ANTICA
CALES: LA CAMORRA NUOVA PADRONA
Calvirisortanews, 25 luglio 2007
Vito Taffuri
Non c’è più posto nella storia moderna per l’antica Cales.
Di quella che fu una città preromana crocevia di civiltà antiche come
l’aurunca, l’etrusca e la sannita, divenuta colonia romana già nel 420 a.C.,
sopravvissuta nel medioevo ai Longobardi e agli Aragonesi, resta solo qualche
cenno su libri dedicati ad appassionati di archeologia mentre altre
informazioni si possono trovare su qualche sito internet, come www.calvirisorta.com di Claudio e Giuseppe De Lucia,
che hanno dedicato uno spazione sulla antica Cales.
Il solo e unico aggancio con il territorio, è la scritta a
caratteri cubitali che campeggia sul pannello di benvenuto all’ingresso di Calvi
Risorta in cui si ricordano le sue origini che si perdono nella notte dei
tempi. Poi più nulla, se si eccettua qualche rudere visibile come il castello
Aragonese o la dogana borbonica, divenuti ormai discariche a cielo aperto.
Il resto, ossia l’intera parte meridionale dell’antica
Cales, il cuore dell’urbs con il foro, il teatro, le terme, i templi, l’anfiteatro,
rimane invisibile, completamente divorata dalla vegetazione, dove si possono
trovare auto abbandonate; e attraversata irrimediabilmente dal ponte dell’A1
Napoli-Roma. Se Teano è la città delle occasioni sfruttate e perdute, almeno
per il momento, Calvi è forse il centro più ricco di storia della provincia di
Caserta ma che, alla storia, e quindi ai tanti appassionati turisti, ha
completamente voltato le spalle.
C’è un’unica cifra lì a confermarlo: quel 5% di scavi
effettuati. Il patrimonio, insomma, è ancora tutto da riportare alla luce e da scoprire.
«Sempre che - ricorda Colonna Passaro,
funzionaria della Sovrintendenza per i beni archeologici di Napoli e Caserta responsabile
dell’ufficio di Calvi - la camorra ci faccia trovare qualcosa». Sono proprio
gli uomini dei clan, non solo i Casalesi ma anche gli affiliati alle potenti
famiglie del luogo, i tombaroli più attivi da oltre 20 anni, gli unici che in
pratica scavano e riportano alla luce reperti inestimabili.
La stessa funzionaria calcola che, per colpa degli scavi clandestini,
«si sia volatilizzato quasi il 40% di tutto il patrimonio sotterraneo». Il
paradosso è che, solo dopo il ritrovamento di scavi illegali, la Sovrintendenza
riesce ad intervenire nei siti violati proseguendo lo scavo grazie a fondi per le
emergenze. Altrimenti, non si scaverebbe affatto.
«Quei reperti che poi vengono trovati - dice la
funzionaria - finiscono nei depositi di Santa Maria Capua Vetere o di Napoli o
in musei stranieri. Ce ne sono alcuni al Prado di Madrid». L’ex Sovrintendente
di Napoli e Caserta, Stefano De Caro,
voleva creare un museo a Calvi, sfruttando l’ex seminario settecentesco, ora a
rischio crollo, ma non se n’è fatto nulla. «Cercammo di sensibilizzare la curia
e il Comune, ma fu inutile» dice Passaro. Così come non si è fatto nulla del
Parco Archeologico.
Una serie di idee mai attuate, non solo per la scarsità di
fondi ma anche per la mancanza di volontà delle varie amministrazioni locali che
si sono succedute a collaborare per riportare alla luce il patrimonio.
«Chiedemmo al Comune uno spazio per esporre i pannelli illustrativi sugli scavi
- cita come esempio la Passaro - ci diedero il sottoscala del Municipio, il quale
ci fu negato dall’attuale amministrazione retta da Zacchia». Ora, ci sarebbero
760 mila euro per restaurare il castello medioevale, sbloccati grazie ai fondi
Por (dell’Unione Europea), ma i lavori proseguono a rilento.
Si parla di contenziosi tra le ditte che devono eseguire i
lavori e il comune. Comunque una goccia nel mare. I circa 60 ettari dell’antica
Cales restano così dimenticati. Non c’è nemmeno un cartello che indichi l’area
dove sorgeva l’urbs: dalla Casilina, si imbocca una normale stradina di
campagna. Senza saperlo, ci si trova a percorrere il «cardo maximus» (la via
principale) e a passare per l’area del foro, dell’anfiteatro; le terme centrali
sono sommerse dai rovi, si scava solo al teatro.
E nel punto in cui ci sarebbero delle tombe, c’è una
discarica sormontata dal ponte dell’A1. Nella parte nord dell’antica città, resiste
solo la cattedrale del patrono San Casto, aperta per le cerimonie religiose. A
poca distanza, il castello aragonese e la dogana borbonica muoiono tra i
rifiuti, per il momento il patrimonio archeologico è saccheggiato dai clan.