La città metropolitana

La Repubblica, 31 gennaio 2007

Aldo Loris Rossi

Il governo ha proposto la trasformazione di nove grandi province in città metropolitane, proposta da approvare in Parlamento. Quali prospettive si aprono per la provincia di Napoli che ha la più alta densità abitativa d'Italia (2.641 ab./kmq), quasi 4 volte quella di Roma, dieci volte Palermo? Per avere un'idea dei suoi limiti basti considerare che la distanza tra Napoli e Caserta è pari al diametro del grande raccordo anulare (23 km).

Dunque, San Pietro si trova all'incirca dov'è Aversa, cioè al confine tra le province di Napoli e Caserta. Fino agli inizi dell'Ottocento questo confine non c'era. La piana campana, quale unità geomorfologica, storica, economica, formava una sola provincia: la Terra di Lavoro.

A tali limiti si aggiungono quelli del Comune di Napoli. Solo nel 1925-27 fu raddoppiato restando, comunque, 13 volte più piccolo di Roma, ma cinque volte maggiore per densità abitativa. Insomma, Napoli trasformandosi negli ultimi cinque secoli da piccola città in equilibrio con lo straordinario paesaggio nella metropoli più densamente popolata d'Europa, è implosa su se stessa incapace di svilupparsi in modo organico sul territorio.

«Mai la città ha avuto una guida capace di travasare l'antica struttura in un nuovo organismo aperto. All'opposto: si è lasciato che la città si chiudesse in se stessa proponendo sviluppi concentrici e ha raggiunto in forma diffusa le più assurde densità edilizie».

Questa lucida diagnosi fu formulata nel Piano del Comune e del Comprensorio di Napoli (?63-'64) coordinato da Luigi Piccinato, il solo piano comprendente la città e l'area metropolitana. Ma quando e come si è configurato tale impianto radiocentrico implosivo?

L'armatura urbana antica non era centrata su Napoli, che aveva un ruolo del tutto marginale; bensì su Capua, la più grande città della Campania Felix. Essa era la metropoli generatrice della dodecapoli etrusca che dal Volturno si snodava ai piedi dell'Appennino fino al Sele, in un sistema lineare formato da Acerra, Nola, Nocera, Ercolano, Pompei, Pontecagnano; mentre le coste erano controllate dalle poleis greche e l'Appennino dalla rete dei recinti fortificati sanniti.

Questi tre sistemi urbani paralleli furono unificati nell'armatura urbana romana incardinata su due grandi arterie: la via Appia, regina viarum', Roma-Capua-Brindisi diretta a oriente; e la via Popilia, Capua-Reggio-Palermo, verso l'Africa; antesignane del 'Corridoio Transeuropeo V' Bari-Sofia-Varna e del Corridoio I Roma-Capua-Palermo. Da Capua si irradiavano sette strade consolari.

Una, l'Atellana giungeva oltre Atella, a Napoli, città di otia dove «fanno continuare la vita greca coloro che vi accorrono da Roma per cercarvi riposo e hanno atteso alle lettere, oppure per vecchiaia o infermità desiderano vivere in pace» (Strabone). Beloch ricava da Tito Livio i pesi demografici: Capua contava 80-100 mila abitanti; Pozzuoli, Baia, Miseno e Cuma, 100 mila; Napoli 30 mila; Nocera e Nola 25 mila; Pompei 20 mila, Ercolano e Sorrento 10 mila; mentre l'intera piana campana ne aveva circa 450 mila, un decimo di quelli odierni.

Tale armatura urbana entra in crisi nel V secolo, anche per la mutazione ambientale definita dai paleoclimatologi 'Piccola Età Glaciale Alto Medioevale' (500-750).

Essa instaura un periodo freddo-piovoso che impaluda coste e depressioni orografiche infestate dalla malaria, causando l'estinzione di città litoranee (Miseno, Volturno, Literno) e interne (Cales, Teano, Calatia, Suessula, Atella).

Due ulteriori eventi mutano tale assetto. Il primo, la distruzione di Capua (841) a opera dei saraceni, sconfitti poco dopo da Cesario Console nell'849, figlio del duca Sergio I in due battaglie navali, Gaeta e Ostia. Questo segna l'ascesa di Napoli che contende il primato a Capua, rifondata nell'ansa del Volturno (856) sito dell'antica Casilinum.

Il secondo, è la fondazione di Aversa (1030) concessa dal duca Sergio IV ai normanni per difendersi dalla riemergente Capua. Si forma così un asse tripolare Napoli-Aversa-Capua quale spina dorsale della Campania normanna, mentre la città più popolosa del regno è Palermo (300 mila abitanti per L. Benevolo), dieci volte Napoli.

