LE
INFLUENZE MULTICULTURALI NELL'ARTE DELLE CATTEDRALI ROMANICHE IN CAMPANIA
di CARLA MARIA CARLETTI
Prefazione
Parte 1^------------ Inquadramento
storico-architettonico
Parte 2^------------- Il
substrato classico
Parte 3^ ------------ Gli
influssi bizantini
Parte 4 ^------------ Le
suggestioni dell'arte islamica
Parte 5 ^------------ Il
rafforzamento plastico lombardo e l’arte normanna come fusione di stili
Prefazione
Ho messo a disposizione di questo pregevole sito su Calvi Risorta, curato
dall’amico Peppe De Lucia, una ricerca che svolsi in occasione di un mio esame
universitario di Storia dell’Arte Medioevale, corredata da una estesa
bibliografia. Può essere di qualche utilità per chi vuole conoscere meglio il
nostro territorio campano e le opere d’arte in esso conservate, tra cui quelle
della nostra Calvi; conoscerle sia per godere tutti i particolari della loro
bellezza, sia per poterle tutelare e valorizzare al meglio. Questa ricerca
verte sulle cattedrali romaniche, ma con un taglio diverso dal solito; infatti
ho scelto di trattarne separando (e quindi mettendo in risalto) le varie
componenti, gli influssi molteplici che l’opera degli artisti locali ha
utilizzato per creare un’arte originale e affascinante. In tal modo, la nostra Cattedrale
di Calvi Vecchia (contenente oggetti raffinatissimi quali la sedia vescovile ed
il pulpito) e le grotte affrescate sono inserite in un quadro complessivo
storico ed artistico, che cerca di rendere con vivezza l’atmosfera di quegli
anni, il fervore di costruire luoghi di culto degni di rappresentare l’intera
comunità, l’operosità delle maestranze.
“Nessun uomo è un’isola”, diceva il poeta John Donne, ed allo stesso
modo nessuna cultura umana è un’isola chiusa in se stessa. Già la storia di
4000 anni fa ci mostra come tra Egizi, Assiri, Fenici e genti nordiche, fervono
scambi di materiali, di tecniche e di intuizioni artistiche; si apprende l’uno
dall’altro, ci si copia l’un l’altro.
E’ quindi affascinante vedere come attraverso spunti provenienti dal
Nord Europa, dall’arte bizantina, dai luoghi di Puglia e di Sicilia, da
territori musulmani, gli artisti campani innovano tradizioni locali pur
conservate gelosamente, afferrando al volo idee, metodi costruttivi,
particolari decorativi finissimi, per poi arrivare ad una sintesi piena di
armonia.
Carla Maria Carletti
La scrivente è docente di
Lingue Straniere nella scuola superiore, e la ricerca qui presentata fa parte del
percorso di laurea in Lettere Moderne. La sua tesi di laurea finale del 1996,
dal titolo: “La fantascienza: ritorno al fantastico” ha come argomento la
Sociologia della letteratura, ed è pubblicata da anni nel sito Internet www.Liberliber.it, il più importante sito
italiano di opere letterarie e tesi, ove si può leggere e stampare. Questa tesi
ha voluto dimostrare come la letteratura di fantascienza più raffinata e
profonda (quale si trova in autori come Philip K. Dick) sia la degna erede del
grande romanzo fantastico che va da Edgar Allan Poe
a Franz Kafka.
L’altra tesi di laurea, in
Lingue e Letterature Straniere, del 1978, che tratta della semiotica o studio
dei segni (con importanti apporti dalla sociolinguistica e dall’antropologia
culturale), porta il titolo “Donna e linguaggio verbale“ ed è di prossima
pubblicazione su Internet.
INQUADRAMENTO STORICO-ARCHITETTONICO
Anche in Campania,
come nel resto dell'Italia, in conseguenza delle devastazioni portate dalla continue
invasioni dei barbari, dal IV sec. d.C. all'VIII sec.
d.C., le città romane andarono in rovina. Nelle campagne sorgono i “castra”,
fortificazioni degli antichi centri agricoli romani, mentre gran parte della
popolazione si sposta nei borghi elevati su alture, più sicuri e meglio
difendibili. Soltanto con la discesa in Italia dei Longobardi e poi dei
Franchi, ed il conseguente svilupparsi del sistema feudale, la popolazione
ritornò a vivere in pianura; risorsero così le antiche città, ed iniziarono le
edificazioni di numerose cattedrali.
Il dominio dei longobardi in Campania termina alla
metà del secolo XI. Nel 1059 Benevento passa sotto il dominio del Papa, mentre
le città di Capua, Amalfi e Salerno vengono conquistate dalle truppe normanne,
al comando di Roberto il Guiscardo, tra il 1059 e il
1076.
Nel 1139 anche Napoli cade nelle mani dei
Normanni. Possiamo così dire che, verso la fine del XII secolo, tutta la
regione entra a far parte del normanno Regnum Siciliae, con capitale Palermo.
L'invasione dei Normanni fu dovuta all'urto tra i
due Imperi (d'Occidente e d'Oriente) e allo scontro tra la Chiesa Latina e la
Chiesa Greca. Essa trovò nell'Italia meridionale la zona più diretta della loro
collisione. E' ormai indiscutibile che la dominazione normanna segnò per
l'Italia Meridionale un periodo di rinnovamento profondo e di nuovo fulgore,
sia nel campo delle istituzioni che in quello economico e quindi anche nella
cultura e nell'arte.
Le
vecchie strutture statali
ereditate dai Longobardi, Bizantini e
Musulmani, furono profondamente
innovate, e la dinastia normanna degli Altavilla
volle creare uno stato “fatto a regola d'arte”, come il Burkhardt
lo definì, una “monarchia illustre”, con amministrazione e finanze ordinate.
Sotto l'influsso dell'Ordine di San Benedetto,
i Normanni affidarono alle abbazie
benedettine alcuni compiti in campo economico, come il risanamento agricolo del
territorio e la riorganizzazione dell'economia locale.
I monaci dedicarono le loro energie anche alla
diffusione della cultura latina propagandata dalla Chiesa di Roma, che si
contrapponeva a quella bizantina. Ciò vale particolarmente per la regione
Campania. Qui le città rifioriscono, quelle antiche come anche le più recenti,
ed assumono un carattere realmente urbano. In questo contesto risorge
l'edilizia monumentale e vengono eretti un gran numero di monumenti: chiese e
torri campanarie, palazzi e castelli. Dappertutto sorgono cattedrali erette ex
novo oppure si ricostruiscono in forme più grandiose quelle preesistenti,
arricchite anche dall'arredamento interno.
Le chiese cristiane, definite nella loro forma più
monumentale, e traendo spunto dalla tradizione romana, le “basiliche”, erano iniziate a sorgere in gran numero già dal
V secolo per tutto l'Impero.
Dopo che nel V secolo quindi questa foresta di
basiliche cristiane era sorta in tutto il territorio dell'Impero, le varie
forme usate si stabilizzarono in una comune: la basilica regolare con tre
navate, con due file di colonne, con tetto a capriate. Le grandiose basiliche
costantiniane innalzate a Roma (San Paolo Fuori le Mura, Santa Maria Maggiore,
Santa Sabina) prendevano le norme e le forme dell'antica basilica pagana: erano
vaste, di proporzioni imponenti e a pianta rettangolare, con ingresso sul lato
corto. In seguito edifici a pianta basilicale di grande valore architettonico
furono eretti a Milano e a Ravenna, che divennero sedi dell'Imperatore.
A causa delle vicende storiche, vi fu un intenso
scambio di moduli costruttivi tra l'Occidente e l'Oriente, tra il vecchio
centro dell'impero (Roma) e Costantinopoli, poi detta Bisanzio. Altri
arricchimenti vennero poi dalle popolazioni barbare, anche se ciò appare di più
negli edifici a pianta centrale (mausoleo di Teodorico, quello di S.Costanza, ecc.). Nelle chiese più antiche troviamo navate
parallele non interrotte, ma sempre più di frequente nelle planimetria delle
chiese appare un simbolismo, quello della croce. Infatti, a due terzi circa
della lunghezza, si vede una navata
trasversale molto più breve (il transetto) che è perpendicolare alle
prime e che forma una croce: la
cosiddetta croce latina.
Comunque regna una molteplicità di esecuzioni
durante tutto l'Alto Medioevo e soprattutto vi è una scissione netta tra i
monumenti illustri e una miriade di esecuzioni di tradizione romana provinciale
e plebea, possiamo dire, come un linguaggio volgare. Finché, dopo l'anno mille,
e precisamente verso l'inizio del secolo XII, questa varietà di forme acquista
un tono più unitario parallelamente alla riorganizzazione nei centri urbani di
una società più articolata, di una vita più libera.
Permangono le differenze di classe, ma non abbiamo
più contrapposti frontalmente una oligarchia guerriera alla plebe rurale immersa
nella miseria, e i ceti si amalgamano maggiormente, vi è rimescolamento di
possibilità e di ricchezze. Al nuovo
sentimento di solidarietà sociale, al sentirsi cittadini del Comune,
corrisponde nell'architettura il sorgere di Palazzi Pubblici e di Cattedrali. Riattingendo anche alle fonti dell'arte classica, mai
dimenticate, le maestranze operose del periodo raggiungono una nuova unità
stilistica, che celebra la nobiltà del lavoro espresso nelle
attività mercantili e artigiane.
Certamente nei vari luoghi si esprimono soluzioni
artistiche particolari, tuttavia vi è un motivo comune in quella che è stata
definita "arte romanica". Nell'architettura essa si esprime come
esaltazione di uno spazio accentrato, chiuso, solenne, come preferenza per un
senso di massa nelle costruzioni: una visione dell'architettura fortemente
plastica.
Sostituendo le coperture a capriate o a cassettoni
col sistema delle volte a crociera, sorgeva il problema di riequilibrare il
maggior peso delle volte. Perciò questi problemi di ordine statico portavano ad
accentuare il carattere di pesantezza nell'intera struttura dell'edificio, e
gli davano un aspetto massiccio. Le colonne delle navate vengono sostituite da
robusti pilastri, lo spessore delle pareti non è interrotto che raramente da
finestre, comunque strette, ed inoltre si nota la presenza sui fianchi di
contrafforti, cioè grossi pilastri esterni che hanno il compito di rafforzare
il muro nel punto di incidenza dei costoloni delle volte.
