Colpita ancora una
volta la provincia di Caserta. Da Antonucci
a Cardella, una catena di drammi
ANDREA FERRARO
Il Mattino, 14 febbraio 2008
La provincia ripiomba nel lutto nel
giro di pochi mesi e dopo il tributo di sangue versato nel gennaio del 1996 con
la morte in Bosnia del caporale di Casagiove, Gerardo Antonucci,
medaglia d’oro al valor militare.
Un altro casertano
perde la vita durante una missione di pace in un teatro straniero. Quindici
mesi fa si è pianto per la scomparsa di Vincenzo
Cardella, il ventiquattrenne caporalmaggiore di
San Prisco in servizio alla caserma «Ignazio Vian» di
Cuneo, quartier generale del 2° Reggimento Alpini,
morto al policlinico militare del Celio di Roma dopo cinque giorni di agonia, ovvero da quando rimase ferito, all’alba del 26
settembre del 2006, in un attentato compiuto dai talebani
vicino a Kabul.
Ieri, invece, il dramma ha colpito la
famiglia di Giovanni Pezzulo,
il primo maresciallo originario di Casanova di Carinola
ucciso, sempre in Afghanistan, nel corso di un’imboscata dei talebani mentre era impegnato in un’operazione umanitaria,
di quelle che si addicevano alla sua indole. Con altri militari del contingente
italiano era impegnato nella distribuzione di viveri e vestiario a Rudbar, una località nella valle di Uzeebin, distretto di Surobi, a
una sessantina di chilometri da Kabul. Raffiche di kalashnikov
hanno spezzato la sua vita e segnato per sempre quella della moglie Maria,
della figlia Giusy (abitano a Oderzo, in provincia di Treviso), dei genitori,
che vivono a Casanova di Carinola, e dei fratelli. Era
a Nassiriya anche il 12 novembre del 2003, il giorno
della strage degli italiani. Sembra che fu uno dei
primi soccorritori. Ieri, purtroppo, un atroce destino non lo ha risparmiato, a
dodici giorni dal suo quarantacinquesimo compleanno. Inutili
i soccorsi e l’immediato trasporto all’ospedale militare francese di Kabul.
In Afghanistan era arrivato il 3 dicembre.
E in Afghaistan,
precisamente ad Herat, è
impegnato un centinaio di bersaglieri del 1° Reggimento della Brigata Garibaldi
di stanza a Cosenza. In primavera è previsto l’avvicendamento con i fanti
piumati dell’8° Reggimento della «Ferrari
Orsi», quartier generale della
Garibaldi, di cui è comandante il generale di brigata Vincenzo Iannuccelli, attualmente impegnato in attività di
addestramento a Capo Teulada, in Sardegna. Esercitazioni propedeutiche alla
missione in Libano, dove la Garibaldi sarà impegnata
per sei mesi, a partire da aprile. Una missione con funzioni di comando. Un
riconoscimento alla professionalità di una brigata, considerata uno dei fiori
all’occhiello dell’Esercito, che ha già avuto modo di farsi apprezzare, anche
dalle popolazioni locali, nei Balcani e in Iraq, dove
ha aperto e chiuso l’operazione «Antica Babilonia». Un’attività
umanitaria fatta di aiuti, ricostruzioni e attività di
sminamento, affidate all’abilità dei militari del 21°
Reggimento Genio Guastatori «Timavo», unità operativa
inquadrata nella Garibaldi.
L’attentato di ieri ha rievocato anche
il ricordo dei drammi vissuti da altre famiglie di militari rimasti feriti
durante le missioni di pace. Gianfranco
Paglia, casertano doc,
rimase gravemente ferito in Somalia nel luglio del 1993, all’età di 23 anni.
Allora era sottotenente dei paracadutisti. Di quella disavventura porta ancora
i segni ma la forza di carattere, il calore della famiglia e la passione per la
divisa hanno favorito un graduale recupero. Con la Brigata Bersaglieri è
tornato in missione in Iraq con il grado di capitano.
Luca
Patrizio, invece, il 6 aprile del 2004 è rimasto ferito alle gambe in un
conflitto a fuoco a Nassiriya, dove era arrivato in
forza all’11° Battaglione Bersaglieri di Orcenico Superiore (Pordenone) come caporalmaggiore. Furono
giorni di trepidazione per la famiglia, che vive a CALVI Risorta.
Luca, dopo una lunga convalescenza e attività di riabilitazione, si è ripreso
tanto da essere in grado di tornare in servizio e addirittura in missione,
proprio a Nassiriya.
All’indomani dell’attentato in cui fu coinvolto Cardella, invece,
rimase ferito, sempre in Afghanistan, Giancarlo
Parillo, orginario di Pontelatone ma residente in Friuli. Il caporalmaggiore
degli alpini se la cavò con ferite lievi ma per la madre e la moglie,
originaria di Sessa Aurunca, furono ore di angoscia. Solo l’arrivo in Italia del loro Giancarlo le
tranquillizzò.