A
proposito di Garibaldi a Teano o Vairano: di sicuro è stato a Calvi
Caserta24ore, 26 ottobre
2012
Paolo Mesolella
DI SICURO QUEL 25 e 26
OTTOBRE 1860 GARIBALDI E’ STATO A CALVI. QUI, NELLA DOGANA BORBONICA, LA SERA
PRIMA RICEVETTE I SICILIANI. RINTRACCIATA UNA CORRISPONDENZA DELL’OTTOBRE 1860.
A proposito dell’incontro
di Garibaldi e Vittorio Emanuele a Teano (o a Vairano). Quello che è sicuro il
26 ottobre del 1860 Garibaldi è stato a Calvi. E qui, il giorno prima, alle 8
di sera riceve una delegazione di Siciliani. Sulla piccola dogana borbonica di
Calvi, situata a pochi passi dal castello, infatti, si dovrebbe sistemare una
targa con scritto “Qui ha sostato Garibaldi il 25 e 26 ottobre 1860”.
Nonostante lo strano
restauro che ha dovuto subire e che le ha praticamente cambiato aspetto, la
dogana borbonica calena, oltre ad essere stata una importante sentinella a
guardia del valico per Capua, conserva un grande segreto: fu qui e non nel
palazzo baronale che si sistemò Giuseppe Garibaldi. Un luogo sicuramente più
povero ed angusto, ma strategicamente più idoneo. In questi quattro metri
quadri, nell’antico corpo di guardia dei carabinieri, Garibaldi ricevette la
Deputazione palermitana che lo invitava sull’isola. Mi è capitata infatti tra
le mani – spiega il preside Paolo Mesolella – una corrispondenza di guerra del
1860 che racconta in maniera dettagliata il passaggio e la sosta dell’eroe dei
due mondi a Calvi: è una corrispondenza della Gazzetta di Milano del 1 novembre
1860, priva di titolo e siglata solo con la lettera C.
Scrive il corrispondente
della Gazzetta di Milano ”Andiamo dunque innanzi a Pignataro. Lì il figlio di
Garibaldi Menotti, che è lì con un battaglione di Lombardi, ci dice che suo
padre è a Calvi, che il re è passato lì il mattino…Dagli ufficiali superiori ci
vien confermato che Garibaldi è a Calvi e il re a Teano…mentre le nostre
vetture vanno a trotto, sotto il lume bianchissimo della luce ci appare, e ci
dispare rapidamente innanzi, involta in un cappotto, e con un cappello
garibaldino sul capo, una forma svelta, alta, di donna, a forme oltremodo
belle, che rasenta la strada, a poca distanza da una fattoria ove sono
alloggiate truppe di Garibaldi, confabula con un ufficiale. Fu riconosciuta da
taluno per la Contessa…io ebbe nei suoi bei dì a vederla in Torino; sentento a dir da’ miei compagni di viaggio cose non belle
di lei, ne sentii un’acre punta al cuore di una beltà di paradiso caduta sì in
basso. Finalmente giungemmo a Calvi. Erano le 8 della sera. (del 26 ottobre ndr) Garibaldi era lì.
Calvi è appena un
villaggio. Le poche case decenti, durante le oscene immanità de’ soldati
borbonici che sino a jeri l’altro scorazzavano
su queste terre, sono state abbandonate da’ padroni, che tutti per isgomento se ne sono fuggiti. Le case loro son tutte
chiuse; Garibaldi non ha voluto che si sforzassero, e si aprissero in assenza
de’ proprietari. Dato ciò, gli è toccato di alloggiare nell’antico corpo di
guardia de’ carabinieri. Noi lo trovammo in questo. Figuratevi una sola stanza
quadra, con il tetto a cupola bassa. Le pareti nere, nerissime dal fumo; non
pavimento, ma nuda terra sotto i piedi, non sedie, non letti, nemmeno, quel che
già vi doveva essere, tavolati per istendervisi su e
dormire (altro che palazzo baronale ndr).
Garibaldi ci ha ricevuto
in questa sua dimora di quella notte. Sedeva su una scranna di corda, posando
le braccia su un tavolo di legno fracido, con un lume di rame che mandava per
cattivo olio una luce affumicata. Quando noi giungemmo, per rischiarare di più,
uno de’ suoi vi aggiunse una stearica ficcata e tenuta alta sul collo di una
bottiglia. Garibaldi ci accolse con quell’affetto che è proprio di lui. Aveva
il suo solito cappello in testa. Dalle braccia gli traspariva il suo pled scozzese, e dalle spalle e sul collo gli scendeva sul
largo petto uno sciallo di lana grigio. Disse aver caro che questa deputazione
che viene per re Vittorio Emanuele si fosse ricordata di lui…
Non avea
che offrirci; se volessimo sigari, egli non aveane
che uno; ma date qua, disse a’ suoi compagni che
erano lì, e subito questi portarono sul tavolo una decina di sigari che egli
gentilmente ci dirigeva. Disse poi della necessità della concordia…che per la
primavera l’Italia dovrebbe avere pronti almeno 400 mila soldati…
Noi tutti gli dicemmo… che
la deputazione aveva portato seco le medaglie che il Municipio di Palermo ha
fatto coniare per gli ottocento sbarcati con lui a Marsala, e aveva anco
portato, per presentargliela, la spada che gli offrono i Palermitani. E’ la
stessa spada che in Firenze era stata fatta per Carlo Alberto; la gradisse
quindi di più. Ei ringraziò noi e ci commise di ringraziare i Palermitani,
popolo pieno, disse, di entusiasmo e di fermezza. Vedrete, aggiunse, il re
Vittorio; vedrete un vero galantuomo; io lo amo come un fratello; sarete certo
contenti. Ecco poi una sua lettera. La aperse: era un foglio tutto scritto di
mano del re. Gli diceva di averlo cercato tutta la giornata, ed essere dolente
di non averlo potuto vedere: che domani egli avrebbe attaccati i Borbonici sul
Garigliano e sperava ricacciarli e passare il fiume verso Capua… Il re dava,
nella lettera, del “lei” a Garibaldi. Garibaldi la leggeva commosso”.