Più tardi l'arte gotica risolverà il problema
delle volte in modo del tutto opposto, poiché avrà una diversa ed opposta
concezione estetica. In essa il peso delle volte verrà concentrato tutto sui
sostegni, alleggerendo la parete e sacrificando ogni senso di massa a favore
dello slancio e della vibrazione della linea.
Vedremo quindi adesso le cattedrali di stile
romanico edificate in Campania: esse, come del
resto quelle di tutta l'Italia Meridionale e della Sicilia, appartengono
dunque al periodo di piena e vigorosa signoria dei re normanni. Eppure il
dominio normanno, anche se unì dal punto di vista politico queste terre, non
eliminò la varietà di vita e di caratteri che la libertà conquistata dalle
città marinare aveva conferito loro. Le città della costa pugliese commerciavano
con l'Oriente, le vele di Amalfi si muovevano per il Mediterraneo ed oltre,
Salerno era ancora una città longobarda.
Mentre la Sicilia esprimeva pienamente la civiltà
araba, l'influenza bizantina era molto forte ancora in vari luoghi d'Italia
Meridionale, e i monaci benedettini tentavano di rianimare l'antica cultura
classica; l'arte si costituì dunque su
una ricca varietà di forme artistiche e scambi di idee, acquistando un
carattere fortemente eclettico.
Nell'Italia Meridionale tutta dunque
l'architettura del XII secolo non ebbe uno svolgimento unitario ma assunse
caratteri diversi, riflettendo l'intricato incrocio di tradizioni culturali;
favorito soprattutto sia dagli scambi commerciali attraverso i porti delle
repubbliche marinare tirreniche (Napoli, Gaeta, Amalfi) e adriatiche, sia dalle
vicende politiche che portarono a combattere su quelle terre bizantini, arabi e
normanni.
Giocano in questa mescolanza di stili: il
territorio ricco di testimonianze dell'età antica, la vicinanza all'Urbe, le
relazioni con l'Oriente che traevano suggestioni e spunti dall'arte bizantina e
da quella musulmana nel loro pieno fiorire, i rapporti commerciali e di scambio
di maestranze con altre regioni d'Italia che portavano influssi lombardi, pisani
e anche di oltr’alpe.
Su questo substrato, a cui si aggiungevano
influenze (anche se abbastanza saltuarie)
pienamente normanne, l'opera degli artisti locali creò un'arte originale
e affascinante.
Molti danno il nome di "normanna" a
questa architettura romanica che, ripetiamo, trovò il suo fulgore nel XII
secolo; ma in effetti i normanni protessero e permisero la piena esplicazione
creativa delle maestranze italiane e straniere, più che donare elementi propri.
Vedremo adesso punto per punto questa varietà di
forme artistiche e questi scambi culturali ricordando che giocoforza occorre
comprendere, tra le manifestazioni della cultura campana medioevale, anche
chiese che nell'epoca odierna apparterrebbero in realtà ai territorio laziale: ale dire quelle comprese nel territorio di Gaeta e Minturno, e la stessa abbazia di Montecassino.
IL SUBSTRATO CLASSICO
La vita municipale, a cui prima si accennava come origine
principale del rinnovamento artistico nei secoli XI e XII, si sviluppò sia in Puglia che in Campania, cioè
in due regioni entrambe ricche e fiorenti. Grazie a questo orgoglio municipale
e alla prosperità derivante dal commercio, in Campania le città episcopali
ricostruirono quasi tutte le loro cattedrali, cercando la grandiosità di
esecuzione e la raffinatezza nelle decorazioni.
Come esempio, pensiamo alle
cattedrali di Capua e di Salerno, ricostruite grazie all'aiuto di principi
normanni (come Roberto il Guiscardo) o di alti
prelati, come l'arcivescovo normanno Hervé.
Gli edifici più antichi innalzati nel XI e nel XII
secolo nelle pianure campane si servivano dei ricchi materiali dell'età
classica abbandonati, ed anche per tale motivo non segnano l'origine di un
nuovo stile architettonico. Sia nelle chiese monastiche che nelle cattedrali,
viene riprodotto fedelmente il tipo della basilica latina con tre absidi e
spesso una cripta, senza tribuna. Spesso la chiesa è preceduta da un nartece o
da un più imponente atrio rettangolare.
Insieme alle opere architettoniche costruite nei
dintorni di Roma, la Campania resta la zona più fedele nei riprodurre
l'atmosfera severa e solenne delle basiliche primitive, a ciò fino alla fine
della dinastia normanna. La sopravvivenza della vecchia architettura cristiana
sembrerebbe strana in una provincia ricca e aperta così largamente, grazie al
fiorente commercio, alle influenze orientali. Ma la causa è probabilmente
materiale, di natura prettamente locale. Infatti l'architettura campana del XI
secolo è arcaica soprattutto per i materiali che utilizza, in gran parte di
spoglio. Non solo venivano utilizzate colonne e capitelli tratti dagli antichi
templi della Campania, ma anche lastroni di marmo e blocchi di pietra provenienti
dagli anfiteatri o dagli archi di trionfo. Non vi è dunque una ostinata scelta
di stile, bensì una condizione di comodità che spingeva le maestranze ad
utilizzare gli estratti di antiche rovine, che gli architetti romani avevano
lasciato in loco.
Così, ad esempio, la cattedrale di Sessa fu
costruita con materiali ricavati dalle rovine della romana Suessola,
ed infatti non solo sono stati utilizzati come materiali vari blocchi
squadrati, ma anche pezzi di statue. Logicamente, utilizzando lucide colonne e
pietre perfettamente tagliate, si perpetuava
la pianta basilicale classica.
Così gli architetti delle chiese benedettine, come
anche quelli della cattedrale di Salerno, di Sessa e di Caserta, utilizzando
questi materiali antichi sembravano continuamente rifarsi al passato.
La tradizione romano-paleocristiana fu poi diffusa
come propagazione culturale e religiosa insieme della chiesa di Roma
contrapposta alle influenze bizantine ad opera dei monasteri benedettini
(Montecassino, S.Vincenzo al Volturno, Capua, Cava
dei Tirreni). Già in epoca costantiniana si erano costruite grandiose basiliche
a cinque navate come quella romana di San Pietro, a Napoli e a S. Maria Capua Vetere,
l'antica Capua; ed altre ne seguirono, con colonnati di tipo classico e mosaici
chi ancora richiamano le basiliche romane del V secolo, anche grazie al ritmo
dato dalle finestre ampie della navata centrale.
L'esempio più incisivo di questo stile si ha con
la basilica di San Benedetto a Montecassino,
ricostruita tra il 1066 e il 1071. I monaci di questa abbazia di
Montecassino hanno influito enormemente, come centro propulsore, sull’arte
della Campania, al punto che si parla comunemente di un linguaggio
“benedettino“. Ed infatti si trovano propaggini operative in tal senso a Sant’Angelo
in Formis, a Caserta Vecchia, a S.Vincenzo
al Volturno, a Sessa Aurunca, a Capua, e poi a Napoli, a Salerno, a Cava dei
Tirreni.
Fu l'abate Desiderio (in seguito divenuto papa col
nome di Vittore III), grande alleato dei normanni, ad edificare la chiesa,
intenzionalmente collegata alle grandiose basiliche romane mediante marmi fatti
venire espressamente da Roma, con un senso di spazialità offerto da tre navate
suddivise da colonne di spoglio (10 colonne per parte) con arcate uguali, e un
alto transetto allineato. Anche il quadriportico esterno e l’arco trionfale
accentuavano i legami con l’architettura romana.
Inoltre l’invenzione di tre portali trilitici in facciata sormontati da una lunetta a
semicerchio, con raffigurazioni classicheggianti molto raffinate, dava un
aspetto misurato e classico e si è perpetuata in numerosi portali della
Campania. L’alto prestigio dei benedettini nel campo ecclesiastico, sociale e
culturale hanno portato a denominare questi loro influssi sotto la voce
“rinascenza classica desideriana” e “cultura
accademica” benedettina. Infatti i Normanni favorirono attivamente i monaci
incrementando l’edilizia conventuale e religiosa in genere, segnata da precisi
orientamenti “di scuola”, e ciò contribuì a dare caratteri comuni e omogenei
all’arte campana del Duecento, anche se con numerose varianti. L’impegno e
l’interesse estremo dell’abate Desiderio nell’edificare la grandiosa basilica
lo portò ad affidare i lavori, durati 5 anni, ad architetti amalfitani e lombardi,
nonché ad artefici greci esperti nell’arte del mosaico e della pavimentazione.
Come ci riferisce Leone Ostiense nel suo “Chronicon”
gli architetti chiamati a Montecassino erano “tam Amalphitani quam Lombardi”.
Vedremo poi gli influssi che avranno questi schemi operativi in cattedrali
campane successive.
Scomparsa la chiesa eretta da Desiderio a
Montecassino, ci sono altre basiliche, che come essa presentano colonnati,
transetto e cripta, a mostrare ritmi e ampiezze prettamente paleocristiane.
Tra queste, un'altra chiesa edificata dall'abate
Desiderio a S. Angelo in Formis presso Capua, con una
classica porta quadrata sormontata da un arco, che ritorna nelle porte della
cattedrale di Capua, di Salerno e di Carinola, e
tante altre ancora: le cattedrali di Sessa Aurunca e di Carinola,
S. Rufo di Capua, S.Lucia
di Gaeta, S.Pietro Ad Montes presso Caserta, il S.Crocifisso
di Salerno e tante altre .
Tra i numerosi influssi: l'atrio della cattedrale
di Salerno e quello della cattedrale di Capua sono identici all'atrio della
basilica di Montecassino; il nartece della cattedrale di S.Agata
dei Goti e quello della cattedrale di Cerinola, hanno
lo stesso piano del nartece delle altre chiese benedettine, e le loro arcate si
poggiano su antiche colonne, come nel nartece di S.Angelo
in Formis.
L'esempio di Desiderio, che utilizzò di proposito
"spolia" romane, ispirò i successivi
edifici religiosi. Per la cattedrale di Salerno, sull'architrave della porta
d'ingresso fu inserito un antico frammento di soffitto e ne fu fatta una
perfetta copia per una seconda architrave. Così nella cattedrale di Sessa
Aurunca e in altre (a Scala, a Ravello, ad Aversa,
ecc.) frammenti romani compongono l'incorniciatura trilitica
dell'ingresso centrale. E ovunque si trovano colonne e capitelli antichi: nella
S.Maria di Foroclaudio,
nella cattedrale di Sessa, in quelle di Caserta Vecchia, di Calvi, di Scala, di
Ravello, di Salerno, nell'Annunziata di Minuto, nelle
chiese conventuali di S.Angelo in Formis,
di S.Pietro ad Montes, di S.Lorenzo di Aversa.
