A UN GALANTUOMO

 

Rinascita Calena, 09 Luglio 2010

 

Giovanni Pera

 

Sono nato in via Napoli.

 

I miei primi ricordi sono legati a via Napoli, ai suoi profumi; alle facce, ai colori, alle voci di tutti coloro che abitavano nel “portone”, e non sono più.

A pochi passi da quel portone v’era la bottega di Giovanni. Scura eppure viva, piena di gente a tutte le ore del giorno: a farsi compagnia!

 

Un ferro da stiro vecchissimo, di quelli enormi… in ghisa credo: sono sicuro, è ancora lì! Giovanni l’amava come un cimelio, magnifico. Ho sempre provato una certa invidia per quel ferro da stiro: specie perché magnificamente funzionante, malgrado l’età.

 

 

Un soffitto con le traverse in legno. Due vecchie macchine da cucire. E, soprattutto, quelle due riviste appese al muro vicino alla porta d’ingresso. Hanno sempre colpito la mia immaginazione quelle figure ritratte in abiti importanti. Moderni quando era bambino, erano divenuti quasi anacronistici con il passare degli anni. Eppure è da quelle figure stilizzate che ho imparato che l’eleganza non ha età, e che l’abito, sì, l’abito fa il monaco.

 

In fondo chi appare bello in se stesso non offre alcuna suggestione di sé, mentre chi sa apparire, chi sa vestire offre di sé dono di bellezza a tutti.

L’ultimo dandy non è più tra noi, signori: ha lasciato la scena… in punta di piedi, in silenzio come ha sempre ha vissuto. Eppure il suo silenzio è più assordante di uno scoppio.

 

La sua scomparsa è la scomparsa di un galantuomo. Di quel galantuomo porto con me il sorriso, severo, buono, franco.

 

Di quel galantuomo mi rimane un abito, un gessato bellissimo, fatto su misura. Là nell’armadio, solitario in mezzo a tanti altri anonimi prodotti industriali. Lo serberò gelosamente.

 

E lo indosserò solo per il gusto di sentirmi almeno in parte “parte” dell’opera del suo autore.

 

E all’interno di quella giacca scolpita addosso: «Sartoria Giovanni Parente – Calvi Risorta (Ce) –».