Lo storico Palazzo De Tilla giace nell'incuria come il palazzo Vescovile ed il Seminario di Calvi
Pupia, 15 ottobre 2008
Delimitato a nord dall’asse borbonico Aversa-Caivano, a sud dalla linea ferroviaria Napoli-Roma, ad ovest da via
Madonna dell’Olio, che sorge su un antico decumano, e, ad est, dai terreni del
comune di Sant’Arpino. Così è localizzato l’assetto
urbano di Cesa che ha origini antiche.
Sorto,
infatti, da un’aggregazione di antiche masserie che ha
subito nel tempo l’effetto locale di avvenimenti che hanno coinvolto il
comprensorio aversano e l’Italia, soprattutto dagli
anni cinquanta ad oggi, con lo sviluppo senza programmazione, con
l’accelerazione innovativa dei processi e dei modelli di vita, che hanno reso Cesa una caotica sovrapposizione di linguaggi, simboli e
codici difficilmente decifrabili e sicuramente discontinui in termini di
tradizione e identità del luogo, cui va aggiunta un progressivo distacco
tra ambiente e uomo. Di conseguenza, oggi, ci troviamo a vivere “ospitati” in
un paese edificato da altri, “forzato”, “violentato” e “modificato” per
piegarlo alle nostre più complesse attività ed esigenze. Conoscere l’identità
storica di Cesa significa salvaguardare il
valore artistico, culturale ed economico del paese. Una eredità
sopraggiuntaci dalla testimonianza di edifici d’epoca ancora oggi osservabili.
Uno dei palazzi più prestigiosi
a livello architettonico ma, al contempo, meno menzionato nei libri di
categoria, è Palazzo De Tilla. Un tempo tale struttura era conosciuta come
Palazzo Palomba, dal nome dei signori di Cesa che vi risiedevano, e rappresentava uno degli edifici
più imponenti del centro cittadino tanto che, ancora oggi, è
una vera “perla” dell’architettura cesana. La
costruzione del palazzo fu commissionata dal marchese Antonio Palomba che comprò il feudo nel 1742 da i signori Mazzella Capece. I Palomba, borghesi
arricchitisi soprattutto grazie al commercio dei cereali, arrivarono ad
occupare importanti cariche amministrative, tra 1750 ed il 1760, come nel caso
del marchese Antonio Palomba che fu presidente della
Camera della Sommaria dopo aver ricoperto in precedenza la carica di
console del Consolato Napoletano di Terra e di Mare,
poi Tribunale dell’Ammiragliato e Consolato di Mare e Terra, dopo essere stato
Eletto del Popolo della Città di Napoli negli anni 1747-1750. Proprio questa famiglia nobile napoletana incaricò
l’architetto Carlo Zoccoli della progettazione della
villa di famiglia nella zona, un tempo, periferica di Cesa.
Il palazzo Palomba è una
delle residenze migliori dal punto di vista architettonico e risponde a pieno
all’estro creativo di Zoccoli che privilegiava la tendenza classicista e
stigmatizzava gli eccessi barocchi, conciliando così utilitas
e firmitas.
L’architetto reso famoso nel suo ramo grazie alle
ampie conoscenze che andavano dall’ambito giuridico a quello scientifico, da quello ingegneristico a quello
architettonico, divenne, nel 1750, esaminatore dei Tavolari
del Sacro Regio Consiglio. Zoccoli, inoltre, lavorò con le più importanti
famiglie della nobiltà partenopea come i De Leonessa,
i Palomba, i Ruffo di Scilla, i Carafa
di San Lorenzo, i Capace Zurlo, gli Spinelli ed i Fusco. La sua attività
architettonica fu fervida anche nell’ambito religioso, di sua creazione sono: la
Chiesa dei Cappuccini di Arienzo, il Duomo, il palazzo
Vescovile ed il Seminario di Calvi Risorta, il palazzo vescovile di Pignataro e la Chiesa dell’Immacolata Concezione a Cutignano di Nola. Tra le opere più ragguardevoli, però, i
biografi ricordano: «La magnifica villa del Principe di
Supino in Portici, l’altra non meno bella del marchese Palomba
in Cesa».
Il
Palazzo Palomba, poi denominato Palazzo De Tilla, da
cui ha preso il nome anche la strada in cui sorge, è una costruzione imponente
che risulta essere a tutt’oggi in stato di totale abbandono; esternamente presenta una
ripartizione in tre livelli (piano terra, piano nobile, granaio con finestre
arcate), di cui l’ultimo di altezza visibilmente inferiore. La scansione della
facciata è tipicamente settecentesca con la presenza di due
portali ad arco policentrico con paracarri in piperno e cornice a stucco,
sormontati da balconi con tavoloni in piperno sormontati da parapetti in ferro quadrello chiodato, i locali del piano terra sono
coperti con volte a vela. Nonostante lo stato in cui versa la
fabbrica sono ancora evidenti, ed in parte ben conservati, gli stucchi che
fanno da cornice alle aperture del primo e del secondo livello.
Planimetricamente è distinguibile la
tipologia a corte anche se appare chiaro il crollo del loggiato meridionale che
serviva le camere dell’ala nord. Il basolato, in
pietra lavica ad elementi squadrati e regolari, si è conservato anche se
ricoperto da detriti e da vegetazione. Alla fabbrica è annessa nell’area
meridionale una casa colonica ed una vasta area a verde attualmente
ad uso agricolo. Quest’area verde, come
conferma la Carta dei Contorni di Napoli del 1836-40, consisteva in un bel
giardino curato, testimonianza evidente del rango nobiliare a cui
apparteneva la famiglia possidente. L’edificio, attualmente,
appartiene ai De Tilla, famiglia della nobiltà napoletana che un tempo viveva a
Cesa.
I proprietari, divisi da problemi di eredità familiare, hanno, purtroppo, abbandonato l’edificio al logorio del tempo, nonostante i diversi solleciti fatti dall’amministrazione comunale per la messa in sicurezza dello stabile. Dare una destinazione d’uso al palazzo De Tilla significherebbe dargli una nuova vita riportandolo, attraverso interventi di restauro, allo splendore di un tempo e, contemporaneamente, rivalorizzare un’area che, nonostante abbia subito l’abbattimento del Mulino Arena e del palazzo Fratello e la conseguente costruzione di nuovi edifici, rappresenta ancora oggi una delle zone maggiormente interessanti dal punto di vista storico-architettonico del contesto urbano di Cesa.