenti all’annullamento della dichiarazione di pubblica
utilità e, in generale, di un provvedimento amministrativo in tema di
espropriazione per pubblica utilità.
2.1 Chiarito
che in materia di espropriazione sussiste la giurisdizione del giudice
amministrativo ogni qualvolta la richiesta risarcitoria oggetto del giudizio
tragga origine da una procedura espropriativa avviata e non conclusa, va
ricordato che ancora di recente si è affermato (Cons.
Stato, IV, 2.3.2010, n.1222) che l’art.53 del DPR n.327/2001, per come ispirato
al principio di concentrazione dei giudizi, ha attribuito rilevanza decisiva ai
provvedimenti che impongono il vincolo preordinato all’esproprio e a quelli che
dispongono la dichiarazione di pubblica utilità: una volta attivato il
procedimento caratterizzato dall’esercizio del pubblico potere, sussiste la
giurisdizione amministrativa esclusiva in relazione a tutti i conseguenti atti
e comportamenti e ad ogni controversia che sorga su di essi, anche quando
trattasi di procedimenti espropriativi diretti alla esecuzione dei lavori per
la realizzazione o la modificazione di un’opera pubblica e di atti strumentali
alla realizzazione di detta finalità pubblica (Cass. Civ., SS. UU., ord.za 16.12.2010, n.25393). Si è dunque in
presenza di una fattispecie riconducibile alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, per come derivante da esercizio di un pubblico potere,
anche nel caso in cui si lamenti formalmente l’occupazione di aree non comprese
nell’ambito della procedura espropriativa, ma in realtà si abbia riguardo al
decreto di esproprio, cioè alla determinazione del suo effettivo contenuto, per
la dedotta occupazione di una superficie superiore a quella presa in
considerazione da una precedente ordinanza di occupazione d’urgenza, poiché ai
fini della liceità o meno va verificato lo specifico contenuto degli atti e
degli accordi posti in essere nel corso del procedimento ablatorio.
2.2 Ritenuta
dunque la giurisdizione sulla domanda di reintegra nel possesso proposta da
parte ricorrente, resta da stabilire se le forme di tutela siano quelle
previste dall’art 703 c.p.c., che rinvia agli art.
669 bis e ss. c.p.c., oppure quelle proprie del
processo amministrativo. Ritiene il Collegio di seguire la seconda
impostazione, poiché, come ha rilevato la Corte Costituzionale – investita di
una questione di legittimità con riferimento all’inesistenza di un tutela
cautelare ante causam avanti al g.a.
– l’applicazione di istituti processual-civilistici
non è giustificabile qualora le esigenze ad essi sottese vengano effettivamente
tutelate da istituti propri del processo amministrativo (idem T.A.R. Umbria,
4.9.2002, n. 652). Nel caso in esame l’esigenza di tutela immediata,
soddisfatta dagli artt. 703-669 bis e ss. c.p.c., è
efficacemente garantita mediante il procedimento di cui all’art 23-bis della
Legge n.1034/1971 (ora art.119 del Decr. Legisl. 2/7/2010, n.104 di riordino del processo
amministrativo), di cui sussistono tutti i presupposti applicativi (essendo, in
particolare, la controversia oggetto del presente giudizio contemplata dalla
lettera b) del medesimo articolo).
Il
comportamento tenuto dalla Amministrazione, la quale abbia emanato una valida
dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione
d’urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei
termini previsti dalla legge, deve essere, poi, qualificato come “illecito
permanente”, nella cui vigenza non decorre la prescrizione, ciò perché in
questo caso manca un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del
provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei
luoghi. Per questo motivo, salva restando la possibilità di optare per le
differenti forme “risarcitorie” che l’ordinamento appresta (restituzione del
bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto privato del
possesso può agire nei confronti dell’ente pubblico senza dover sottostare al
termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione
irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell’acquisto
della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata
dall’ente pubblico (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, 1.2.2011, n. 175).
Tali principi
sono stati peraltro codificati in termini di giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. f)
del Codice del processo amministrativo (allegato 1 del D. Lgs.
2 luglio 2010 n. 104) nell’ipotesi di comportamento dell’Amministrazione
riconducibile all’esercizio del pubblico potere che si sia manifestato per il
tramite della dichiarazione di pubblica utilità della quale non risulta
dimostrata la perdita d’efficacia, nonché nelle controversie aventi ad oggetto
atti, provvedimenti e comportamenti della P.A. in materia di espropriazioni per
pubblica utilità di cui alla successiva lett.g) del
citato art. 133 ove si è espressamente contemplata la giurisdizione esclusiva
di questo giudice, ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le ipotesi
di determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione
di atti di natura espropriativa o ablativa.
3. Quanto al
merito della controversia in esame, la Sezione osserva che, come evidenziato in
sede di relazione di CTU dalle cui conclusioni non sussistono motivi per
discostarsi, nella fattispecie si ha riguardo al bene di cui al fl.7 p.lla 62 su cui insiste il campo di calcio ed alle porzioni
di particelle di cui al fl.7 p.lle 63 e 64
interessate dalla realizzazione del Viale Delle Palme. Secondo il PRG approvato
con Decreto del Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Caserta n°
1102/87 del 29.12.1987, la p.lla 62 è individuata
come area destinata agli standards e più precisamente
a verde attrezzato e sport; la p.lla 63 è area
destinata agli standards per circa l’84% della
superficie totale di cui il 69% per verde attrezzato e sport ed il 15% per
parcheggio pubblico, un altro 15% della superficie totale è area destinata a
sede viaria, mentre la restante parte è Zona Agricola E2; la p.lla 64 per il 70% della superficie totale è classificata
a verde attrezzato e sport ed il restante 30% come Zona residenziale destinata
all’edilizia economica e popolare.