Nella prospettiva culturale e artistica promossa
dall'abate Desiderio assume particolare importanza il complesso conventuale di S.Angelo in Formis, anche per la
distruzione dell'imponente modello cassinense. Questa
cattedrale ha una struttura architettonica che corrisponde alla tradizione
sopra descritta: essa è a tre navate con reimpiego di materiali già in sito
presso il tempio romano antico ed è fiancheggiata da un imponente campanile
simile a quello del duomo di Capua.
E' un edificio basilicale senza transetto, e
questo rivela la relativa antichità, in quanto le navate parallele non
interrotte mancano del simbolismo di croce che è frequente nel tardo romanico.
Le tre navate culminano in tre absidi, e sulle due
file di colonne libere (sette per parte) poggiano otto arcate a tutto sesto.
Davanti alla facciata si trova un portico a cinque fornici acuti sorretti da
grosse colonne di spoglio, e perciò diverse l'una da l'altra. L'arco centrale è
più alto e spazioso degli altri. La cronologia relativa alla chiesa è ancora
incerta, poiché esistono documenti contrastanti; ma probabilmente risale
all'ultimo ventennio dell'XI secolo, tra il 1072 e il
1094. Sembra certo che il portico, e con lui gli affreschi relativi, sia
anteriore e risalga alla fase pienamente "desideriana".
In seguito le volte di copertura furono parzialmente rifatte.
I motivi classicisti della rinascita culturale
figurativa sono presenti anche nel campanile della basilica, anch'esso datato
alla fine dell' XI secolo.
Infatti i motivi decorativi scolpiti lungo il
cornicione che divide il primo dal secondo ordine sono di gusto
classicheggiante (come dentelli, cordulo e ovuli)
combinati con motivi vegetali. Soluzioni simili sono presenti nei portali del
Duomo di Aversa, che risale con sicurezza agli ultimi venti anni dell'XI secolo.
Anche la cattedrale di Teano, eretta nell'ultimo
scorcio dell'XI secolo o all'inizio del XII era una
testimonianza del rinnovamento desideriano, ma è
stata quasi interamente distrutta.
Rimangono invece le tracce dell’antica costruzione
nella Cattedrale di Carinola. Le cronache narrano che
nel 1087 a Carinola fu trasferita la sede episcopale
che in precedenza apparteneva a Foro Claudio e si iniziò la costruzione di una
nuova cattedrale, terminata nel 1094. Anche questo edificio ricalcava lo schema
basilicale ormai diffuso in tante chiese della Campania, da S.Angelo
in Formis a S. Pietro ad Montes,
con tre absidi a oriente e navate suddivise da colonne.
Rimangono le tracce delle absidi, ma il resto della
costruzione è stato distrutto. La chiesa è in gran parte ristrutturata e anche
il portico è di molto posteriore.
Anche per quanto riguarda la chiesa di S.Angelo in Audoaldis, a Capua,
dobbiamo lasciare spazio all'immaginazione e alle cronache del passato, che ci
descrivono un edificio con pianta basilicale a tre navate con tre absidi. Esso
era preceduto da un portico terminante a ridosso del campanile, situato in
corrispondenza della navata destra. Su una grande soglia a massello di marmo
greco poggiava il portale dotato della stessa tipologia caratteristica di
quelli romanici campani: come a S.Angelo in Formis, alla
cattedrale di Carinola, a S.Pietro
ad Montes. Infatti questa chiesa nel 1073 passò sotto
la proprietà dei monaci di S.Angelo in Formis, i quali trasformarono tutta la costruzione secondo
il modello cassinense.
Tra le grandi chiese costruite in Campania sotto
la dominazione normanna una delle meglio conservate, all'esterno come
all'interno, è la cattedrale di Sessa Aurunca. Questa maestosa cattedrale fu
ricostruita agli inizi del secolo XII su un'area già occupata da un'altro
edificio sacro, e molti suoi elementi risalgono all'epoca romana. Dal "Chronicon Suessarum"
apprendiamo che nel 1103 sono iniziati i lavori della cattedrale, a quanto pare
terminati nel 1113, anno in cui l'edificio fu consacrato. Le date appaiono
plausibili per le caratteristiche formali della chiesa. La pianta di questa
basilica, composta e misurata, è suddivisa in tre navate mediante una doppia
fila di colonne, e al vano basilicale si innesta un transetto rettangolare non
sporgente, chiuso ad est da tre absidi.
La muratura perimetrale lungo le navate e la
facciata si compongono di grossi blocchi di marmo squadrati e levigati, materiale
di spoglio proveniente da diversi edifici della Suessa
romana. Nell'area della cattedrale si trovano numerosi altri pezzi di recupero
(i colonnati delle navate e della cripta, gli architravi con maschere tragiche
sul portale maggiore e su quello dell'arcivescovado). E' stato usato il tufo
grigio come quasi sempre negli edifici sacri della zona di Caserta. All'interno
gli archi a tutto sesto, che suggeriscono il ritmo delle campate, poggiano su
alti piedidritti e si raccordano alle colonne
sottostanti mediante capitelli corinzi, anche questi quasi tutti di spoglio. Il
transetto è sopraelevato di alcuni
gradini a causa della sottostante cripta, la quale è simile a quella delle
cattedrali di S.Agata dei Goti, Calvi e Alife.
L'edificio di S.Agata
dei Goti fu costruito alla fine del secolo XI e si suddivideva in tre navate,
divise da due file ognuna di otto colonne; ma attualmente si vedono dei
pilastri. Infatti nel 1700 la chiesa fu largamente modificata ed ampliata. Il
portico originariamente era simile a quello di Sessa Aurunca, e, quasi
sicuramente, risale al secolo XI.
La datazione si ricava dal forzato inserimento
delle colonne abbinate ai lati del portale maggiore. Infatti esse comprimono la
lunetta e il portale, restringendone il respiro. Le somiglianze tra i due
portici comprendono tra l'altro la presenza di colonne massicce, ma il portico
della cattedrale di Sessa Aurunca, meglio conservato, mostra una maggiore chiarezza compositiva e una articolazione più
fluida. Da ciò possiamo ricavare che il portico di S.Agata
dei Goti rappresenta una fase intermedia tra quello di Sessa Aurunca e gli
altri portici della Campania compresi tra l'XI e il
XII secolo. Questi ultimi hanno un impianto più lineare, con un attacco delle
volte indicato o da una mensola semplice (come a Carinola)
o da una semicolonna a mensole (come a
S. Angelo in Formis) o da lesene (ad esempio
Salerno). Anche la planimetria della cripta ricalca quella della
cattedrale di Salerno.
A S.Agata dei Goti
appartiene anche una Abbazia consacrata nel 1110, anch'essa di modello "cassinense" con schema prettamente basilicale.
L'interno è diviso in tre navate con una doppia
fila ciascuna di 5 colonne, con capitelli che sorreggono archi a pieno
centro. L'unica variante è che all'esterno non si nota la soluzione tripartita
del coro.
La cattedrale di Caserta Vecchia, usualmente
datata ai primi anni del secolo XII, si serve come modello della cattedrale di
Sessa Aurunca. Essa fu costruita quando era vescovo Rainulfo,
il primo Vescovo casertano; fu iniziata verso il 1120 e consacrata nel 1153.
Nella parte più antica, il complesso delle navate, appare legata al gusto
tradizionale (divisione interna a tre navate tramite due filari di colonne). La
chiesa non prevedeva il transetto, ma nei primi anni del secolo successivo,
iniziano nuovi lavori chi trasformano l'aspetto dell'edificio. Venne eretto
così il transetto con le absidi e la cupola su un alto tamburo, furono eseguiti
due amboni e il pavimento intorno l'altare maggiore fu rivestito a mosaico. Il
transetto è sporgente in modo da dare alla pianta la forma di croce
latina. L'interno della cattedrale è
pienamente classico, con numerosi motivi paleocristiani, quali navate a tetto,
i colonnati e l'arco trionfale, nonché cassinensi,
come le absidi allineate. Teso a riutilizzare al massimo le colonne ed altri
elementi romani (capitelli, basi, pezzi sparsi), l'interno tende all'essenziale
e ha un gusto sobrio; la tessitura rude delle pietre a vista nelle pareti dona
un senso di rudezza e di vigore. La semplicità e la maestosità vengono
soprattutto dalle due file di colonne monolitiche millenarie, l'una diversa
dall'altra per altezza, diametro e capitello: diciotto in tutto.
La facciata, esposta ad ovest, è ornata da tre
portali, come tipico nel gusto romanico campano, con gli archi rotondi e
l’abaco sui capitelli. Vi sono due finestre (una laterale e una in alto
centrale) e un rosone. Ma l’esterno risente di varie influenze, per cui ne
tratteremo più ampiamente in seguito. Vi sono analogie numerose tra Caserta
Vecchia ed altre chiese campane. Ricordiamo Ravello,
Capua, Amalfi, S.Agata dei Goti e altre ; il tipo di
cordone pensile è quale ritroviamo nei sottarchi del portico di S.Pietro ad Montes, e la
nervatura delle volte del transetto richiama Sessa Aurunca.
Le somiglianze sono estreme tra la cattedrale di
Caserta Vecchia e quella di Sessa Aurunca. E’ probabile che le stesse maestranze abbiano lavorato all’una e
all’altra. Nelle due cattedrali la facciata è aperta nel suo mezzo da una
finestra monumentale, fiancheggiata da colonnette che si appoggiano a dei
leoni; le finestre traforate al di sopra dei portali laterali delle facciate e
quelle delle pareti laterali dell’ edificio sono inquadrate da lastre di marmo
bianco, che provengono da antichi edifici.
Allo stesso modo l’interno di esse appare come
nelle tipiche basiliche romane, in cui le navate (in numero tre) sono separate
da colonne a fusto di marmo prezioso, e la maggior parte di esse sono
sormontate da capitelli di stile corinzio.
Infine, un altro esempio di architettura romanica
ci viene dalla cattedrale di Calvi, uno dei monumenti meno studiati dagli
storici dell’arte medioevale.
