Garibaldi nella dogana borbonica riceve i siciliani a Calvi Risorta

 

Caserta24ore, 01 luglio 2012

 

Paolo Mesolella

 

Sulla piccola dogana borbonica di Calvi, situata a pochi passi dal castello, si dovrebbe sistemare una piccola targa con scritto “Qui ha sostato Garibaldi il 26 ottobre 1860”. Nonostante lo strano restauro che ha dovuto subire e che le ha praticamente cambiato aspetto, la dogana borbonica calena, oltre ad essere stata una importante sentinella a guardia del valico per Capua, conserva un grande segreto: fu qui e non nel palazzo baronale, che si sistemò Giuseppe Garibaldi.

 

Un luogo sicuramente più povero ed angusto, ma strategicamente più idoneo. In questi quattro metri quadri, nell’antico corpo di guardia dei carabinieri reali, Garibaldi ricevette la Deputazione palermitana che lo invitava sull’isola. Mi è capitata infatti tra le mani una corrispondenza di guerra del 1860 che racconta in maniera dettagliata il passaggio e la sosta dell’eroe dei due mondi a Calvi: è una corrispondenza della Gazzetta di Milano del 1 novembre 1860, priva di titolo e siglata solo con la lettera C. Scrive il corrispondente della Gazzetta di Milano ”Giungemmo a Calvi.

 

Erano le 8 della sera. (del 26 ottobre ndr) Garibaldi era lì: gli è toccato di alloggiare nell’antico corpo di guardia de’ carabinieri. Noi lo trovammo in questo. Figuratevi una sola stanza quadra, con il tetto a cupola bassa. Le pareti nere, nerissime dal fumo; non pavimento, ma nuda terra sotto i piedi, non sedie, non letti, nemmeno, quel che già vi doveva essere, tavolati per istendervisi su e dormire (altro che palazzo baronale ndr).

 

Garibaldi ci ha ricevuto in questa sua dimora di quella notte. Sedeva su una scranna di corda, posando le braccia su un tavolo di legno fracido, con un lume di rame che mandava per cattivo olio una luce affumicata… Garibaldi ci accolse con quell’affetto che è proprio di lui. Aveva il suo solito cappello in testa. Dalle braccia gli traspariva il suo pled scozzese, e dalle spalle e sul collo gli scendeva sul largo petto uno sciallo di lana grigio. Disse aver caro che questa deputazione che viene per re Vittorio Emanuele si fosse ricordata di lui… Non avea che offrirci; se volessimo sigari, egli non aveane che uno..


Noi gli dicemmo che la deputazione aveva portato seco (a Calvi) le medaglie che il Municipio di Palermo ha fatto coniare per gli ottocento sbarcati con lui a Marsala, e aveva anco portato, per presentargliela, la spada che gli offrono i Palermitani. E’ la stessa spada che in Firenze era stata fatta per Carlo Alberto; la gradisse quindi di più. Ei ringraziò noi e ci commise di ringraziare i Palermitani, popolo pieno, disse, di entusiasmo e di fermezza.

 

Vedrete, aggiunse, il re Vittorio; vedrete un vero galantuomo; io lo amo come un fratello; sarete certo contenti. Ecco poi una sua lettera. La aperse: era un foglio tutto scritto di mano del re. Gli diceva di averlo cercato tutta la giornata, ed essere dolente di non averlo potuto vedere: che domani egli avrebbe attaccati i Borbonici sul Garigliano e sperava ricacciarli e passare il fiume verso Capua…

 

Il re dava, nella lettera, del “lei” a Garibaldi. Garibaldi la leggeva commosso”.