In data
3.2.2000, con delibera n. 14, la Giunta Comunale approvava il piano
particellare grafico e descrittivo per la costruzione di un campo di calcio e servizi
alla località S. Nicola, con contestuale dichiarazione di pubblica utilità,
notificando poi al Sig. Milite Carmine l’occupazione temporanea di urgenza
degli immobili occorrenti alla esecuzione dei lavori di costruzione di un campo
di calcio e servizi in Loc. Riello; in data 13.3.2000
il Sindaco emanava un decreto per l’occupazione d’urgenza degli immobili
necessari all’esecuzione dei lavori, stabilendo la durata dell’occupazione in
anni due dalla data di immissione in possesso nonchè
i termini per la redazione del verbale di immissione in possesso e dello stato
di consistenza degli immobili. Dopo che in data 04.08.2001 il Sig. Milite
Carmine trasmetteva la mancata accettazione dell’indennità provvisoria di
espropriazione, il 22.4.2002 la Sig.ra Tescione Rosa n.q. di legale rapp.te della Soc. Agricola Milite Albino & c. chiedeva il ripristino
dello stato dei luoghi, la reintegra nel possesso del bene in oggetto, il
pagamento della indennità di occupazione ed il risarcimento del danno per la
illegittima ed abusiva occupazione del terreno. Solo in data 28.4.2006 la
Giunta Comunale approvava il progetto preliminare dei lavori di completamento e
messa in sicurezza del campo di calcio; il processo verbale di immissione in
possesso veniva redatto il 5.4.2000, mentre è verosimile che all’8/10/2001 il
suolo sia stato irreversibilmente trasformato.
3.1 Quanto alla
realizzazione di Viale delle Palme, in data 6.3.2003 il Comune resistente
comunicava alla Sig.ra Tescione Rosa l’avvio della
occupazione temporanea di urgenza e dell’iter della procedura espropriativa su
parte dei suoli di proprietà eredi Milite Carmine per la sistemazione della
viabilità e degli spazi di sosta e tempo libero; in data 29.1.2004 veniva poi
decretata l’occupazione degli immobili al fine di realizzare il viale Delle
Palme ed in data 1.3.2004 si redigeva il verbale dello stato di consistenza ed
immissione in possesso. Si approvava successivamente la perizia di variante in
corso d’opera e suppletiva ai lavori di completamento del viale Delle Palme;
comunque l’irreversibile trasformazione dei luoghi può essere ricondotta al
22/2/2005, mentre i lavori si concludevano il 27/2/2006.
3.2 Ora, atteso
quanto esposto in sede di CTU e non smentito agli atti del giudizio, ritenuta
l’irrilevanza del deposito da ultimo del provvedimento di acquisizione ex
art.42-bis in disparte i profili che saranno eventualmente oggetto di separata
impugnazione, il ricorso è fondato in maniera assorbente sotto il profilo
dell’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, ove si consideri che
l’Ente comunale non ha emesso il decreto di esproprio, né determinato
l’indennità definitiva, né provveduto al deposito dell’indennità provvisoria
presso la Cassa Depositi e Prestiti e non ha emesso nessuna proroga, facendo
decadere i termini indicati nel decreto di occupazione temporanea ed urgente;
al riguardo è appena il caso di ribadire (10.6.2009, n.3192) che l’art.13,
comma 3, della Legge n.2359/1865 ha riguardo all’inutile spirare del termine
entro cui deve compiersi l’espropriazione ed al venir meno del potere
dell’Amministrazione nel caso di inosservanza di tale necessario presupposto.
Tale quadro normativo non è stato modificato dal DPR n.327/2001, il cui art.13,
al comma 6, contempla la sanzione dell’inefficacia della dichiarazione di
pubblica utilità nel caso di omessa emanazione del decreto di esproprio entro
il termine di cinque anni dalla data in cui è diventato efficace l’atto che
aveva dichiarato la pubblica utilità dell’opera.
L’operato di
parte resistente va pertanto censurato proprio perché la citata previsione di
cui all’art.13 costituisce un precetto posto dalla legge ed indirizzato
all’Amministrazione al fine di porre un vincolo alla discrezionalità dei suoi
poteri, la cui violazione integra gli estremi della violazione di legge in
quanto vizio di legittimità dell’atto amministrativo; la mancata adozione da
parte dell’Amministrazione di un provvedimento di esproprio ha come conseguenza
che l’originaria pubblica utilità è certamente scaduta, ragion per cui il potere
ablatorio, validamente sorto, è stato colpito da un’inefficacia sopravvenuta
che sanziona ex nunc un vizio dell’iter
procedimentale, integrandosi una fattispecie di cattivo esercizio del potere.