Sorta nell’area dell’antica Cales
e dedicata alla Vergine Assunta, la chiesa ha una pianta basilicale, con
transetto allineato alle murature perimetrali e con tre absidi di bella fattura
a conci di tufo squadrati lasciati in vista all’esterno. Come è caratteristico
nell’architettura romanica, sotto il presbiterio troviamo la cripta, anch’essa
rifatta. La cripta è suddivisa in sei navate da cinque coppie di colonne di
spoglio, su cui si alzano volte a crociera con alti piedidritti.
L’epoca di fondazione è incerta. Il Salazaro nella sua opera “Monumenti dell’ Italia
Meridionale” dice che è stata fondata nell’ottavo secolo in sostituzione
dell’antica chiesa paleocristiana di S.Casto. Alcuni
fanno risalire la fabbrica all’epoca del conte Pandolfo
(dopo il 1050) o al tempo anteriore di Atenolfo. Ma i
caratteri tipologici e stilistici dell’edificio suggeriscono una collocazione
storica intorno alla prima metà del XII secolo, sia per la regolarità del suo
parametro murario a conci di medio taglio sia per talune peculiarità della
decorazione .
Nella totale mascheratura della malta e nella
perfetta combinazione dei conci squadrati, si individua lo stesso tipo di
tecnica costruttiva che affiora nelle cattedrali di Sessa Aurunca e di Caserta
Vecchia, consacrate rispettivamente nel 1113 e nel 1153. Anche sul piano della decorazione emergono
precise analogie tra la chiesa di Calvi e queste altre. Ad es. alcuni motivi di
intonazione locale, come il bel cornicione classicheggiante che corre sui muri
della navata mediana e del transetto. In particolare sono molto simili le
cattedrali di Sessa e di Calvi per la medesima tipologia adottata, che dà luogo
a una eguale distribuzione degli spazi all’interno della chiesa e anche nella
cripta. La quale segue lo stesso progetto della cripta del duomo di S.Agata dei Goti.
Anche la
cattedrale di Salerno è dotata di reminescenze antiche. I mosaici, di cui
l’arcivescovo Alfano aveva fatto decorare il timpano inferiore del portale
volevano richiamare Bisanzio ai visitatori di passaggio. Ma l’architettura non
offriva in realtà uno sguardo orientale, bensì classico, con i suoi portici di
colonne preziose. La cattedrale di Ravello e le
rovine delle chiese vicine ci mostrano colonne antiche e capitelli classici, e
ciò vale anche per la cattedrale di Amalfi, che però fu ricostruita totalmente
nel 1204 e non è quindi rimasta per poterla esaminare.
Soltanto alla fine del XII secolo e segnatamente
all’epoca di Federico II, una architettura nuova e piena di pittoresco esotismo
arrivò a illuminare con cupole scintillanti e ornamenti arabescati le città del
golfo di Salerno. E da lì si propagò anche nella pianura campana.
GLI INFLUSSI BIZANTINI
Già nel IV e nel V secolo l'architettura cristiana
in Italia aveva continuato direttamente le ricerche proprie dell'architettura tardoromana, mentre dall'altra parte, nell'Impero
d'Oriente, e in particolare a Bisanzio, si formava la cosiddetta arte
"bizantina", che dalla città prende il nome. Essa unisce la tradizione romana con quella ellenistica e
con spunti provenienti dall'Oriente Mediterraneo. Una massiccia influenza
bizantina in Italia si ebbe soprattutto a Ravenna, capitale per un certo
periodo delle province italiche dell'impero di Bisanzio. L'architettura
ravennate del secolo VIII per alcuni aspetti può essere definita preromanica;
viene introdotto ad esempio l'elemento della cripta, che rialza il presbiterio
interrompendo il ritmo spaziale, e sorgono i campanili.
In realtà la cultura della tarda romanità poteva
già essere definita ecumenica, in quanto abbracciava Oriente e Occidente nelle
diversità delle tendenze. Soprattutto Bisanzio prosegue e perfeziona la
tradizione già pienamente romana del mosaico. Dal IV secolo in poi, e con una
raggiunta perfezione nel VI secolo, le tecniche del
mosaico, già in grande uso nell'epoca dell'Impero Romano per i pavimenti e le
pareti (in quanto resistenti all’umidità e adattissime ad ornare fontane e
vasche) sono predominanti nel campo figurativo.
Così a Costantinopoli si ebbero bellissimi
pavimenti a mosaico, e questa tecnica si diffuse per tutto l’impero, il quale
sotto Giustiniano (per un certo periodo) si unificò, riunendo insieme le zone
d'Oriente e d'Occidente. L'importanza di Costantinopoli fu enorme e la si
ritrova in varie zone d'Italia. La tecnica del mosaico si estese anche ai
soffitti e alle volte e la ammiriamo non solo a Ravenna (Mausoleo di Galla Placidia, Battistero, S.Apollinare
in Classe, S.Apollinare Nuovo, S.Vitale)
ma anche a Roma e a Napoli (Battistero
di S.Giovanni in Fonte, V secolo). Invece la pittura
murale, meno sontuosa e costosa del mosaico, rimase aperta ad influenze
popolari, per cui presenta notevoli disuguaglianze di stile.
Si è detto in precedenza che l’abate Desiderio
aveva stretto una alleanza politica con i Normanni al fine di contrastare il
dominio dei Bizantini e l'estendersi del monachesimo orientale, di tipo basiliano, nell'Italia Meridionale. Tuttavia, nonostante i
propositi, se la struttura esterna della basilica di Montecassino voleva essere
pienamente occidentale, la decorazione interna non poteva non riflettere il
lavoro degli artisti bizantini. Infatti i debiti artistici con Bisanzio, come
dice David C. Douglas, continuarono. Il litostrato
lungo le navate, nonché le pitture e i mosaici, furono eseguiti da artisti
provenienti da Costantinopoli, forse anche perché in quegli anni mancavano a
Roma artisti capaci.
Comunque la civiltà bizantina era fortemente
radicata nel fondamento classicistico della culture campana, e già dal VI secolo elementi bizantini offrivano spunti di
rinnovamento formale nel quadro della tradizione tardo-romana, anche perché
questa correva continuamente il rischio di volgarizzarsi.
Per quanto riguarda le tecniche squisitamente
architettoniche, l'influenza bizantina in Italia si ebbe in massimo grado solo
nella architettura veneta, che seguì le correnti di gusto orientale. Basta
pensare alle somiglianze della basilica di S.Marco
con S.Sofia di Costantinopoli, per la planimetria e
per le forme architettoniche pienamente bizantine. In Campania vi sono
influenze nell'uso della pianta centrale (come nel battistero di Nocera dei Pagani o nella chiesa di S.Sofia
a Benevento o a S.Maria delle cinque torri a Cassino)
o nelle absidi di chiese napoletane antiche (come S.Giorgio
Maggiore o S.Giovanni Maggiore).
Per quanto attiene ai secoli XI e XII notiamo
l'uso di arcate con alti piedritti, come nel chiostro della badìa
di Cava dei Tirreni e vari esempi di scultura architettonica di stile bizantino
(come pulvini, capitelli a stampella, ecc.) nonché l'uso molto diffuso e
ripetuto di volte estradossate nell'architettura costiera, da Salerno sino a
Gaeta.
Altre soluzioni di tipo bizantino sono incerte, o
si confondono con le influenze arabe. Si suppone che nella chiesa di S.Pietro ad Montes, a Caserta, vi
fosse un coro configurato a synthonon, di tipo
bizantino, ma non è certo e comunque si tratta di una soluzione che non si
riscontra altrove in Campania. Anche per le cupole a spicchi sferici della
cattedrale di Caserta Vecchia, che ornano il campanile, si è parlato di reminiscenze
bizantine, mentre altri notano maggiormente derivazioni siciliane di carattere
arabo, o addirittura richiamano modelli classici, quali la cosiddetta “Conocchia” un mausoleo romano eretto presso
S. Maria Capua Vetere sulla via Appia.
E' quindi soprattutto per le arti figurative
(pitture e mosaici) che si possono definire “bizantini” alcuni aspetti
dell'arte campana. Allorché a Montecassino l'abate Desiderio volle erigere
l'imponente basilica dovette servirsi di maestranze bizantine per eseguire il
mosaico pavimentale; ma purtroppo tutto è stato distrutto. Essendo una tecnica
costosa e inoltre di difficile esecuzione, il mosaico è stato riproposto
raramente, ad esempio a S.Agata dei Goti.
In questa cattedrale si è conservato parzialmente
il mosaico pavimentale, e nel lato sinistro si possono ammirare dischi di marmo
e porfidi a tasselli, insieme ad animali
simbolici, intagliati nel marmo. Certamente questo pavimento richiama quello
dell’abbazia benedettina e si riscontrano notevoli somiglianze con il pavimento
della Cattedrale di Caserta, soprattutto per il vivace gioco di colori.
Identiche considerazioni si possono fare per il
pavimento a mosaico dell'abbazia di S.Agata dei Goti,
consacrata nel 1110. A Caserta Vecchia troviamo rivestito a mosaico il
pavimento intorno all’altare maggiore, ed un altro esempio di mosaico si può
indicare nella Cattedrale di Salerno. Nella tecnica degli affreschi il modello cassinense si diffuse rapidamente, e troviamo esempi di
tale influenza nei primi decenni del XI secolo in vari edifici religiosi: la
cattedrale di Capua, il S.Angelo di Audoaldis sempre di Capua, S.Angelo
in Formis, l'abbazia di S.Vincenzo
al Volturno.
Tale modello si propagò a Roma nell'uso dei litostrati e basta ricordare S.Maria
in Cosmedin e S.Clemente.
Proprio a S.Clemente, nel mosaico absidale della
chiesa superiore, nel mosaico pavimentale e negli affreschi della chiesa
inferiore, le influenze dell’arte “desideriana” sono
notevoli. Infatti vi era uno stretto legame tra Montecassino e Roma, come la
stessa elezione dell’abate Desiderio a papa dimostra.
Già nei secoli precedenti troviamo influssi decisi
provenienti dalle pitture bizantine come nella Crocifissione di S.Vincenzo a Volturno del IX secolo, o della S.Sofia di Benevento dell'VIII
secolo, arte “popolare” della provincia bizantina. Sia allora che in seguito,
l'arte bizantina fu modificata adattandola ai gusti e alla situazioni locali:
infatti si doveva adattare agli impianti basilicali latini, a stili diversi, a
scelte iconografiche particolari, a caratterizzazioni fisiognomiche, a temi
quali il Giudizio Universale o la Madonna in Trono Regina, nonché alle fasce
policrome degli sfondi.
