Calvi grande amica di Cicerone: un’amicizia dimenticata
Caserta24ore, 08 dicembre
2012
Paolo Mesolella
L’amicizia di Calvi, o
meglio, dell’antica città di Cales con il grande
Marco Tullio Cicerone non è mai stata posta sufficientemente in risalto. Né
d’altra parte in paese c’è un’epigrafe o una strada, a lui intestata, che la
ricorda. Eppure tra i due c’era un rapporto di
grande stima e considerazione. Diversi calvesi, infatti, si guadagnarono la sua
amicizia e lo stesso Cicerone lo riconosce più volte nelle sue Lettere ad
Attico e nelle sue Lettere Familiari.
Particolarmente
interessante è la lettera che il grande magistrato ed oratore romano scrive a Dolabella in favore di due nobili calvesi prigionieri di
Cesare presso la città di Munda in Spagna: Gaio Suberino
e Marco Planio Sterede. E’
interessante notare come i due caleni, vengono considerati da Cicerone suoi
“Familiari” e lo stesso Municipio caleno viene definito “amico”.
Cicerone chiede all’amico Dolabella il favore di farli ritornare in patria, a Calvi,
pregandolo che per mezzo suo, “possa soddisfare al desiderio del municipio
Caleno, col quale io tengo stretta amistà”. Non una semplice conoscenza quindi,
ma un’intima, stretta amicizia.
Del resto non era la prima
volta che il Santarpinese parlava di Cales, la prima
Colonia latina in Campania, Prefettura e Municipio romano; lo aveva già fatto
in altre sue opere: nella dodicesima Filippica aveva parlato dell’incontro tra
Scipione e Silla avvenuto a Torricelle presso Cales e
dell’Anfiteatro edificato nel I sec. d.C., nel secondo libro della Legge
Agraria aveva parlato di Cales tra le colonie romane,
nella seconda Orazione “Contro Rullo”, al cap. 35°, aveva ricordato del
Municipio caleno e poi ne aveva parlato nelle lettere Ad Attico e nel IX libro
delle “Familiares”.
In particolare nella
bellissima Lettera “A Dolabella”. Qui aveva scritto
di Suberino Caleno e di Marco Planio
Sterede parole di grande affetto. Scrive il grande
oratore: “Gaio Suberino Caleno è mio famigliare.
Questi essendo, per ischifare la guerra, andato in Ispagna con Marco Varrone con
animo di starsene in quella Provincia, nella quale niuno di noi, dopo che fu
superato Afranio, credeva che dovesse rinascere alcuno strepito di guerra;
dette a punto in que’ mali, che s’era ingegnato di
schivare: perché all’improvvisa fu colto da una guerra, la quale mossa
primieramente da Scapula, fu poi talmente rinforzata
da Pompeo, che in guisa niuna Suberino potè da quella miseria svilupparsi. Quasi ne’ medesimi
termini si ritrova Marco Planio Sterede,
il quale similmente è Caleno…. Costoro adunque amendue
ti raccomando con quella caldezza, e con quell’efficacia, che posso maggiore e
desidero di far lor servigio non solamente per l’amicizia, ch’io tengo con esso
loro, ma ancora per una certa mia naturale umanità… E perciò ti prego ad operare
che questi due Caleni miseri, non per colpa; ma per fortuna, alla quale ogni
uomo soggiace, non ricevano alcun danno; acciocché io per mezzo tuo faccia loro
questo servigio, e possa soddisfare al desiderio del municipio Caleno, col
quale io tengo stretta amistà… Dico adunque, che l’uno di questi ha molto poca
roba, l’altro appena tanta che basta a grado di cavaliere. Nel che non avanzano
altro che un lungo cammino il quale non sia lor noioso per poter vivere e
morire co’ suoi. La qual cosa ti prego a sollecitare con ogni sforzo, e a
stringerla, ovvero più tosto a recarla ad effetto; perché mi ho persuaso, che
tu possa farlo. Sta sano”.
Queste parole di Cicerone
a Dolabella ci fanno capire che lui chiede la grazia
per i due amici ma anche per l’intera città di Cales
che aveva chiesto a Roma il suo ritorno dall’esilio. Una città che lo aveva
eletto suo patrono e difensore. E che come ripete nelle sue Lettere ad Attico
lo aveva ospitato tra le sue mura numerose volte (v. Lettera 13). A questo
punto un appello all’amministrazione calena: Perché non sistemare nell’aula
consiliare di Calvi Risorta una piccola lapide che ricordi questo celebre
oratore, amico intimo e protettore dell’antica Città di Cales?
Sarebbe un atto di stima e riconoscenza per un grande avvocato che ha difeso
non solo i Caleni, ma le stesse terre della Città di Cales
nel foro romano.