4. Ciò
considerato ai fini dell’annullamento del decreto di esproprio oggetto di
impugnazione con il ricorso introduttivo e di parziale riforma nel quantum
dell’atto di acquisizione gravato con motivi aggiunti, occorre poi tener conto
dell’orientamento comunitario (Corte Europea Diritti Uomo, 6.3.2007, n.43662) che
preclude di ravvisare una “espropriazione indiretta” o “sostanziale” in assenza
di un idoneo titolo previsto dalla legge.
4.1 Il T.U.
n.327/2001, attraverso la disciplina contenuta nell’art.43, aveva
originariamente introdotto un meccanismo che attribuiva all’Amministrazione il
potere di acquisire la proprietà dell’area con un atto formale di natura
ablatoria e discrezionale al termine del procedimento nel corso del quale vanno
motivatamente valutati gli interessi in conflitto; il citato art. 43 era stato
in definitiva emesso dal Legislatore delegato per consentire
all’Amministrazione di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto
quando il bene fosse stato <modificato per scopi di interesse pubblico>
(fermo restando il diritto del proprietario di ottenere il risarcimento del
danno). Da un lato vi era un’interpretazione garantista, ma minoritaria, che
richiedeva una motivazione esauriente delle ragioni della disposta sanatoria
che provasse la sua inevitabilità (Cons. Stato, VI,
9.6.2010, n.3655); dall’altro, in maniera prevalente, si ammetteva
l’applicabilità dell’istituto anche in presenza di un giudicato che riconosceva
al privato il diritto alla restituzione dell’area (ex multis,
Cons. Stato, IV, 22.10.2010, n.7619; V, 13.10.2010,
n.7472). La Corte Costituzionale, però, con sentenza n.293 dell’8 ottobre 2010,
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del cennato art.43: muovendo dalla
contrapposizione tra la Corte di Cassazione, che esclude l’ammissibilità
dell’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 con
riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi
prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, e il Consiglio di
Stato, secondo il quale «la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area
occupata sine titulo, descritta dal citato articolo
43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate
prima dell’entrata in vigore della norma», la Consulta ha affrontato la
possibilità di acquisire alla mano pubblica un bene privato, in precedenza
occupato e modificato per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico,
anche nel caso in cui l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità sia
venuta meno, con effetto retroattivo, in conseguenza del suo annullamento o per
altra causa, o anche in difetto assoluto di siffatta dichiarazione. Preso atto
che la delega riguardava il «riordino» delle norme elencate nell’allegato I
alla legge n. 59 del 1997 ed, in particolare, il «procedimento di
espropriazione per causa di pubblica utilità e altre procedure connesse: legge
25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865», il giudice delle leggi
ha affermato la necessità che, in ogni caso, si faccia riferimento alla ratio
della delega, si tenga conto della possibilità di introdurre norme che siano un
coerente sviluppo dei principi fissati dal legislatore delegato e detta
discrezionalità venga esercitata nell’ambito dei limiti stabiliti dai principi
e criteri direttivi.
In definitiva
l’istituto previsto e disciplinato dall’art.43 era connotato da numerosi
aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle
disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega, sia agli istituti di
matrice prevalentemente giurisprudenziale, specie nel momento in cui si era
introdotta la possibilità per l’Amministrazione e per chi utilizza il bene di
chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la
condanna al risarcimento in luogo della restituzione; nel regime risultante
dalla norma impugnata, inoltre, si era previsto un generalizzato potere di
sanatoria, attribuito alla stessa Amministrazione che aveva commesso
l’illecito, a dispetto di un giudicato che disponeva il ristoro in forma
specifica del diritto di proprietà violato. Il Legislatore delegato, in
definitiva, non poteva innovare del tutto e derogare ad ogni vincolo alla
propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega, dovendo
piuttosto limitarsi a disciplinare in modi diversi la materia e ad espungere
del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti
occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato in analogia con
altri ordinamenti europei.
4.2 A seguito
dell’eliminazione dal mondo giuridico dell’istituto della cd. “acquisizione
sanante” di cui all’art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001, la Sezione (a partire dalle
pronunce nn.261 e 262 del 18 gennaio 2011) ha ritenuto che in siffatte ipotesi
il comportamento tenuto dall’Amministrazione dovesse essere qualificato non già
come illecito, bensì come illegittimo; si trattava di un’illegittimità a cui
non poteva porsi rimedio neppure riesumando l’istituto di origine
giurisprudenziale della cosiddetta “espropriazione sostanziale” – nelle due
ipotesi alternative della occupazione acquisitiva o usurpativa – perché tale
istituto era stato ritenuto in contrasto con l’ordinamento comunitario (cfr.:
T.A.R. Sicilia Palermo I, 1.2.2011 n. 175; idem III, 21.1.2011 n. 115). Del
resto in nessun caso – neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile
trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica –
era possibile giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico
dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia presupponeva in ogni caso
l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla
sfera giuridica di parte ricorrente, originaria proprietaria, a quella della
P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo, non consentito dal
primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e
dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R.