Scomparsi da secoli gli affreschi commissionati
dall'abate Desiderio a Montecassino, restano alcune testimonianze simili, quali
i pochi frammenti, molto pregevoli, di S.Maria a Foro
Claudio (rappresentanti la Madonna fra gli Arcangeli), alcuni pezzi sbiaditi di
S.Pietro Ad Montes, e
soprattutto il bellissimo ciclo di S.Angelo in Formis presso Capua
(metà secolo XI). Il ciclo dovette essere iniziato da un pittore bizantino, e
infatti di questo stile sono gli affreschi dell’atrio, e su tutti domina il
bellissimo Arcangelo.
Vi sono poi cicli di affreschi non ancora cronologicamente
sicuri, in quanto per loro si oscilla tra il prima 1071 e il dopo, volendoli
collocare in relazione a S.Angelo in Formis: vale a dire la Grotta dei Santi e la Grotta delle
Formelle a Calvi Vecchia, la grotta di S.Michele a Olevano rappresentante un angelo, e altri.
Gli affreschi che ornano l'interno della chiesa di
S.Angelo in Formis restano,
sia per qualità che per quantità, la testimonianza più pregevole delle tendenze
figurative che gli esperti mosaicisti di Bisanzio importarono a Montecassino.
Possiamo datarli tra il 1072 e il 1087, in quanto l'abate Desiderio è
rappresentato come ancora vivente (con il nimbo rettangolare) sull'abside. Gli
artefici che hanno eseguito gli affreschi erano di grande competenza e valore,
o almeno alcuni tra di loro. Le radici della loro espressione artistica si
trovano nella tradizione bizantina, ma nei temi iconografici ed in certi tratti
stilistici (come le fasce policrome sottese alle varie scene) mostrano
conoscenze occidentali.
Ci è difficile comprendere a pieno tali radici in
quanto la distruzione della decorazione cassinense è
una gravissima perdita. Alcune finestre delle absidi sono state chiuse per
poter utilizzare tutta la superficie interna per la decorazione pittorica.
Nell'Abside vi è un Cristo sul trono che benedice, e intorno i simboli dei
quattro evangelisti. Nella fascia inferiore sono rappresentati tre arcangeli,
l’abate Desiderio in atto di offrire la chiesa sotto forma di modellino a S.Benedetto. Sulle cime degli archi absidali troviamo due
serafini.
Il ciclo degli affreschi si svolge su tre registri
per ciascuna parete della navata centrale, e raffigura scene cristologiche,
sulla parete d'ingresso il Giudizio Universale, e riempie tutti gli interni con
moltissime narrazioni. Anche se alcune figure risultano alterate, l’insieme
degli affreschi è in buona parte intatto, e rivela una maturità stilistica di
esperienze e di linguaggio; moduli fondamentali tardo classici, sui quali
s’innestano apporti bizantini e germanici. Influssi bizantini più marcati si
trovano negli affreschi del portale d'ingresso: la Madonna e un bellissimo,
raffinato Angelo.
Stilemi simili a quelli di S.Angelo
in Formis sono rintracciabili nella chiesa di S.Pietro Ad Montes, presso
Caserta; i pochi lacerti di affresco sono pochissimo osservabili, ma rivelano
una altissima qualità. Probabilmente hanno agito qui gli stessi artisti di S.Angelo in Formis, o loro
discepoli.
Al ciclo di affreschi di S.Angelo
in Formis vengono strettamente collegati anche altri
dipinti murari ritrovati in Terra di Lavoro, quali ad esempio le grotte tufacee
dette “dei Santi” e quelle “delle Formelle”, situate a Calvi Risorta.
Occorre però sottolineare che, negli anni recenti,
entrambe queste grotte sono state distrutte da furti vandalici, dall’incuria e
dalla aggressioni ambientali, per cui occorrerebbe descriverle parlando al
passato. Sono comunque cripte sotterranee scavate nel tufo, a scopo di
preghiera e per il ricovero dei cristiani in tempo di persecuzione.
Nella prima grotta vi fu raffigurata appunto una
teoria di Santi, ognuno con il suo nome, e il Cristo seduto in trono che
benedice, con gli Angeli e i Santi apostoli Pietro e Paolo.
Gli affreschi riportano, con caratteri gotico-longobardi, i nomi dei Santi, nonché dei committenti
longobardi degli affreschi. Come per la pittura di Bisanzio ed orientale in
genere, si usa l’espediente della frontalità, un meccanismo pittorico e
psicologico che rende rigido l’atteggiamento delle figure rappresentate
frontalmente. Cristo e Maria hanno l’atteggiamento e gli abiti di una coppia
regale in trono, freddi e distanti, mentre nella loro direzione si snoda un
lungo corteo di santi e di martiri, che evidentemente prende ispirazione da
quello che doveva essere il seguito degli imperatori di Bisanzio. L’influenza
dell’Impero d’Oriente traspare anche dai costumi che indossano i santi
raffigurati, consistente generalmente
nella dalmatica e nel mantello.
Tutto è contenuto in forti contorni e in colori
chiari e definiti da passaggi bruschi, senza gradazioni di sorta.
La grotta delle Formelle, molto vicina a questa, è
stata allo stesso modo menomata e deturpata da furti vandalici. Allorché A.Carotti nel 1974 effettuò il suo studio su questi
affreschi, li descrisse minutamente distinguendo una Madonna Regina in trono
con il Bambino e il Banchetto di Erode con la Decapitazione del Battista sulla
parete sinistra.
Nella parete di fondo in alto vi era raffigurata
l’Ascensione, che alla studiosa apparve risalire alla fine dell’XI secolo o agli inizi del XII. Nella cappella di destra
invece spiccavano per qualità due pannelli con la Natività e la scena votiva,
rivelando stretti rapporti con S. Angelo in Formis e
qualità tali da
risultare successivi alle pitture
(più arcaiche) del fondo.
Appaiono molto meglio conservati gli affreschi di S.Maria della Stella, a Riardo, e vi si avverte un
tentativo di maggiore compiutezza stilistica, pur con evidenti stilemi
bizantini, (figure piatte, irreali e inespressive). Le pitture sono della
stessa epoca di quelle dipinte nella basilica di S.Angelo
in Formis e a Calvi, attribuibili a una scuola locale
che si atteneva ai modelli e all'iconografia dell'arte bizantina, sotto la
protezione dei monaci Benedettini. Forse gli stessi artisti affrescarono la terza
e la quarta serie della grotta dei Santi di Calvi, la cappella della Stella di
Riardo, le grotte d Rongolise, presso Sessa; l'abside
della chiesa di S.Maria della Piana di Sessa, oggi
distrutta, e anche la basilica di S.Angelo in Formis.
Negli affreschi di Riardo la Madonna è un motivo
centrale, fiancheggiato da figure
rappresentanti gli Apostoli; vi è poi la figura del Cristo in trono e alcuni
Santi .
Le sagome delle figure sono racchiuse in pannelli
e conservate non più nella grotta originaria, bensì lungo la parete di fondo di
una chiesa di Riardo.
Altri affreschi parzialmente leggibili sono quelli
della grotta di S.Michele a Faicchio
(registro della Crocifissione, quello della Madonna in trono col Bambino tra
cinque apostoli, Cristo tra un Santo e un angelo, ecc.).
Anche qui vi è una chiara estrazione locale; le
nobili ascendenze bizantine si sono innestate su modi espressivi
popolareggianti. Anch'essa dedicata a S.Michele è la
grotta a Olevano sul Tusciano,
di cui è discussa la datazione (varia dal X al XII secolo). Comunque la
determinazione cronologica è incerta anche per le opere elencate in precedenza,
e ciò vale ugualmente per gli affreschi di S.Maria in
grotta, a Rongolise. Qui la Madonna è nominata come
“Madre di Dio” in lettere greche, altro segno d derivazione da un mondo
bizantino che faceva sentire i suoi influssi.
LE SUGGESTIONI DELL'ARTE ISLAMICA
Sulle forme sostanzialmente paleocristiane delle
cattedrali romaniche in Campania, si innestano elementi derivati
dall'architettura araba; e questo stile musulmano si ritrova ovunque; ad
esempio negli archi acuti intrecciati che si vedono nei Duomo di Caserta
Vecchia o nel Chiostro del Paradiso della Cattedrale di Amalfi. E l'arco acuto
arabo non assume, come avverrà poi per l'arte gotica, un valore di struttura
dinamica, portante dell'edificio, ma uno scopo prettamente decorativo; nel
chiostro suddetto gli archi acuti tre volte intrecciati, innestati su colonnine
abbinate, sono una costruzione fantasiosa ed esotica. Altri elementi arabi sono
gli intarsi marmorei, e in generale importanti aspetti decorativi.
Si è parlato di arte siculo-campana,
per gli influssi numerosi e costanti tra le due regioni. In effetti la Sicilia
ha in questo periodo una meravigliosa architettura, in cui confluiscono
complesse tradizioni: il gusto paleocristiano si mescola ad esperienze
culturali bizantine e arabe, mentre dal Romanico Francese o dell'architettura
normanna dell'Inghilterra, comunque dal Nord Europa, si susseguono ulteriori
innovazioni.
Nel Duomo di Cefalù, ad esempio, vi sono elementi
decorativi arabi (gli archetti intrecciati), ma emerge soprattutto il senso
plastico della massa e la forza data dai robusti contrafforti; e in esso le
torri gemelle sono un motivo apportato dai Normanni.
La dinastia normanna seguiva il lungo dominio
musulmano, ma i nuovi conquistatori mantennero le maestranze siciliane senza
apportare artigiani nuovi dal Nord Europa. Perciò tutte le tradizioni
consolidatesi nella età araba furono mantenute, sia nella decorazione che
nell'impianto murario (cupole emisferiche su pennacchi a nicchie, archi acuti,
cortine senza risalti).
Ancora sul termine dell'epoca normanna Palermo aveva
una architettura simile a quella di Cordova. Questa arte era estremamente
eclettica, con una vera fusione di stili; dalla cultura bizantina accolse
schemi quadrangolari con volte e cupole su sostegni mediani, dal romanico
tipico strutture basilicali con transetto alto, rette da colonnati o pilastri,
a volte con cupola davanti alle profonde absidi, secondo l'uso bizantino.
