Trattamento di fine rapporto

Il "trattamento di fine rapporto", in sigla TFR, è la somma che spetta al lavoratore dipendente al termine del lavoro in un'azienda. Conosciuta, specie in passato, più popolarmente come "liquidazione", è una prestazione al cui pagamento è tenuto il datore di lavoro nel momento in cui cessa il rapporto stesso. Sull'argomento è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione, precisando che tale erogazione è dovuta dal momento della cessazione del rapporto indipendentemente dal fatto che siano conosciuti tutti i dati necessari per il calcolo. Pertanto anche la maturazione degli interessi e la rivalutazione monetaria, in caso di ritardato pagamento, maturano dal giorno in cui il credito potrà essere liquidato nel suo intero ammontare.

 


Come si calcola

 

Il trattamento di fine rapporto si calcola sommando per ciascun anno di lavoro una quota pari all'importo della retribuzione annua divisa per 13,5 (la retribuzione utile per il calcolo del TFR comprende tutte le voci retributive corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, salvo diversa previsione dei contratti collettivi). Tenendo conto che di questa quota una parte, lo 0,5%, va all'Inps come contributo per le prestazioni pensionistiche, la quota accantonata annualmente in termini percentuali è pari al 6,91% della retribuzione utile.
Gli importi accantonati sono indicizzati, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo (Istat). Dal 2005 il valore del TFR maturato non è più presente come voce nel modello Cud. Il lavoratore può comunque richiederlo in ogni momento al proprio datore oppure consultare l'ultima busta paga dell'anno e in sede di conguaglio fiscale.

 

La novità parte dal 1° gennaio 2007

 

Da questa data scatta il decorso dei sei mesi entro i quali il lavoratore che non ha ancora aderito ad una forma pensionistica complementare, dovrà scegliere se destinare o meno il TFR ai fondi pensioni. In mancanza di una comunicazione, scatta il meccanismo di silenzio-assenso e il TFR finisce automaticamente nei fondi. Il datore di lavoro, invece, in mancanza di scelta del lavoratore, avrà l'obbligo di riversare il TFR verso il nuovo Fondo per l'erogazione del TFR, gestito dall'Inps

 

Entro 30 giorni dalla data di pubblicazione del decreto, inoltre, i Fondi pensione dovranno adeguare i propri statuti e le imprese di assicurazione costituire il patrimonio separato e autonomo per la gestione di forme previdenziali mediante contratti di assicurazione sulla vita.


Nel settore pubblico il valore della prestazione si ottiene invece dalla moltiplicazione dell'ultima retribuzione utile (quote percentuali diverse a seconda della voce retributiva e del settore di lavoro) per gli anni di servizio effettivi e riscattati. Quindi un meccanismo analogo alla vecchia liquidazione che era in vigore nel settore privato prima del 1982. La legge n. 335/95 ha previsto peraltro l'estensione del TFR anche ai dipendenti pubblici, estensione necessaria per finanziare anche nel comparto pubblico la previdenza integrativa, ma restano esclusi dalla Riforma della Previdenza complementare.

 

Quindi sono scattati i sei mesi disponibili entro cui i lavoratori sono costretti a scegliere se destinare o meno la loro liquidazione ai fondi pensione privati, oppure rifiutare. In assenza di una esplicita preferenza scatta il “silenzio-assenso”.


I lavoratori dipendenti hanno tempo fino al 30 giugno 2007 per scegliere la destinazione del proprio TFR e sulla Gazzetta Ufficiale sono stati pubblicati i moduli per comunicare la volontà di aderire a un fondo pensione complementare o di lasciare la propria liquidazione in azienda.