Calabria, Catanzaro, I, 1.7.2010, n. 1418). Pertanto, ricorrendone i
presupposti le Amministrazioni sono state condannate alla restituzione a parte
ricorrente degli immobili in ragione dell’accertato utilizzo degli stessi per
come materialmente appresi sia pure per fini pubblicistici, atteso
l’irrilevanza, nell’ottica di una eventuale traslazione della proprietà della
res, che fosse stata realizzata l’opera pubblica nella misura in cui questa
aveva modificato la destinazione originaria del cespite e recato un pregiudizio
patrimoniale e non a carico di parte ricorrente. Tale statuizione era peraltro
compatibile con la restituzione dei cespiti e facoltà dello ius
tollendi concessa al proprietario dei manufatti alle
condizioni previste dall’art. 935 c.c., comma 1 e art. 937 c.c., laddove il
diritto al risarcimento e l’applicabilità dell’art.2058 c.c. sarebbero entrati
in discussione ove si fosse rientrati nella materia risarcitoria.
4.3 In costanza
di vuoto normativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (31.5.2011,
n.11963) hanno affermato che l’irreversibile trasformazione, anche parziale,
del fondo determina l’acquisto della proprietà del bene, nei limiti della parte
trasformata, da parte dell’Amministrazione che aveva dato corso al processo
espropriativo, mentre l’eventuale domanda di risarcimento in forma specifica
sarebbe ordinariamente destinata ad avere esito negativo, dovendo trovare
prioritario soddisfacimento l’interesse posto a base della realizzazione
dell’opera pubblica. Da canto suo, a titolo esemplificativo, la giurisprudenza
amministrativa (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, I, 12.7.2011, n.245) ha ritenuto
che, proprio a seguito del citato vuoto normativo, ove il privato avesse
chiesto unicamente il risarcimento del danno per equivalente in ragione
dell’irreversibile trasformazione del bene, detta richiesta andava considerata
come rinuncia alla restituito in integrum; comunque
la richiesta del solo risarcimento per equivalente non determinerebbe un
effetto abdicativo della proprietà all’Amministrazione occorrendo piuttosto un
accordo transattivo tra le parti (Cons. Stato, IV,
13.6.2011, n.3561; 1.6.2011, n.3331; 28.1.2011, n.676), mentre se il privato
dovesse insistere per la tutela restitutoria la stessa andrebbe disposta
eccezion fatta per la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione degli
artt.2933, comma 2 o 2058 c.c. Di recente si è poi affermato (Cons. Stato, IV, 29.8.2011, n.4833) che, essendo venuto
meno il procedimento espropriativo accelerato di cui al citato art.43, la P.A.
avrebbe potuto apprendere il bene facendo uso unicamente del contratto tramite
l’acquisizione del consenso della controparte, ovvero del provvedimento anche
in assenza del consenso ma con riedizione del procedimento espropriativo con le
sue garanzie.
4.4 Ad oltre
nove mesi dalla sentenza di incostituzionalità dell’originario art.43, con
l’art.34 del Decreto-Legge 6.7.2011, n.98 convertito in Legge 15.7.2011, n.111
(in materia di misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria) è stato
reintrodotto attraverso l’art.42-bis l’istituto dell’acquisizione coattiva
dell’immobile del privato utilizzato dall’Amministrazione per fini di interesse
pubblico, potendosi acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene del
privato allorchè la sua utilizzazione risponde a
“scopi di interesse pubblico” nonostante difetti un valido ed efficace
provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità. L’obbligo
motivazionale ai sensi del nuovo comma 4 impone di dare conto dell’assenza di
ragionevoli alternative alla adozione del nuovo provvedimento, che entro trenta
giorni va anche comunicato alla Corte dei Conti (comma 7); ancora nella nuova
versione (commi 1, 2, 3 e 4) si fa riferimento all’indennizzo, piuttosto che al
risarcimento del danno, quale corrispettivo dell’attività posta in essere
dall’Amministrazione, ciò forse per la liceità dell’attività, non retroattiva,
posta in essere dall’Autorità agente. Laddove prima, anche in sede di
contenziosi diretti alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di
interesse pubblico, la P.A. poteva chiedere che il giudice amministrativo
disponesse la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della
restituzione, e successiva adozione del provvedimento sanante
dall’Amministrazione interessata, ora (comma 2) il provvedimento di
acquisizione può essere adottato anche in corso di giudizio di annullamento
previo ritiro dell’atto impugnato; il potere acquisitivo dell’Amministrazione è
esercitabile anche in presenza di una pronunzia giurisdizionale passata in
giudicato che abbia annullato il provvedimento che costituiva titolo per
l’utilizzazione dell’immobile da parte della stessa Amministrazione, atteso che
il giudicato è intervenuto sull’atto annullato e non sul rapporto tra privato
ed Amministrazione. Il nuovo atto, che l’Amministrazione è legittimata ad
adottare finchè perdura lo stato di utilizzazione pur
se illegittima del bene del privato, è distinto da quello annullato, tant’è che
non opera con efficacia retroattiva e non ha una funzione sanante del
provvedimento annullato; in ogni caso la P.A. deve porre in essere tutte le
iniziative necessarie per porre fine alla perdurante situazione di illiceità,
restituendo il bene al privato solo quando siano cessate le ragioni di pubblico
interesse che avevano comportato l’utilizzazione del suolo, dovendo in caso
contrario acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene su cui insiste o
dovrà essere realizzata l’opera pubblica o di pubblico interesse.