Completavano il tutto procedimenti murari musulmani, e tale stile era dominante
nella decorazione di pavimenti, di soffitti dipinti, di incrostazioni
marmoree. Negli interni, mosaici
bizantini coprivano le pareti.
La scuola siciliana si propagò facilmente sulla
Costa della Campania, e i suoi influssi furono profondi e duraturi. Infatti la
componente musulmana della architettura medioevale campana non fu imposta da
invasori saraceni, ma diffusa dalle città marittime, in primo luogo Amalfi, che
già dal secolo VIII era repubblica marinara, in contatto costante con tutti i
centri dell’Oriente mediterraneo attraverso gli scambi commerciali.
Sulla costa di Amalfi alcuni elementi musulmani
non solo furono accettati, ma ebbero nuovo sviluppo. In particolare gli archi
intrecciati e le volte di profilo acuto. Nel cortile della casa Rufolo di Ravello troviamo questi
archi ciechi intrecciati, e il loro uso si rafforzò nel Chiostro di S.Domenico a Salerno e soprattutto nel chiostro dei
cappuccini di Amalfi. Qui l'architettura viene subordinata agli effetti
decorativi, con effetti fantastici di tipo orientale (anzi leggermente gotico)
i quali si possono paragonare soltanto all'architettura veneziana del 1300. Se
i decoratori siciliani avevano inventato le arcate cieche intrecciate, gli
artisti che nel 1200 innalzarono edifici
religiosi e profani ad Amalfi, a Ravello e a Salerno
conferirono a questo motivo una ricchezza e una leggerezza nuove.
Questi princìpi
decorativi dell'architettura siculo-araba furono
adoperati come elementi costruttivi e, traforati, diedero una fantastica
leggerezza alle opere murarie, allontanandole dalla solidità architettonica.
Anche nell'atrio della primitiva cattedrale di
Amalfi, laterale a quella conosciuta oggi, compare l'arco arabeggiante di
origine musulmana, e tale motivo compare nei campanili di Amalfi e di Ravello.
E ancora altri motivi: a Ravello
troviamo cupole emisferiche, volte a crociera e a botte di impronta araba che
coprono le basiliche, con absidi altissime e caratteristici capitelli ornati; a
Maria a Grodillo volte a botte e a vela su basilica a
colonnati con archi tondi a pieddritto alto, e vi era
anche la cupola; ugualmente volte e cupoletta nella medesima cattedrale, anche
se la copertura del transetto nasconde all'esterno la cupola; e lo stesso
motivo, su alto tamburo cilindrico, con atrio a volte, lo troviamo nella
Annunziata “piccola”. Le volte a crociera; spesso con una caratterista
incisione al loro vertice sono un motivo diffuso, anche nelle cripte: come la
cripta del duomo di Scala e quella di S.Giovanni del
Toro a Ravello. Questa architettura traforata è anche
policroma, con un gusto spiccato per le incrostazioni di maiolica e di pietre
colorate.
Ricordiamo che, secondo il "Chronicon" di Leone Ostiense, gli artefici chiamati
dall'abate Desiderio a Montecassino per edificare la cattedrale erano "tam Amalphitani quam Lombardi". Infatti Desiderio si era recato nella
città di Amalfi per acquistare tessuti ed era stato preso da ammirazione per
l'arte della repubblica marinara. Cercò di riprodurre tale cultura arricchendo
la sua abbazia con una porta di bronzo bizantina e appunto chiamò gli architetti
amalfitani a collaborare con quelli provenienti dal nord per edificare la nuova
abbazia di Montecassino.
Gli artefici di Amalfi riprodussero nella basilica
alcune caratteristiche stilistiche già affermatesi a Amalfi o nei dintorni
(chiesa di S.Maria Maggiore, chiesa del Crocefisso,
chiesa di S.Andrea) con grande successo; ad esempio
nella chiesa di S.Maria Maggiore nei piedidritti dell'abside sono incassate due colonne, e nella
chiesa del Crocefisso lungo le pareti della navata si susseguono eleganti bifore
ad arco acuto. L'uso delle colonne agli angoli delle absidi è un carattere
prettamente islamico, coni dimostrano tanti edifici musulmani.
Anche le colonne inserite sugli spigoli di base di
alcuni campanili romanici della
Campania, quali i campanili della Pietrasanta a Napoli, di Salerno, di Aversa,
di Capua, di Amalfi, richiamano minareti e torri dell'Islam. Addirittura lo
storico Amato riporta che, tra gli artisti impegnati nell'edificare la nuova
abbazia a Montecassino, vi erano proprio dei maestri saraceni di Alessandria.
Anche un ponte di via Arce a Salerno pare essere
opera di artefici arabi, ed esso dimostra la radice musulmana dell'arco acuto
tanto diffuso in Campania.
Da Montecassino questi moduli stilistici si
diffusero diventando comuni nella architettura romanica campana. Ricordiamo il portico ad archi acuti della
chiesa di S.Angelo in Formis,
gli archi della cupola di S.Giuseppe di Gaeta, e nel
portico di S.Pietro di Minturno,
gli archi negli atri delle cattedrali di Capua e di Salerno, le volte a
crociera della navata destra nel duomo di Gaeta.
Pare sicuro che l'abate Desiderio abbia fatto
edificare il nartece della basilica di Montecassino proprio usando volte a
crociera, ed infatti l'espressione latina “fornices spiculi” usata da Leone Ostiense richiama le volte a
spigoli vivi dell'architettura araba.
Certamente è nella cattedrale di Caserta Vecchia
che gli apporti arabi (probabilmente tardivi rispetto all'edificazione della
cattedrale) sono pienamente evidenti. Ad esempio nelle finestre a forma di ferro
di cavallo del transetto e negli archi intrecciati di stretta derivazione
siciliana, appartenenti all'apparato decorativo della copertura della cupola.
La decorazione con l'intreccio degli archi acuti è
presente al timpano, al tiburio e al Campanile, e inoltre il tiburio è decorato
al secondo piano da due fasce di scacchiera. Questi caratteri di derivazione
siciliana, quali appunto il transetto, la cupola, il frontespizio della
facciata con archetti intrecciati appartengono a un periodo successivo della
costruzione, mentre risalgono all'inizio del Duecento altri motivi, vale a dire
gli archi intrecciati e le tarsie policrome.
In questa cattedrale le forme siculo-arabe
si innestano compiutamente con i caratteri classici e con quelli di derivazione
nordica, e possiamo notare come il colonnato classico termini con un arco
acuto rinforzato da un costolone pensile
così come negli archetti dei chiostro di Monreale, in Sicilia. Le volti a
costoloni del transetto, coronate dai riquadri marmorei delle finestre,
esprimono un gusto arabo. La forma
interna, a carattere ondulato, della cupola si ispira a strutture islamiche,
mentre, all’ esterno, porta un tocco di finezza cromatica nei contrasti tra il
grigio tufo e i marmi, nelle incrostature colorate. La decorazione policroma si
accompagna agli archi incrociati come si ritrova anche in Sicilia alla
fine del secolo XII.
Il tiburio a Caserta si presenta in forma
ottagonale a due piani, decorato dall'intreccio degli archi sostenuti da 84
colonnine di marmo. Il primo piano è decorato anche da 4 finestre e da 4 rose
che si alternano l'uno con l'altra, mentre il secondo ha una doppia fila di
scacchiera. Nella parte convessa dell'intreccio degli archi al primo piano vi è
una margherita o una stella mosaicata; ugualmente, nella parte convessa
dell'intreccio degli archi ai secondo piano, e solo al centro del lato, vi è un
disco di marmo mosaicato. La policromia è data dal tufo grigio di fondo e dal
tufo giallo che forma la parte interna dei disegni.
Il campanile del Duomo di Caserta Vecchia è
posteriore di 81 anni alla cattedrale e fu costruito nel 1234. E' sostenuto da
un arco a sesto acuto poggiante su due piedi a pianta quadrata e ha cinque
piani, tre dei quali decorati da una bifora per ogni lato. Il quinto piano è
ottagonale con torrette circolari sovrastanti gli spigoli del quadrato del
piano sottostante, e sull'ottagono originariamente si elevava una piramide in
seguito distrutta da un fulmine. Il grande fornice a sesto acuto che
contrassegna il primo ordine del Campanile e attraverso il quale si innesta la
strada principale del borgo, richiama altri esempi meridionali, quali
Terracina, Gaeta, Trani, Palermo. Inoltre le arcate intrecciate (nel secondo e
nel quinto ordine), e la struttura a torrette angolari della cella campanaria,
che da una base quadrata assume la forma di un ottagono, manifestano caratteri
simili ai campanili costieri della Campania e del Lazio. Infatti, come a
Caserta Vecchia, troviamo lo stesso stile compositivo nell'ultimo ordine sia ad
Amalfi che a Gaeta.
Il Bertaux suggerisce a
questo proposito derivazioni siciliane, quali la chiesa di S.Maria
dell'Ammiraglio (o Martorana), a Palermo. Abbiamo
detto in precedenza che i campanili delle cattedrali di Capua e di Salerno
ripropongono anch'essi lo stile musulmano, nelle colonne angolari dei primo
ordine, negli spartimenti e nelle bifore. Impostato
sulle suggestioni islamiche è poi il campanile della cattedrale di Salerno, la
quale fu iniziata nel 1080 e consacrata alcuni anni dopo. La cella campanaria
possiede un tamburo anulare su vano quadrato e una cupoletta. Qui intorno si
sussegue un motivo ad archi intrecciati, con tufo e mattoni alternati, sorretti
da colonnine di marmo e conclusi da una fascia a tarsie colorate (mediante tufo
bigio, giallo e travertino) con stelle a sei punte. Il gusto compositivo è il
medesimo degli altri edifici della costiera amalfitana, come le cupole e i
campanili delle chiese di Ravello (S.Maria a Gradillo, Annunziata, S.Giovanni del Toro) e anche di molte chiese intorno Sessa
Aurunca (come la cupola di S.Giovanni a mare a
Gaeta).
Il campanile del duomo di Amalfi, risalente al
1180, ricorda per la presenza di colonne angolari, le costruzioni di
ispirazione cassinense, quali Aversa, Salerno, Capua
e Nola. Soprattutto si avvicina alla soluzione compositiva di Salerno per la
cella cilindrica, e le sue grandi bifore svolgono in linea più nobile i
precedenti campanili di S.Angelo in Formis e delle cattedrali di Capua e di Salerno.
