GEMMA MEROLA: POETESSA E PITTRICE, PUBBLICA “LE POESIE DELLA MIA VITA”

 

Paolo Mesolella

 

Caserta24ore, 10 agosto 2008

 

La poesia (ma anche la pittura) Gemma Merola ce l’ha nel sangue.

 

“Sono nata – dice – con questa predisposizione e fin da piccola ho iniziato a scrivere versi. Lo stesso mi è capitato di fare per la pittura, mi veniva da dentro un forte desiderio di scrivere e raffigurare quel che sentivo o vedevo: mio padre, il mio maestro, gli ambienti in cui vivevo”.

 

Nelle notti insonni, scrive “quando il mio cuore era angosciato, la poesia arrivava come un temporale”, una poesia malinconica perché “scrivere poesie è come tagliare di sé ogni volta un pezzettino”.

 

Gemma Merola, 71 anni, autodidatta di Zuni, entusiasma chiunque per il suo grande amore verso l’arte. Un’arte che è stata la sua passione di tutta la vita. E che gli ha dato anche qualche soddisfazione: due mostre a Calvi e la pubblicazione dei suoi versi nell’antologia poetica “le poesie della mia vita” curata dal prof. Paolo Mesolella per Caserta24ore. Dei suoi tre quadri “Il Cristo in bianco e nero”, “Il gatto arrabbiato” e “la rosa bruciata”, ha detto il pittore Nicola Migliozzi, bisognerebbe fare un trittico da conservare gelosamente.

 

La sua casa è una sorte di bottega artistica con una cinquantina di oli, tra i quali interessanti volti di Cristo, nature morte, vasi fioriti, ritratti ed un bel autoritratto del 1975. Molto interessanti anche “Un vecchio al tramonto”, “Donna in pelliccia” e “Il cagnolino col giornale”. Opere su carta e su tela, che vanno dal 1960 ad oggi, fino al bellissimo Crocifisso rimasto incompiuto a causa della malattia che non le permette più di pitturare.

 

Lo stesso amore Gemma lo ha messo nella poesia: da “Pensando al mio amore” ad “Una domanda” la sua poesia è poesia della quotidianità, del ricordo, del tempo, dell’infanzia trascorsa in un mondo contadino, una poesia della nostalgia che spesso diventa tristezza quando si sofferma sulla sua travagliata esistenza. Il suo rapporto conflittuale con la madre, l’amarezza per il fratello discriminato, la malinconia per il disfacimento del proprio corpo e la fiducia in Dio, fanno da sfondo ai suoi ricordi d’infanzia del padre, dei fratelli, della maestra, del suo paese, del suo amore incompreso, della vecchia tessitrice, del vecchio frantoio e della stessa gioia di vivere.

 

Gemma mette a nudo i suoi sentimenti, i suoi pensieri, i suoi momenti di sconforto ma anche gli slanci di entusiasmo e di felicità e il suo tentativo di cercare la verità. Gemma infatti è consapevole che la verità è racchiusa in una mano velata allo sguardo umano (La velata mano). Ed attende con trepidazione il momento in cui il velo cadrà e la verità si dispiegherà ai suoi occhi.

 

Oggi, infatti “chiude gli occhi per fuggire via dall’infrenabile angoscia che le distrugge la vita”; non solo, sembra “vedere morire l’impalpabile brandello del suo corpo sofferente”. Perché, oggi, la sua sofferenza è la stessa che vede riflessa nel Cristo che dipinge. “Io Dio lo vedo – scrive – lo vedo sempre, ma mai lo vedo contento”.