GEMMA
MEROLA: POETESSA E PITTRICE STA PER PUBBLICARE LE SUE POESIE NONOSTANTE LA
LUNGA MALATTIA
Caserta24ore,
14 giugno 2008
La
poesia (ma anche la pittura) Gemma Merola ce l’ha nel sangue. “Sono nata –
dice – con questa predisposizione e fin da piccola ho iniziato a scrivere
versi. Lo stesso mi è capitato di fare per la pittura, mi veniva da dentro un
forte desiderio di scrivere e raffigurare quel che sentivo o vedevo: mio padre,
il mio maestro, gli ambienti in cui vivevo”.
Nelle
notti insonni, scrive “quando il mio cuore era angosciato, la poesia arrivava
come un temporale”, una poesia malinconica perché “scrivere poesie è come
tagliare di sé ogni volta un pezzettino”.
Gemma
Merola, 71 anni, autodidatta di Zuni,
entusiasma chiunque per il suo grande amore verso l’arte. Un’arte
che è stata la sua passione di tutta la vita. E che
gli ha dato anche qualche soddisfazione: due mostre a Calvi e la pubblicazione
dei suoi versi. Dei suoi tre quadri “Il Cristo in bianco e nero “, “Il
gatto arrabbiato” e “la rosa bruciata”, ha detto il pittore Nicola Migliozzi, bisognerebbe fare un
trittico da conservare gelosamente. La sua casa è una sorte di bottega
artistica con una cinquantina di oli, tra i quali
interessanti volti di Cristo, nature morte, vasi fioriti, ritratti ed un bel
autoritratto del 1975.
Molto interessanti anche “Un vecchio al tramonto”,
“Donna in pelliccia” e “ Il cagnolino col giornale”. Opere su carta e su tela, che vanno
dal 1960 ad oggi, fino al bellissimo Crocifisso rimasto incompiuto a causa
della malattia che non le permette più di pitturare. Lo stesso amore Gemma lo
ha messo nella poesia: da “Pensando al mio amore” ad“Una domanda” la sua poesia
è poesia della quotidianità, del ricordo, del tempo, dell’infanzia trascorsa in
un mondo contadino, una poesia della nostalgia che spesso diventa tristezza
quando si sofferma sulla sua travagliata esistenza.
Il
suo rapporto conflittuale con la madre, l’amarezza per il fratello
discriminato, la malinconia per il disfacimento del proprio corpo e la fiducia
in Dio, fanno da sfondo ai suoi ricordi d’infanzia del
padre, dei fratelli, della maestra, del suo paese, del suo amore incompreso,
della vecchia tessitrice, del vecchio frantoio e della stessa gioia di vivere. Gemma
mette a nudo i suoi sentimenti, i suoi pensieri, i
suoi momenti di sconforto ma anche gli slanci di entusiasmo e di felicità e il
suo tentativo di cercare la verità. Gemma infatti è
consapevole che la verità è racchiusa in una mano velata allo sguardo umano (La
velata mano).
Ed
attende con trepidazione il momento in cui il velo cadrà e la verità si
dispiegherà ai suoi occhi. Oggi, infatti “chiude gli occhi per fuggire via
dall’infrenabile angoscia che le distrugge la vita”;
non solo, sembra “vedere morire l’impalpabile brandello del suo corpo
sofferente”. Perché, oggi, la sua sofferenza è la stessa che
vede riflessa nel Cristo che dipinge. “Io Dio lo vedo – scrive in “Mai
lo vedo contento” – lo vedo sempre, ma mai lo vedo contento”.