Negli ordini inferiori il campanile di Amalfi è
inoltre simile a quello del duomo di Ravello; ma da
questi altri quello di Amalfi si distacca per la struttura della terminazione
finale, caratterizzata da un nucleo centrale rotondo su un vano quadrato e
torrette angolari.
In ciò richiama le soluzioni compositive di
Salerno, e di Caserta, che arricchiscono di torrette laterali il nucleo
centrale dell'edificio. Allo stesso modo nell'architettura siciliana è
ricorrente l'alto tamburo con le torricelle. Amalfi
sembra quindi assorbire con elevato sincretismo vari suggerimenti presenti
nella cultura regionale campana.
L'incidenza della cultura araba nell'arte campana
è allo stesso modo notevole nelle decorazioni, soprattutto nel campo delle
figurazioni geometriche e quelle rappresentanti animali misti a fogliame.
Soprattutto verso la fine del secolo XI si ritrovano soluzioni decorative che si
rifanno agli artisti saraceni, certamente presenti anche nella Montecassino
dell'abate Desiderio, e a opere di suggestione islamica come il trono di Canosa, in Puglia.
Ad Amalfi e Salerno si istallarono botteghe di
intagliatori d'avorio secondo il gusto musulmane e tale stile si diffuse anche
in terra di Lavoro. Ad esempio, nella cattedrale di Carinola,
l'archivolto del portale d'accesso alla cattedrale presenta una affinità
elevatissima con la cattedrale di Salerno, per composizione di piante e di
animali, per la specifica scelta degli animali feroci rappresentati e per lo
stile.
Tuttavia a Carinola è
presente un gusto più accentuato di grafismo ornamentale
nella criniera stilizzata dei leoni. Inoltre notevoli rilievi ornano il portale
occidentale; i capitelli sono ornati da teste di leoni e un elefante è presente
sull'arco del portale.
Anche nella Cattedrale di S.Pietro
a Sessa Aurunca, il pulpito riprende fortemente il modello di Salerno nella
decorazione delle figure. Esso è di forma rettangolare con in basso un fregio
vegetale continuo, con animali frammisti; poggia su sei arcate che vanno poi su
altrettante colonne sorrette di leoncini.
Purtroppo nel tempo è stato totalmente
rimaneggiato, forse addirittura composto con parti di due pulpiti. La facciata
di Sessa ha in alto una grande finestra centrale, incorniciata da un fregio
vegetale con animali; e simili motivi vegetali e animali su rilievi e
archivolti decorano i portali.
La cattedrale di Teano, anch'essa eretta alla fine
dell'XI secolo o all'inizio del XII, sulla scia del
rinnovamento cassinense promosso da Desiderio,
contiene un pregevole ambone che presenta somiglianze con l'esempio salernitano
e con il pulpito di Sessa Aurunca. Il basamento poggia su quattro leoncini
accucciati, i quali reggono colonne con capitelli a forma di foglia. Sui
pennacchi dei due lati si stagliano ad altorilievo due coppie di profeti, su
uno sfondo di marmi intarsiati policromi. Il pulpito è stato rimaneggiato e
alcune porti di esso (ad esempio i leoncini anteriori) sono di età più tarda.
Monumenti molto suggestivi sono inoltre quelli conservati nella cattedrale di
Calvi Vecchia: la sedia episcopale e il pulpito. La prima è sorretta da due
animali selvatici detti tapiri, in cui forse si volevano raffigurare elefanti,
ed essi hanno sicuri agganci stilistici con gli elefanti presenti sul portale
centrale di Carinola, nonché con decorazioni del
duomo di Canosa. La sedia è composta di braccioli
squadrati e di un dorsale marmoreo, a cuspide. Il Salazaro
la descrive come monumento nobile e grandioso, mentre il Cerbone
ne parla come “fatta di finissime pietre, di ottima scultura e di molta
bellezza”. In un periodo successivo furono aggiunti i leoncini, che richiamano strettissimamente quelli di Caserta Vecchia, tanto che
appare probabile supporre medesimi artefici. A Caserta Vecchia infatti due
leoni (di cui uno attualmente trafugato), a destra e a sinistra dell’entrata
facevano da base a pile d’acqua lustrale; essi erano parte degli antichi
amboni, insieme ad una pecora che sostiene oggi il candelabro della Madonna.
Il pulpito di Calvi, nonostante sia più piccolo,
ha molte somiglianze con quello del duomo di Salerno; esso poggia su due
colonne, sorrette da leoni stilofori. Anch’esso è opera di fattura pregevole,
decorato da operai e da maestranze esperte dei motivi ornamentali provenienti
dai paesi musulmani, e dall’Oriente in genere. La facciata è fortemente colorata
mediante tarsie policrome, e la decorazione è geometrica, componendo eleganti
motivi con nastri che si snodano e si intrecciano armoniosamente, mentre nella
parte inferiore sono rappresentati uccelli di colori naturali. Gli intarsi
marmorei, con il dominante contrasto di rosso e di verde, producono una
notevole vivacità cromatica. Sotto questo riquadro è presente una tavoletta
scolpita che raffigura dei baccanti, con
un intreccio di tralci di vite ricamati che formano otto spirali, e nel mezzo
si nota una figura umana.
Anche a Caserta Vecchia il pulpito, ricavato da
pezzi degli antichi amboni, è decorato da un bellissimo mosaico, ove predomina
la stella a 4, 6 e 8 punte. Quest’arte che si può definire siculo-campana
predomina quindi nelle decorazioni campane in tutto il XII secolo ed anche nel
seguente, con numerosissime opere. Oltre quelle già ricordate, si possono
menzionare i mosaici a decorazione geometrica nella Cattedrale di Sessa, i
mosaici a figura umana di stile siciliano nella Cattedrale di Salerno che si
rapportano alla decorazione delle Chiese Palatine di Sicilia, i marmieri in opera a Gaeta, a Terracina e sul litorale
basso-laziale in genere, candelabri ornati di mosaici e di rilievi, e altri
esempi di amboni e di troni vescovili.
Il RAFFORZAMENTO
PLASTICO LOMBARDO E L’ARTE NORMANNA COME
FUSIONE DI STILI
L’arte romanica della Campania lungo il corso del
secolo XII non solo si innesta su un substrato classico e trae suggestioni notevoli
dall’Oriente, attraverso la mediazione bizantina e quella araba, ma subisce
anche infiltrazioni dalle culture nordiche. Malgrado ciò che si può pensare, le
influenze longobarde sono estremamente lievi, poiché questo popolo non seppe
apportare nell’Italia Meridionale una propria cultura, al contrario di quanto
era avvenuto nel Nord dell’Italia. Forse perché le regioni del Mezzogiorno
erano troppo imbevute di stilemi classicisti e bizantini. Nel campo della
scultura e della oreficeria soltanto le città di Capua e di Benevento godettero
di una abbondante produzione.
Nel campo architettonico in senso stretto,
ascendenze longobarde si notano spesso nelle torri di difesa, come la torre di Pandolfo I al Garigliano, presso Minturno
(attualmente distrutta) e nei campanili a partire dal secolo XI in poi. Tale
gusto consiste in un vivace contrasto cromatico, anche nella utilizzazione di
diversi materiali. In genere il basamento è in travertino bianco, mentre la
zona superiore è in tufo grigio o in mattoni; e questo carattere si ritrova
nella antica torre di Capua, nella torre cilindrica di Caserta Vecchia, nelle
torri sempre di Capua erette al tempo di Federico, e poi nei campanili di S.Angelo in Formis, di Capua, di Telese, di Salerno.
Il campanile della basilica di S.Angelo
in Formis è caratterizzato dal contrasto cromatico
vivace tra la zona inferiore in travertino (chiara e luminosa) e la parte
superiore in cotto (di un rosso vivace). Tale preferenza stilistica è di pieno
gusto longobardo, e riguarda sempre la bicromia degli ordini; la ritroviamo
infatti identica, solo sostituendo il locale tufo grigio al cotto di S.Angelo in Formis, nei campanili
di Capua e di Salerno, e anche nelle torri federiciane di Capua e di Caserta
Vecchia. Anche la torre campanaria di Telese, eretta
nel pieno XII secolo, è del tutto somigliante ai campanili qui citati sia per
la muratura listata che per il gusto coloristico con cui sono adoperati il
cotto, il tufo e il travertino.
Sono invece più evidenti gli schemi operativi del
gusto romanico lombardo, ed infatti ricordiamo che gli architetti chiamati ad
erigere la basilica di Montecassino erano “tam Amalphitani quam Lombardi”.
L’architettura lombarda presentava caratteri
eminentemente plastici tesi a sottolineare l’effetto grandioso delle masse,
nonché il senso massiccio della costruzione e la funzionalità statica di tutti
gli elementi costruttivi. Lo spazio è contenuto entro proporzioni serrate,
tendenti a un ritmo orizzontale, il quale si oppone allo slancio delle volte.
Tale concezione plastico-spaziale si presenta
anche all’esterno, in quanto le pesanti mura sono animate in senso plastico dai
contrafforti che raccolgono la spinta trasversale delle volte.
In Campania il gusto architettonico lombardo si
presenta con arcature che ornano le mura e corrono al
di sopra del tetto, da profili di pilastri o di mezze colonnette addossate, che
giocano lo stesso ruolo decorativo delle “strisce lombarde” negli edifici
dell’Italia del Nord.
Un elegante esempio di questa decorazione architettonica
è dato dalla Cattedrale di Calvi Vecchia. Ivi sono presenti influenze lombarde
nella zona absidale, a somiglianza di quelle quasi identiche di Sessa
Aurunca e di S.Maria
di Foro Claudio (odierna Ventaroli). Alcuni studiosi
hanno trovato stilemi caratteristici del gusto lombardo nella divisione delle
basiliche campane, per lo più a tre absidi. Infatti solitamente le chiese di
Roma terminavano ad est con una sola abside, mentre la chiesa eretta dall’abate
Desiderio, e con essa le successive, ne hanno tre, ed esempi di ciò si trovano
in Lombardia (a S.Ambrogio, a S.Vincenzo
in Prato a Milano, all’abbazia di Pomposa, ecc).