Premesso che in
ogni caso non sarà possibile la restituzione della nuda proprietà superficiaria
al privato, atteso che ciò che rileva è appunto l’idoneità del bene del privato
a soddisfare, attraverso la sua trasformazione fisica, l’interesse pubblico
perseguito dall’Amministrazione, la prima giurisprudenza (T.A.R. Sicilia,
Catania, III, 19.8.2001, n.2102) successiva all’entrata in vigore del nuovo
art.42-bis ha ritenuto che il giudice amministrativo, anche nell’esercizio dei
propri poteri equitativi e nella logica di valorizzare la ratio della novella
legislativa di far sì che l’espropriazione della proprietà privata per scopi di
pubblica utilità non si trasformi in un danno ingiusto a carico del cittadino e
che gli effetti indennitari e/o risarcitori conseguano necessariamente ad un
formale provvedimento della PA, possa accogliere la domanda risarcitoria
derivante dall’occupazione senza titolo di un bene privato per scopi di
interesse pubblico, se irreversibilmente trasformato, differendone però gli
effetti all’emissione di un formale provvedimento acquisitivo ai sensi dello
stesso art.42-bis.
Si potrebbe
obiettare che si prescinde in tal modo dalle problematiche di carattere
applicativo e che l’acquisizione sanante è inidonea a fungere da strumento di
giuridico di tutela del principio di legalità, ma è un dato che la previsione
di una “legale via d’uscita” con l’esercizio di un potere basato
sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione degli interessi in conflitto
(che di fatto trasforma un comportamento in un’attività amministrativa
supportata dalla presunzione di legittimità) è già stata ritenuta immune da
questioni di costituzionalità (Cons. Stato, VI,
15.3.2012, n.1438) in quanto conforme alle disposizioni della CEDU ed alla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo che in passato ha condannato la
Repubblica italiana proprio perché i giudici nazionali avevano riscontrato la
perdita della proprietà in assenza di un valido provvedimento motivato. L’art.
42-bis, pur facendo salvo il potere di acquisizione sanante in capo alla P.A.,
non ripropone lo schema processuale previsto dal comma 2 dell’originario
art.43, che attribuiva all’Amministrazione la facoltà e l’onere di chiedere la
limitazione alla sola condanna risarcitoria ed al giudice il potere di
escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il corollario
dell’obbligatoria e successiva emanazione dell’atto di acquisizione. Ciò
nonostante, il potere discrezionale dell’Amministrazione di disporre
l’acquisizione sanante è conservato (Cons. Stato, IV,
16.3.2012, n.1514): l’art.42-bis infatti regola i rapporti tra potere
amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di
annullamento, in termini di autonomia, consentendo l’emanazione del
provvedimento dopo che “sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo
preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di
un’opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un
giudizio per l’annullamento degli atti citati, se l’amministrazione che ha adottato
l’atto impugnato lo ritira”; non regola più invece, come innanzi accennato, i
rapporti tra azione risarcitoria, potere di condanna del giudice e successiva
attività dell’Amministrazione, sicchè ove il giudice,
in applicazione dei principi generali condannasse l’Amministrazione alla
restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il
potere sanante dell’Amministrazione (salva ovviamente l’autonoma volontà
transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a
riferimento dal legislatore. L’ordinamento sovranazionale che lo Stato ha
recepito, anche a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del
suolo per effetto della realizzazione di un’opera pubblica astrattamente
riconducibile al compendio demaniale necessario e nonostante l’espressa domanda
in tal senso di parte ricorrente, esclude la possibilità di una condanna
puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia
postula l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene, per fatto illecito,
dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della
P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo (comunque sia
ricostruito in diritto: rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo
risarcitoria, ovvero accessione invertita), vietato dal primo Protocollo
addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Umbria,
22.10.2012, n.451; Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre
2012 n. 5189).
5. Il Collegio
ritiene dunque che, atteso che non può più essere azionato il meccanismo
procedimentale accelerato previsto dal citato art.43 (Cons.
Stato, IV, 29.8.2012, n.4650) e che la realizzazione dell’opera pubblica sul
fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di
assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il
trasferimento della proprietà (Cons. Stato, IV,
29.8.2011, n.4833; 28.1.2011, n.676), l’Amministrazione possa divenire
proprietaria o al termine del procedimento, che si conclude sul piano
fisiologico con il decreto di esproprio o con la cessione del bene
espropriando, oppure quando, essendovi una patologia per cui il bene è stato
modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o
dichiarativo della pubblica utilità, viene emesso il decreto di acquisizione al
patrimonio indisponibile ai sensi dell’art. 42-bis, indennizzando il
proprietario per il mancato utilizzo del bene (5% di interesse annuo sul valore
venale del bene alla data di immissione in possesso), per il lamentato danno
patrimoniale (al valore venale attuale) e non patrimoniale (10% del valore
venale attuale salvo casi particolari in cui è il 20%).
