ANTONIO FRANCO, UN ATTORE DAVVERO TENACE
CALVI RISORTA
(Giuliana Gargiulo)
Con una
semplicità disarmante, che è la sua caratteristica e probabilmente la sua forza, Antonio Franco, dagli amici
affettuosamente chiamato Francantonio, si dibatte
tra due scelte: quella della passione
d'attore e quella più pratica di svolgere un lavoro come un altro per
essere un buon capofamiglia. Nel frattempo, tra una storia e l'altra, e la
nascita di due bambini, Antonio Franco ha fatto le sue esperienze, studiando e
recitando, fino ad approdare all’interpretazione di ruoli, con la regia di
Renato Carpentieri, che gli stanno dando consolanti
soddisfazioni. Quando si dice il teatro!
Vuole cominciare dal principio? Come è
partita la sua storia di vita? Quali sono i ricordi dell'infanzia?
“Sono nato
a Calvi Risorta, in provincia di Caserta, in una
famiglia da generazioni dedita alla falegnameria, ramo in
cui mio nonno e mio padre sono stati eccellenti artigiani. Primogenito di un
fratello e una sorella sono stato un bambino vispo,
che, messo in collegio, gioiva della possibilità ogni sabato di andare al
cinema.”
Come, quando e perché il desiderio di far
teatro entrò nei suoi progetti?
“Avevo
diciassette anni quando un mio amico mi invitò a fare
questo gioco. Mi iscrissi a Capua
alla scuola di Gianpiero Notarangelo e feci anche
qualche esperienza di piccole tournée. In seguito conobbi i
giovani attori Toni Laudadio ed Enrico Janniello, che venivano dalla bottega di Vittorio Gassman e mi iscrissi alla loro scuola-laboratorio
di'uscita. Ho continuato lavorando con Giulio Adinolfi, anche se nel frattempo mi sono sposato con Clara
ed ho avuto Alessandra e Nicola”.
La famiglia ha inciso positivamente o no?
“La mia
famiglia di origine non mi ha certo spinto verso il
teatro. Avrebbe preferito l'impiego, il
posto fisso... Ho dovuto farcela da solo. In seguito, è stato inevitabile
che, formando una famiglia mia, le responsabilità aumentassero tanto da far
venire un po' meno le occasioni di teatro... Avevo
ripreso a lavorare con mio padre nella falegnameria e di tanto in tanto mi
allontanavo per fare teatro. Purtroppo il lavoro cominciò a scemare ma ebbi
l'occasione di andare a lavorare in fabbrica della Pirelli a Pignataro Maggiore.
Quando il lavoro è venuto meno per una serie di ragioni
sono ritornato al primo amore: il teatro”.
Che
cosa fece per rientrare nel giro?
“Andai da Renato Carpentieri per frequentare a Piscinola il suo corso seminario su Shakespeare
e quasi subito fui assorbito dal suo progetto Museum.
Da allora non mi sono più fermato”.
Quali sono le cose che ha fatto?
“Dopo un
lavoro con Paolo Cresta sono stato chiamato per il Progetto Pulcinella, andato
in scena, nel corso di quattro mesi, con quattro spettacoli nel Ridotto del
Teatro Mercadante”.
In una situazione di vita anche diffìcile, certamente altalenante, che cosa rappresenta il
teatro per lei?
“Per me è
azione... vita. È stato la possibilità di rinascere...
allontanandomi dalla strada. In fondo è l'unica occasione di vivere”.
C'è una qualità che l'aiuta ad andare avanti?
“Sono
molto tenace, se inseguo qualcosa non mi arrendo tanto
facilmente. Il teatro non è un mestiere come altri, non termina quando lo spettacolo finisce. Il teatro è una condizione
mentale”.
E
ora che cosa sta facendo o che cosa conta di fare?
“Ho avuto
un periodo felice e costruttivo per merito di Renato Carpentieri, perché dopo
il successo de "La tabernaria” sono stato
chiamato per la undicesima edizione di "Museum". Però il momento è difficile perché con questo impegno... sono finiti gli ingaggi”.
Paura?
“Non ho
una vera e propria paura. Non mi spaventa lavorare, in qualsiasi campo, per
assolvere i doveri verso la famiglia. Mi rimbocco le maniche e faccio tutto. Se ho il peso, ho anche la forza che mi viene dalla mia
famiglia”.
Ha un'ambizione che la spinge?
“Per fare
l'attore un pizzico di ambizione bisogna anche
averla. Ma sono abbastanza umile, semmai ho un unico
sogno che è quello di vivere facendo teatro.
Che
cosa conta per lei?
“I
sentimenti e i valori. Mio padre mi ha insegnato tanto... tutto. Anche il nonno. Nel settore della falegnameria sono stati autentici
maestri. Per il teatro sono grato agli insegnamenti di Renato Carpentieri che
mi ha fatto capire il teatro. Ho messo su carta
centonovanta pagine di appunti: per memorizzare quanto mi è stato insegnato”.
Sente di appartenere ad un genere preciso di attore?
“Dicono
che sia versato per il genere comico ma io non sento alcuna appartenenza”.
Ha l'orgoglio delle cose che ha fatto?
Sì, sono
contento di aver lavorato negli ultimi due anni in teatro e con spettacoli di
qualità. E poi dal mio paese siamo partiti in
otto e... sono rimasto soltanto io”.
Un obiettivo?
“Farcela.
Sono in pace con me stesso, perché, quando lavoravo
in fabbrica, mi sentivo impazzire”.
Volendo concludere?
“Vorrei
tentare qualcosa nel cinema e in televisione e soprattutto continuare a fare
teatro. Il teatro mi fa stare bene con la testa”.