DA CALVI VECCHIA ALL'AGER
CALENO
Demetratv, 01 ottobre 2011
Giuseppe Marchione
Mi incammino lungo il cardo maximus e, in breve, giungo all’altezza del teatro di
Cales. Il buon abata Mattia Zona
era convinto che si trattasse dell’anfiteatro e che, sotto il terreno ci
fosse l’atra metà dell’edificio. Strana convinzione! Infatti
non ho mai capito come era possibile che metà della struttura fosse visibile e
l’altra no. Del resto, lo scavo effettuato qualche
decennio fa ha chiarito ogni dubbio.
Ma le cantonate dell’abate non si
fermano qui, perché di fronte al teatro si trova, a breve distanza, un altro
edificio che ai tempi di Mattia Zona era ritenuto un monastero dal popolino.
Giustamente l’abate faceva rilevare che non essendovi immagini cristiane non
poteva essere un edificio religioso di epoca
cristiana! Ma poi si perde perché lo identifica con un tempio romano dedicato
al dio Mercurio sulla scorta di alcuni bassorilievi
che egli intravedeva sui muri. In realtà, si tratta delle terme centrali, uno
dei più importanti complessi di questo tipo dell’età
repubblicana. Devo ammettere che, con tutto l’affetto e la stima che nutro per
lui, non capiva niente né di templi né di terme di età
antica.
Mentre faccio queste considerazioni, ho
raggiunto il cosiddetto Ponte delle Monache, sul quale si transitava per uscire
dalla città in direzione sud. Fino all’epoca della realizzazione del complesso
industriale della Pozzi questa strada doveva essere
percorribile forse fino al Volturno, o quantomeno fino all’Appia
antica. Oggi, dopo la Pozzi, la TAV e la centrale
termo-elettrica, del tracciato non c’è più niente fino all’altezza dell’attuale
statale Appia. Da qui in avanti vi sono due percorsi,
entrambi verso sud: uno è quello ricalcato dalla moderna strada che attraversa
il Demanio, l’altro è un vecchio tracciato che, rasentando il confine con il
territorio di Calvi Risorta, si addentra pure esso nel
Demanio.
Ma prima di parlare di questo ampio
territorio, devo fare un passo indietro verso la Centrale, dove, durante i
lavori, venne alla luce una necropoli romana di età imperiale, riutilizzata in
parte nel periodo tardo antico, in pratica quando da noi erano già presenti i
Longobardi. Ma il ritrovamento che più mi colpì
all’epoca fu quello di un battuto stradale che presentava lo stesso
orientamento della strigatio calena (una forma di
ripartizione del territorio che precedette l’adozione della classica centuria
romana).
Perché questo tracciato è così
importante? Perché probabilmente rappresenta l’asse centrale della strigatio, risalente forse all’epoca di fondazione della
colonia di Cales (IV secolo a.C.), e dunque sarebbe uno dei primi esempi di
tale forma di lottizzazione agraria di età romana.
Inoltre, poiché conosciamo questo modulo per la parte
orientale dell’ager, spostandoci ad ovest e tenendo conto della distanza tra i
vari assi, arriviamo al centro di Sparanise, dove l’asse della strigatio calena corrisponde all’attuale Corso Solimene (e ad altri spezzoni viari del paese e dei
dintorni): quindi, in età romana ci dovevano essere dei coloni con le loro
ville rustiche nell’area oggi occupata da Sparanise. Riprendendo, ora, la
passeggiata nella parte meridionale dell’agro caleno, mi addentro nel
cosiddetto Demanio di Calvi. Uso il termine “cosiddetto” perché in realtà si
dovrebbe parlare oggi di Demanio di Sparanise.
Infatti, dopo un braccio di ferro protrattosi nei secoli,
la nostra cittadina ottenne gran parte di quello che, pur essendo un territorio
acquitrinoso, era ricco di cacciagione e molto boscoso.
A Calvi è rimasta solo una striscia a ridosso del Rio
Lanzi, anche perché, dall’altra parte anche Pignataro Maggiore si è ritagliata
la sua fetta. Questo territorio in epoca romana era stato drenato e bonificato
e, quindi, reso utilizzabile per colture agricole. Certamente era molto più
popolato, come si può dedurre dalle numerosissime
sepolture di età antica che continuano ad emergere dal terreno.
Poi ci fu un progressivo impaludamento, pur permanendo
piccoli abitati nell’area circostante come Scarasciano,
a nord-est di S. Andrea del Pizzone e S. Lorenzo,
poco più avanti, di cui è rimasta traccia nella
località detta le “Tre Masserie”. Stiamo parlando di piccoli nuclei abitativi
(ci circa 50 individui) di cui abbiamo menzione in documenti che vanno dal XIII
al XVIII secolo. Nel percorrere la strada che attraversa il nostro Demanio, mi
tornano alla mente alcuni riferimenti fatti dall’abate Zona ad antichi edifici
religiosi in questa area (naturalmente ho verificato
l’attendibilità di tali informazioni). Bene, Mattia Zona racconta che … “ il
primo che ci si presenta a considerare è quello che scorgesi dentro al Bosco, o sia Demanio di Calvi, dove osservansi i vestigi
di un antichissimo Tempio…
Un’antica tradizione, che corre ancor oggi, ha
caratterizzato quello avanzo per un Tempio eretto al
glorioso martire S. Agapito, e tal tempio col nome di Santaccapita,
corrottamente si addita. La pietra della sua porta
ora serve di termine di divisione del nostro Bosco.” E
continua, parlando dell’altro edificio: “Circa un miglio lontano si vedono
anche gli avanzi di un altro fabbricato sul territorio de’ sigg. Alvini di Pignataro … Esso è fabbricato all’antica, cioè di
mattoni posti l’uno sopra l’altro, con tenacissima calce, onde ha resistito più
valorosamente alle violenze del tempo …
Anni addietro vi si vedevano dipinte molte effigie di
colore rosso, e di qui sortì il nome di Santo Russo.”