In verità deve
ritenersi possibile (T.A.R. Sicilia, Palermo, 5.7.2012, n.1402) l’usucapione da
parte della Pubblica Amministrazione in presenza dei presupposti di cui
all’art.1158 c.c. (possesso ininterrotto, non violento, non clandestino, da
oltre un ventennio) ed alle condizioni di cui al D. Lgs.
n.28/2010, con possibilità di un risparmio di spesa dovendosi corrispondere
solo danno non patrimoniale e da mancato utilizzo. Sul punto la giurisprudenza
ha precisato che “Il Tribunale Amministrativo é
competente a decidere circa l’eccezione di intervenuta usucapione in materia
espropriativa ricondotta alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, ai sensi dell’art. 34 D. Lg. n.80 del 1998 ed oggi ai sensi
dell’art.53 del T.U. espropriazioni” (Tar Catania, II, 14.7.2009, n. 1283). Ove
poi si ritenga che la pronuncia sull’usucapione non rientra nell’ambito rimesso
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133,
primo comma, lett g) c.p.a.
in quanto la specifica questione non è riconducibile, anche mediatamente,
all’esercizio del pubblico potere, si deve affermare che, se il giudice
amministrativo può conoscere in via incidentale di tutte le questioni
pregiudiziali relative a diritti ai sensi dell’art. 8 c.p.a.
nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva, a maggior ragione ne può
conoscere alla stessa stregua nelle materie in cui ha giurisdizione esclusiva;
al giudice ordinario, per contro, sono devolute tutte le controversie relative
all’accertamento del possesso ventennale ininterrotto necessario per
l’usucapione in quanto, ove l’interesse di parte ricorrente fosse da correlarsi
unicamente al dedotto diritto di proprietà derivante dall’acquisto a titolo
originario per intervenuta usucapione, sulla controversia deve pronunciarsi il
giudice ordinario. In sede di conferma della citata pronuncia n.1402 del 2012
del TAR Palermo, si è ancora affermato (Cons. Giust. Ammin., 14.1.2013, n.9)
che l’avvenuta usucapione estingue non solo ogni sorta di tutela reale
spettante al proprietario del fondo ma anche quelle obbligatorie tese al
risarcimento dei danni subiti poiché, retroagendo gli effetti dell’usucapione –
quale acquisto a titolo originario – al momento dell’iniziale esercizio della
relazione di fatto con il fondo altrui, “viene meno ab origine” il connotato di
illiceità del comportamento della PA che occupava “sine titulo”
il bene poi usucapito.
5.1 Quando si
accerta l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione e la rilevanza nel
giudizio dei principi quali desumibili dal menzionato art.42-bis, l’accoglimento
del ricorso e la condanna dell’Ente al risarcimento pongono il problema
dell’eventuale applicazione dell’art.5-bis del D.L. n.333 del 1992, convertito
in Legge n.359 del 1992; al riguardo occorre precisare che, con riguardo al
comma 7-bis di tale articolo come introdotto dall’art.3, comma 65, della Legge
n.662 del 1996, la Corte Costituzionale di recente (24.10.2007, n.349) ne ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto non prevederebbe
un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva
da parte della Pubblica Amministrazione, corrispondente al valore di mercato
del bene occupato, dunque in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti
dall’art.1 del Protocollo addizionale alla CEDU e con lo stesso art.117, primo
comma, Cost. Quanto alla misura dell’indennizzo,
nella giurisprudenza della Corte europea (29.3.2006, Scordino) è ormai costante
l’affermazione secondo cui “una misura che costituisce interferenza nel diritto
al rispetto dei beni deve trovare il giusto equilibrio tra le esigenze
dell’interesse generale della comunità e le esigenze imperative di salvaguardia
dei diritti fondamentali dell’individuo”, non potendosi garantire in tutti i
casi il diritto dell’espropriato al risarcimento integrale in quanto obiettivi
legittimi di pubblica utilità possono giustificare un rimborso inferiore al
valore commerciale effettivo. In ogni caso la liquidazione del danno per
l’occupazione acquisitiva stabilita in misura superiore a quella stabilita per
l’indennità di espropriazione, ma in una percentuale non apprezzabilmente
significativa, non permette di escludere la violazione del diritto di proprietà
come garantito dalla norma convenzionale. Il danno subito da parte ricorrente
va dunque liquidato tenendo conto non della rendita catastale quale è un mero
valore fiscale impresso dall’Amministrazione agli immobili a meri fini
tributari, bensì del valore di mercato (o venale) del bene ablato,
da determinarsi attraverso la valutazione delle caratteristiche intrinseche
dell’immobile e delle sue eventuali potenzialità edificatorie, la verifica dei
prezzi risultanti da atti di compravendita di immobili finitimi con analoghe
caratteristiche ed il valore accertato dal Ministero delle Finanze rivalutato
alla data dell’irreversibile trasformazione, mentre sulla somma così
determinata andranno calcolate la rivalutazione monetaria e gli interessi al
tasso legale. Quanto al danno non patrimoniale, premesso che le disposizioni di
cui al comma 1 del citato art.42-bis sono rivolte non al giudice bensì
all’Amministrazione che procederà o meno alla liquidazione dell’indennizzo per
il pregiudizio non patrimoniale subito – mentre il giudice potrà valutare la
legittimità dell’attività amministrativa solo ex post ove sia chiamato a
sindacare l’operato della P.A., esso è risarcibile (Cons.
Stato, IV, 9.1.2013, n.76; Cass. Civ.,
SS. UU., 11.11.2008, n.26972) nei soli casi “previsti dalla legge” e cioè,
secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c., a)
quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato (in tal
caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale
scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato
dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale); b) quando
ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro
del danno non patrimoniale anche al di fuori di un’ipotesi di reato (ad es. nel
caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che
vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al
risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli
interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la
norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello
alla riservatezza od a non subire discriminazioni); c) quando il fatto illecito
abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali
oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al
risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali
interessi che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex
ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice.