Questa, divenendo capitale angioina, dopo la perdita della corona della Sicilia (1282), modifica tale struttura assiale in radiocentrica per collegarsi direttamente con tutte le province. Avendo ceduto Benevento al Papa crea, anzitutto, una nuova strada per le Puglie; quindi ritraccia le direttrici calabra e sannita, potenzia la via Latina, mentre l'Appia pontina e la Domitiana restano abbandonate alla malaria. In tale contesto Capua assume il ruolo di 'chiave del regno'.

Dalla Generalis Subventio (1320) che censiva le tasse dei 'fuochi', A. Filangieri (2002) calcola nell'odierno limite provinciale circa 126 mila abitanti; cioè quelli attuali del Vomero-Arenella.

Con il viceregno spagnolo l'impianto radiocentrico si consolida, costruendo lungo le cinque strade che si diramano da Napoli verso i confini terrestri e costieri un sistema di imponenti fortezze. L'area che oggi chiamiamo provincia si ingigantisce in modo ipertrofico toccando il massimo della popolazione prima della peste (1656) con 553 mila abitanti. Nel 1789 tale popolazione giunge a 790 mila abitanti.

Pochi anni prima Gaetano Filangieri aveva denunciato: «Io non dico che non ci dovrebbe essere una capitale di una nazione bene regolata, dico solo che se la testa si ingrandisce troppo, se tutto il sangue vi corre e vi si arresta, il corpo diviene apoplettico e tutta la macchina si scioglie e perisce» (1781).

Ma dalla metà del Settecento si conferma ancora l'impianto radiocentrico ristrutturando la città e l'area metropolitana con le tre principali direttrici che vanno: verso sud-est, alla reggia di Portici, ai siti archeologici di Ercolano e Pompei allora scoperti e ai cantieri navali di Stabia, attraverso il Miglio d'Oro arricchito da oltre un centinaio di ville aristocratiche; verso nord alla incomparabile reggia di Caserta e agli opifici reali di San Leucio; verso ovest, ai siti reali degli Astroni e del Fusaro.

In realtà mentre l'assolutismo regio e la nobiltà attuano tale prestigiosa sistemazione territoriale, sottovalutano o ignorano l'arretratezza del regno, denunciata viceversa dagli illuministi, e contrastano la borghesia, che intanto diviene in Europa la protagonista della storia con le rivoluzioni industriale e francese.

Quei problemi, insoluti nell'ultimo periodo borbonico e parzialmente affrontati nei primi 90 anni unitari, esploderanno nel secondo dopoguerra quando la provincia di Napoli giunge a 2.421.000 abitanti con la suddetta devastazione urbanistica e ambientale che collassa lo stesso impianto radiocentrico.

Dunque, sono le ragioni storiche suddette che rendono irresponsabili le massicce urbanizzazioni e lo sventramento del centro storico proposti dal consociativismo negli anni Ottanta.

Oggi Napoli è chiamata ad assumere il ruolo di città metropolitana e a integrarsi sempre più col territorio provinciale che ha problemi non meno gravi. Mentre la provincia supera i 3 milioni di abitanti, i 91 Comuni che assediano Napoli raggiungono i 2 milioni, cioè il doppio dell'ex capitale. Quindi, bisogna riequilibrare tre Napoli.

 

Questo, in un'area con oltre 4 milioni di vani in maggioranza post-bellici privi di qualità ampiamente 'calcuttizzati' (F.Compagna), una deindustrializzazione incalzante e un insufficiente inquadramento terziario del territorio, nel quale la disgregazione sociale ed economica è conseguenza e, insieme, causa delle disfunzioni che lo soffocano. In tale situazione la città metropolitana rappresenta una sfida storica che non si può vincere senza una mobilitazione etico-politica generalizzata.

 

Essa deve porre tra gli obiettivi quello mai affrontato di «travasare l'antica struttura in un nuovo organismo aperto» al territorio come chiedeva il piano comprensoriale di Piccinato. Di fronte a una tale sfida si pongono due interrogativi. Si riuscirà, in generale, ad attuare un piano strategico economico-territoriale capace di far uscire l'area metropolitana dal labirinto del sottosviluppo e dall'impianto radiocentrico implosivo, introducendo una direzionalità che guidi lo sviluppo futuro?

 

E, in particolare, si riuscirà a trasformare la rivoluzione trasportistica in atto, basata sulla creazione di un sistema integrato a scala euro-mediterranea, in un'occasione per rifondare la suddetta armatura urbana, ormai in decomposizione?