Penso alla morte, e la vita mi pare straordinaria

 

Il tempo inesorabilmente scorre deciso: tic, tac, tic, tac e così passano i secondi, le ore, i giorni, gli anni e improvvisamente ci ritroviamo "grandi", fino a diventare vecchi con i capelli bianchi e qualche ruga in più. In fondo tutti lo sanno: nascere vuol dire morire ma per fortuna raramente si pensa alla vita come una morte sicura perché raramente si pensa alla morte come la fine di tutti i mali. La morte per la maggior parte di noi è l'ignoto, è quell’abisso dal quale nessuno potrà tornare indietro. A tutti toccherà lo stesso destino.

 

Anche Cavour, Garibaldi, Mazzini, loro che sembravano essere invincibili e imbattibili, non ci sono più. Eppure tutti conoscono la loro vita, quei grandi della storia studiati nei banchi di scuola.

 

Non sono bastati secoli a renderli meno importanti; anche chi nascerà anni e anni dopo di noi saprà di un Garibaldi che ha fatto l'Italia, degli ideali rivoluzionario-democratici del Mazzini, delle abilità diplomatiche del Cavour.

 

E così anche di noi, un giorno, non rimarrà altro che un ricordo. Ma ognuno di noi sarà, per coloro i quali in vita ci hanno amato e stimato, un piccolo Garibaldi, o un Cavour, un Mazzini, perché anche se non saremo studiati nei banchi di scuola vivremo in eterno nei loro cuori perché in questi casi il ricordo è più forte di qualsiasi morte. Vuole essere questo un inno alla vita.

 

Pensiamo alle persone che non riescono a vedere la luce del giorno e lo splendore delle stelle, che non riescono ad ascoltare la soave musica di un pianoforte, che non riescono a stare in piedi sulle proprie gambe, che darebbero di tutto pur di avere una vita "normale".

 

Pensiamo ai bambini del Terzo Mondo costretti a mangiare, alle volte, per disperazione, la carne della loro carne. E ora pensiamo a noi, che dovremmo ritenerci fortunati, che non abbiamo problemi di cibo, che riusciamo a camminare sulle nostre gambe, a vedere con i nostri occhi, che siamo in grado di parlare, di ascoltare, di comunicare, stiamo sempre qui a lamentarci, forse del troppo.

 

Non sciupiamola questa vita, ma impariamo ad apprezzarla e a renderla ogni giorno un più leggera, magari con un contagioso sorriso che si espande come un raffreddore, a macchia d'olio, aiutandoci l'un l'altro, per rispetto a tutti coloro che vorrebbero vivere e non possono. Perché benché la vita sia fugace vale la pena di viverla.

 

PS. Vorrei dedicare queste parole a mio nonno Nicandro che benché siano passati due anni dalla sua morte continua a vivere dentro di me. Per sempre.

 

Ornella Della Vedova - CALVI RISORTA (CE)

 

 

 

RISPONDE PIETRO GARGANO:

 

Da un numero nella mail mi pare di capire che la gentile Ornella è molto giovane. E tuttavia già avverte con intensità il senso del tempo che passa.

 

La sua lettera è semplice e molto bella. Incita alla memoria di chi ci ha preceduto e insieme ci sprona a vivere la vita in tutta la sua pienezza, perché è in se stessa un dono straordinario. In questi tempi avidi, scanditi dal cattivo esempio e dalla voglia del "tutto e subito", questi sentimenti possono apparire disarmati, ma hanno invece una grande forza.

 

C’è un momento dell’esistenza in cui ci si accorge che tutto può finire da un momento all’altro ed è allora che di solito si fa la scelta di concentrarsi sulle persone e sulle cose che contano davvero, mettendo da parte le ambizioni eccessive e i desideri continui. Si sa, e tanto vale anticipare quel giorno, come suggerisce Ornella.

 

I vecchi padri, alle lamentele dei figli per qualcosa che meritavano e che mancava, suggerivano sempre di voltarsi indietro e di rivolgere lo sguardo verso chi sta peggio. Anche questo può apparire un consiglio banale, un buonismo superato: non lo è.