Occorrerà dunque verificare la sussistenza di un pregiudizio non patrimoniale
derivante da attività o comportamenti illegittimi o illeciti della P.A., a ciò
provvedendo il giudice in quanto ne venga investito a domanda di parte atteso
che il diritto al risarcimento del danno è un diritto disponibile.
Ai sensi
dell’ultima parte del secondo comma dell’art.42-bis, le somme eventualmente già
erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse
legale, devono essere detratte da quelle dovute ai sensi del nuovo atto. Ove
invece venga disposta l’acquisizione ai sensi del citato art.42-bis, atteso che
ai sensi del comma 3 della stessa norma l’indennizzo deve tener conto della
misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica
utilità – mentre se l’occupazione riguarda un terreno edificabile occorre aver
riguardo ai commi 3, 4, 5, 6 e 7 dell’art.37, andrà risarcito il danno relativo
al periodo della utilizzazione senza titolo, nonché l’importo spettante in base
alle vigenti disposizioni oltre interessi moratori. Per il periodo di
occupazione illegittima il danno da risarcire deve essere forfettariamente
determinato nella misura fissa dell’interesse del 5% annuo sul valore venale
del bene alla data di immissione in possesso.
5.2 Nella
fattispecie la Sezione, rilevata per i motivi dianzi esposti la illegittimità
dell’operato del Comune di Calvi Risorta, ritiene, anche in ragione della ratio
dell’art.42-bis e della tardività del deposito da ultimo del provvedimento di
acquisizione ex art.42-bis in disparte i profili che saranno eventualmente
oggetto di separata impugnazione, di disporre che l’acquisizione del bene
avvenga previa liquidazione in favore di parte ricorrente del valore venale del
bene come di seguito specificato. In particolare, come evidenziato in sede di
relazione di CTU, appare abbastanza chiaro che, quanto all’area interessata dal
campo di calcio, la determinazione del valore del suolo può avvenire con
riguardo al disposto di cui all’art.36, comma 7, del D.L. n.223 del 04.07.2006,
conv. in Legge n.248 del 4/8/2006, avente finalità di
contrasto all’evasione fiscale; difatti detta normativa reca disposizioni per
il calcolo delle quote di ammortamento deducibili e definisce che il costo dei
fabbricati strumentali deve essere assunto al netto del costo delle aree
occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza. Il
costo delle predette aree e’ quantificato in misura
pari al maggiore tra quello esposto in bilancio e quello corrispondente al 20%
del costo complessivo dell’immobile; quest’ultimo è determinato attraverso
l’applicazione dei costi medi per tipologie definiti dalla Commissione impianti
sportivi del CONI, utilizzati nelle valutazioni di congruità economica
preliminari al rilascio dei pareri per gli interventi sottoposti a
finanziamento delle opere.
Avuto riguardo
ai più recenti orientamenti giurisprudenziali, a parziale modifica di quanto
riportato in sede di relazione di CTU, il Collegio ritiene che il danno
patrimoniale calcolato all’anno 2000 vada riportato alla data della sentenza
attraverso l’applicazione degli indici riportati sul Grafico dell’andamento del
mercato immobiliare pubblicato dalla rivista Economia; in particolare dal
diagramma si desumono gli indici di riferimento da utilizzare per la
riconduzione riferiti alle annualità 2000 – 2013: al 2000 l’indice era pari a
173 mentre al 2013 è pari a 225, per cui al fine di ricondurre il valore del
2000 (€ 491.077,62) all’anno 2013 (X) occorre impostare una proporzione
matematica (€ 491.077,62 : 173 = X : 225) = € 638.728,08. Conseguentemente il
danno patrimoniale è pari ad € 638.728,08, il danno non patrimoniale
(corrispondente al 10% del valore venale del bene in conformità al comma 1
dell’art. 42-bis del DPR 327/2001) è pari ad € 63.872,81, mentre l’indennità da
corrispondere per l’occupazione temporanea è pari al 5% del valore del suolo al
2000 e per l’intero periodo di occupazione, dunque € 491.077,62 x 5% x 4829/365
= € 324.851,21. Inoltre all’imprenditore agricolo spetta l’indennità
aggiuntiva, determinata in € 27.798,50 su cui, detratti gli importi
eventualmente erogati, saranno calcolati i rituali interessi legali, fino al
soddisfo.