Purtroppo di Santo Russo non saprei dire niente, mentre per quanto riguarda S.
Agapito nel Demanio di Calvi esisteva fino all’inizio
del XX secolo una località con questo nome, come si rileva da un disegno
eseguito in concomitanza con il rilievo planimetrico del Casino Reale. Inoltre risulta dalla Platea di Monsignor Maranta
del 1588 che, tra i beni della parrocchia di S. Lorenzo, c’era anche Santa
Capita, ossia S. Agapito.
Se, poi, in questa località ci
fosse una chiesetta o i resti di un antico edificio è ormai impossibile saperlo. Sono giunto, così, nell’area del
Casino Reale. Oggi ne resta ben poco: la cappella, di cui rimane in piedi buona
parte ed alcuni locali dall’altra parte della strada. Sparse
nella campagna circostante si trovano alcune piccole garitte di guardia
borboniche, disposte lungo strade interne. Circa un chilometro ad est,
nell’attuale territorio del comune di Pignataro Maggiore, si trova una località
che ha una storia alquanto misteriosa. Si tratta di Ciccotito,
o Cicutitum, come viene
riportata in documenti medievali. In alcune pergamene dell’Archivio
Arcivescovile di Capua, infatti, si parla di una località “in pertinenciis ville olim Cicutiti, ubi dicitur
Selva Saducta”.
Il documento citato risale al XIV
secolo; ma già nell’XI secolo tale località veniva associata ad una “silva qui dicitur de Saducti”. Gli studiosi che hanno riportato questi documenti
localizzano Ciccotito ora presso Calvi, ora presso
Sparanise, o, più recentemente, in territorio pignatarese.
Il fatto è che tale località è stata sede di dispute tra Calvi e Capua nel XV secolo, poiché si trattava di un territorio fertile
e, per questo, appetito dalle due città.
In un documento del 1425 ci si riferisce ad esso come “territorio situato a ridosso del Rio dei Lanzi,
che si estende fino al Demanio”. La controversia si concluse
a favore di Capua ed infatti in documento successivo, risalente al 1485 lo si
pone in territorio capuano. Nel 1524, però, si trova “in pertinenciis
ville Pignatari, ubi dicitur ad Cicotito,
iuxta aquam Venule”. In
sostanza questa località si trova a ridosso del Demanio di Calvi, a poche
centinaia di metri sia dal confine comunale di Sparanise che di Calvi ed è attualmente nel territorio del comune di Pignataro. Essa è
stata forse sede di una piccola comunità di genti di etnia
ebraica o, comunque, da essa derivanti.
Si tratterebbe di ebrei
stanziatisi a Capua e nei dintorni in epoca imprecisata, ma quasi certamente
almeno dal IX secolo, chiamati Saduciti o Saducti. Mentre è nota la presenza degli ebrei a Capua
(esiste ancora la chiesa di S. Martino alla Giudea là dove probabilmente si
trovava il quartiere ebraico) e la loro rilevanza culturale in questa città nel
medioevo e nel rinascimento, ben poco sappiamo degli stanziamenti di etnie ebraiche nel nostro territorio. Gli sparsi tasselli che si possono ricavare dai documenti
antichi, tuttavia, sembrano indicare che in un territorio piuttosto vasto e
fertile del settore meridionale dell’agro caleno sia vissuta una comunità di
origine ebraica di cui è rimata traccia in toponimi come la Silva Saducta o dei Saducti. Questa
località è conosciuta ancora oggi con il suo antico nome di Ciccotito.
Dopo questa digressione storica sui dintorni dell’area del
Demanio, vorrei ritornare al Real Sito o Casino Reale
di borbonica memoria. Tra i resti di quello che fu un complesso imponente
realizzato per le battute di caccia reali, mi torna alla
mente quanto riportato nella Gazzetta Universale, ossia delle notizie
storiche, politiche, ecc… dell’anno 1783. In uno dei volumi di questa
pubblicazione si narra, infatti, di una memorabile caccia al cinghiale tenutasi
nel Demanio di Calvi in onore della duchessa di Parma.
Vi parteciparono sedici cavalieri divisi in quattro compagnie, una delle quali
era capeggiata dal re Ferdinando IV in persona. Il cronista riporta che
rimasero uccisi più di cento cinghiali, di cui ben 31 abbattuti da Sua Maestà.
Come effetto collaterale, però, ci fu
anche una strage di cani: ben 40. La regina, in compagnia della duchessa,
assistette alla caccia in un luogo espressamente predisposto. Naturalmente
c’era un nutrito gruppo di nobiluomini e dame a fare da cornice all’evento. Al
termine della caccia, verso le 23, ci fu un banchetto al quale parteciparono
non meno di 200 commensali. La cena finì verso le 1.30 di notte, dopo di che la
corte fece ritorno a Caserta, dove la festa proseguì con esibizioni canore e
musicali.
Il grande paesaggista Iacob Philipp Hackert,
divenuto pittore di corte di re Ferdinando IV dipinse una di queste caccie nel Demanio di Calvi in un grande quadro,
attualmente conservato a Napoli. Cosa resta di tutto
questo? Una vasta pianura coltivata a frutteti, allevamenti bufalini,
poche masserie sparse, canali maleodoranti… e il moncherino della cappella
reale del Real Sito, che prima o
poi cadrà, lasciando solo macerie.