5.2.1 Circa i
beni interessati dai lavori di realizzazione di Viale delle Palme, il valore
dei beni in questione è dato dalla sommatoria del valore di un terreno agricolo
ordinario situato nella medesima località e del valore del soprassuolo
successivo agli interventi di urbanizzazione primaria, che è pari al costo
degli stessi interventi; anche qui, a parziale modifica di quanto riportato in
sede di relazione di CTU, il Collegio ritiene che il danno patrimoniale
calcolato all’anno 2000 vada riportato alla data della sentenza attraverso
l’applicazione degli indici riportati sul Grafico dell’andamento del mercato
immobiliare pubblicato dalla rivista Economia. Dal diagramma si desumono gli
indici di riferimento da utilizzare per la riconduzione riferiti alle annualità
2005 – 2013, per cui al 2005 l’indice è pari a 268 mentre al 2013 è pari a 225;
pertanto per ricondurre il valore del 2005 (€ 56.625,00) all’anno 2013 (X)
occorre impostare una proporzione matematica (€ 56.625,00 : 268 = X : 225) = €
47.539,64 che è il danno patrimoniale. Il danno non patrimoniale
(corrispondente al 10% del valore venale del bene in conformità al comma 1
dell’art. 42-bis del DPR 327/2001) è pari ad € 4.753,96; l’indennità da
corrispondere per l’occupazione temporanea è pari al 5% del valore del suolo al
2005, per l’intero periodo di occupazione, dunque € 56.625,00 x 5% x 3405/365 =
€ 26.412,07 più € 365,13 per le porzioni di suolo occupate temporaneamente nel
periodo dal 27/2/2004 al 27/2/2006. Inoltre all’imprenditore agricolo spetta
l’indennità aggiuntiva, determinata in € 4.544,72 su cui, detratti gli importi
eventualmente erogati, saranno calcolati i rituali interessi legali fino al
soddisfo.
5.2.2 Quanto
alle osservazioni formulate alla relazione del CTU, il Collegio reputa non
fondata l’eccezione sollevata circa la potenzialità edificatoria ai fini
residenziali; inoltre, laddove il Comune asserisce che il terreno andrebbe
valutato come suolo inedificabile, va osservato che, dovendosi ristorare i
ricorrenti del danno ricevuto attraverso la ricerca del valore venale del bene
e poiché la normativa urbanistica consente l’edificazione di costruzioni ai
fini sportivi (avvalendosi anche dell’intervento dei privati e non solamente
dell’Ente comunale), va da sé che un qualsiasi privato, attraverso l’intervento
diretto, ha la possibilità di realizzare una struttura di tipo sportiva con la
maggiore volumetria possibile e ciò nell’intento di massimizzare i profitti
imprenditoriali; di conseguenza il valore degli immobili realizzabili sul fondo
risulta maggiore e quindi anche il valore del suolo con tutte le conseguenze
del caso.
5.3 In definitiva
l’unico potenziale ostacolo al pieno esplicarsi della tutela restitutoria è
costituito dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione interessata, dello
speciale “potere sanante” previsto dal citato art.42-bis come applicabile anche
“a fatti anteriori” alla sua entrata in vigore in virtù dell’espressa
previsione contenuta al comma 8 (cfr., al riguardo, T.A.R. Sardegna,
24.10.2012, n.874; Cons. Stato, n.5844/2011).
Affinché l’interesse primario della parte lesa possa essere soddisfatto, deve
imporsi all’Amministrazione di rinnovare, entro trenta giorni dalla
notificazione della presente sentenza, la valutazione di attualità e prevalenza
dell’interesse pubblico all’acquisizione dei beni per cui è causa, adottando un
provvedimento col quale gli stessi siano acquisiti non retroattivamente al
patrimonio indisponibile comunale, prevedendo che, entro il termine di trenta
giorni, ai proprietari in solido siano corrisposti i valori come prima
specificati e recando l’indicazione delle circostanze che hanno condotto
all’indebita utilizzazione dell’area e la data dalla quale essa ha avuto
inizio. Detto provvedimento dovrà essere notificato ai proprietari e comporterà
il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento
delle somme dovute, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’art.20,
comma 14, del D.P.R. n.327 del 2001, sarà soggetto a trascrizione presso la
conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’Amministrazione procedente e
sarà trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’art. 14, comma 2,
del D.P.R. n.327 del 2001, nonché comunicato, entro trenta giorni, alla Corte
dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
Resta inteso
che i predetti termini, disposti nell’esclusivo interesse di parte ricorrente,
potranno essere aumentati su autorizzazione scritta da parte di questi ed
inoltre che tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di
conformazione alla presente decisione potranno formare oggetto di incidente di
esecuzione e risolte, se del caso, tramite commissario ad acta. La Sezione si
riserva, nella sede e con i poteri propri del giudizio di ottemperanza, di
valutare la condotta successivamente tenuta dalle parti ai fini dell’eventuale
riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore
protrarsi dell’illegittima occupazione. Gli atti andranno poi trasmessi alla
Procura Regionale della Corte dei Conti per l’accertamento di eventuali profili
di responsabilità contabile nei fatti che avranno condotto a questa fase di giudizio.
6. Alla luce di
quanto sopra deve ritenersi che il ricorso in esame vada accolto come da
motivazione con declaratoria di illegittimità dell’occupazione in questione e
di obbligo del Comune di Calvi Risorta a determinarsi come da motivazione con
indicazione del risarcimento dovuto a parte ricorrente.
Le spese
seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta) definitivamente
pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per
l’effetto, dichiara il diritto di parte ricorrente con relative statuizioni di
cui in premessa. Condanna il Comune di Calvi Risorta al pagamento delle spese
del presente giudizio, liquidate in € 2.000,00 oltre IVA, CNAP, onere di cui
all’art.13 del DPR n.115/2002 come successivamente modificato e rimborso per
spese generali come per legge, nonché di CTU, definitivamente determinate in €
4.000,00 oltre IVA ed oneri previdenziali ed anticipate da parte ricorrente
quanto a € 3.000,00. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità
Amministrativa. La sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che
provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Napoli, nella
Camera di Consiglio del giorno 27/6/2013 con l’intervento dei magistrati