L’origine franco-longobarda di tale soluzione
coincideva inoltre con la struttura di antiche costruzioni della Campania, anteriori
a Desiderio, quali le chiese cassinensi del Salvatore
e quella eretta dall’abate Ginulfo, edifici capuani dei secoli precedenti come la cripta di S.Michele in corte a Capua, S.Maria
delle cinque torri a Cassino, e altre.
Ma soprattutto ad essere diffusi sono gli elementi
decorativi lombardi, i quali si trovano comunemente nelle cattedrali (e negli
edifici romanici in genere) di Terra di Lavoro: vale a dire lesene, mensole,
archetti ciechi, archi intrecciati, tarsie. Gli schemi più propriamente architettonici
si rifanno ad influenze lombarde e forse anche anglo-normanne o borgognone.
Essi consistono nella comparsa del transetto alto,
sporgente rispetto alle navate, all’uso dei costoloni per reggere il peso delle
volte e un tipo di coro a deambulatorio con cappelle radiali. Tale transetto
deriva da modelli comuni in monasteri del Nord Europa, rivisti parzialmente e
modificati dall’architettura lombarda.
Esso sporge dal perimetro delle navate, più o meno
ampiamente, nelle chiese di Aversa, Caserta Vecchia, Salerno, Ravello e altre; tende ad innalzarsi sopra la copertura di
esse a Sessa Aurunca, a Calvi, ad Amalfi, a Salerno, a Scala, e probabilmente
ciò avveniva anche nella abbazia distrutta di Montecassino.
Ricordando più da vicino questi edifici, vediamo
la cattedrale di Sessa Aurunca. La facciata ha in alto una grande finestra
centrale, incorniciata da un fregio vegetale con animali. E’ contornata da una
edicola triangolare, sorretta da leoni stilofori e decorata con vari animali.
Questo gusto è di derivazione lombarda, propriamente comasca, e lo troviamo
diffuso in varie zone della Campania, nonché in Puglia. Simili motivi vegetali
ed animali su rilievi ed archivolti decorano i portali.
Anche a Calvi Vecchia ritroviamo molti elementi
decorativi di origine lombarda che danno uno stile omogeneo a molte chiese
della Campania: arcatelle su mensolette, lesene,
colonnine esterne. Un archivolto fu aggiunto successivamente al portale; esso
ha un taglio a sesto ribassato, a causa della perdita di uno dei setti della
circonferenza.
Si è rimediato a questo modificando leggermente
l’inclinazione delle mensole. L’archivolto è stato decorato con motivi di fiere
composte specularmente, e tra di essi si inseriscono una figura di centauro e
figure nude. La mensola di destra mostra un leone che divora un uccello;
l’altra di sinistra rappresenta S.Michele mentre
trafigge il dragone-demonio.
Tale archivolto è abbastanza unico nel suo genere,
e richiama soltanto quello contenuto nel duomo di Alife,
datato al 1136. Infatti cerca di sviluppare il tradizionale fregio vegetale
(semplice o abitato) e tenta, anche se non a livelli eccelsi, un tipo di
decorazione con diversi temi figurali. Il gusto è schiettamente romanico, anche
se i motivi prettamente ornamentali ancora prevalgono; e si richiama fortemente
alla tradizione lombarda e anche alle decorazioni pugliesi.
L’arco del portale è scolpito per tutta la sua
lunghezza con animali ed altre figure
che avevano un preciso significato nell’ambito dello stile romanico. A
sinistra, sempre sulla facciata, vi era il frontale di un sarcofago longobardo,
risalente all’ VIII secolo, che vuole richiamare gli antichi sarcofagi romani,
ma denunzia il prototipo longobardo nello stile del rilievo e anche negli
inserti laterali a banda. Nella parte centrale
del rilievo un principe longobardo è inserito in un medaglione circolare
ed è sostenuto da quattro sirene.
La facciata della Cattedrale di Caserta Vecchia è
anch’essa decorata con numerosi rilievi e figure di animali. L’influsso dello
stile lombardo si rileva appunto dagli animali in facciata, dalla cupola
poliedrica, dalle loggette finte in facciata e nei bracci della crociera, da
lesene e pilastri su cui poggiano le volte del transetto con cordoni sporgenti, e lo si trova anche
nei leoni ricorrenti nei pulpiti. Facciate animate di tipo simile, come abbiamo
già detto, si ritrovano anche in Puglia, e probabilmente è stato il comune
dominio normanno ad unificare gli stili delle due regioni, mediando
caratteristiche di gusto nordico.
La facciata ha tre portali, due finestre (una
laterale e l’altra centrale ) ed un rosone. Sugli architravi dei portali
poggiano le lunette cieche con doppia cornice di marmo, di cui la seconda è
scolpita in foglie di acanto d è sorretta da figure mitologiche, di centauri e
di grifi.
Nel portale centrale la cornice superiore,
meravigliosamente traforata, è sostenuta dalle figure di due leoni a grandezza
naturale, di cui uno è raffigurato mentre atterra un uomo; ed è sormontata da
un toro. Sempre al centro, in alto, non
vi è il rosone tipico del romanico bensì una monofora, con cornice scolpita e
poggiante su due colonnine sorrette da leoni.
Sulla base degli stipiti del portale centrale vi
sono una tartaruga marina, a sinistra, e un mollusco a destra. Entrambi sono
aggrappati ad uno scoglio, ed è un’altra figura simbolica tipica del romanico.
Il timpano, sostenuto da archetti che girano tutto intorno all’esterno della
navata centrale con mensolette di marmo, è decorato
dall’intreccio di archi romanici poggianti su 6 colonnine di marmo con
capitelli corinzi.
Lo stesso motivo ornamentale si ripete in tutto
l’edificio: al tiburio, sulle facciate dei bracci del transetto, sul campanile.
Il susseguirsi di archi intrecciati sulla facciata e sul tiburio appare a molti
studiosi come un motivo caratteristico dell’ architettura normanna. In effetti
esiste un comune e complesso substrato, definito come arabo- normanno, ove le
maestranze locali, conservando il ricordo delle loro tecniche tradizionali,
riconducono in una sintesi unitaria i vari accenti stilistici e le varianti
compositive con cui vengono a contatto .
In Campania dunque tra il 1100 e il 1300 ci si
presenta una cultura eclettica avanzata, la quale riesce ad intrecciare con
facilità e con pregevoli risultati gli elementi locali con quelli provenienti
dai paesi stranieri. A questo punto risulta terribilmente difficile, attraverso
questa complessa tessitura, estrapolare i singoli influssi culturali e i precisi
referenti del gusto.
Pare accertato che, grazie all’ arrivo dei
Normanni, si diffusero ad esempio gli archetti intrecciati ciechi, murati tra
le pareti, un elemento tipico dell’Inghilterra e della Francia del Nord. Più
tardi il gusto gotico renderà traforati tali archetti, soluzione anticipata (in
transenne traforate e simili a ricami entro archi profilati a sesto acuto)
dalle maestranze campane, ad esempio nel portico del duomo di Amalfi, e in vari
chiostri di Salerno e di Sorrento .
Tale soluzione è probabile che sia stata
introdotta dagli artefici arabi, anche perché questi archi intrecciati si
accompagnano a tarsie geometriche coloratissime. D’altra parte è un motivo di
matrice siciliana-araba. Comunque entrambe le regioni (Campania e Sicilia) hanno
accolto ed elaborato gli stessi influssi, con il medesimo substrato culturale
classico e attraverso la simile dominazione prima araba, poi normanna.
Furono anche i monasteri benedettini ad unire con
temi decorativi simili territori lontani, attraverso i monaci dell’abbazia di
Cava dei Tirreni, ad esempio, che si trasferirono a Monreale, in Sicilia.
Sussistono infatti somiglianze impressionanti tra i motivi decorativi presenti
nel campanile della Cattedrale di Amalfi e quelli di Monreale, sulla facciata e
sulle absidi, con archi a sesto acuto intrecciato, e con piedidritti
su colonnine, mentre dentro i vuoti degli archi sono ricavati rosoni.
I Normanni, pur riproponendo un gusto nuovo, cercarono
di saldarsi profondamente con la civiltà classica e, soprattutto per motivi di
ordine politico, vollero riproporre aspetti del mondo latino. Raccolsero quindi
e composero su una piattaforma latina gli elementi provenienti dal Nord, loro
terra d’origine, con quelli che emergevano spontanei dai territori conquistati.
Aversa, una delle cittadine più profondamente
modificate dalla dominazione normanna, assorbì ad esempio influssi di matrice
anglo-normanna e risalenti a Bayeux e a Poitiers,
proponendo nuove invenzioni nel campo delle coperture costolonate;
apparvero quindi nel coro di Aversa (fine del secolo XI) quelle volte nervate
che ritroviamo poi a Sessa Aurunca nella crociera e a Caserta Vecchia nei
bracci del transetto.
Anche in vari edifici pubblici si avvertono
somiglianze di stile con palazzi della Francia normanna e dell’Inghilterra
(Rouen, Canterbury, Gloucester, Norwich).
Anche le celle campanarie circondate da tipiche
torrette angolari (come ad Amalfi, Gaeta e Caserta Vecchia) possono essere
riferite non solo all’esperienza araba, ma a soluzioni simili già presenti in
Francia, in Inghilterra, in Spagna, mediate dai conquistatori normanni .
Il grandissimo merito di questi ultimi fu quello
di non voler imporre soluzioni predeterminate o uniformità di gusto bensì
mantenere piena libertà agli artisti e alle maestranze locali, pur inquadrando
le varie esperienze in una cornice unitaria e ricercando una nuova
“classicità”, ben espressa dalla celebre Porta di Federico a Capua, nel 1239.
Il risultato di ciò fu poter filtrare le novità provenienti dall’Oriente come
dal Nord Europa alla luce di una feconda tradizione locale, producendo un’arte
composita che non può essere ridotta alla semplice denominazione di “normanna”.
E’ stata chiamata via via
“bizantina”, “siculo-normanna”, ”benedettina” e via
dicendo, ma ogni definizione è incompleta e parziale. In Sicilia un eccellente
esempio di questa “fusione” è dato dalla “cappella palatina” di Palermo, cioè
la chiesa del palazzo reale, consacrata nel 1140. Tutte le maestranze vi furono
impegnate. L’ampio ritmo delle colonne con fusti e capitelli antichi (o
somiglianti all’antico) richiama le basiliche latine; nel presbiterio la
struttura chiusa delle absidi e della cupola richiama le chiese bizantine così
come artefici bizantini (o di scuola bizantina) decorarono di mosaici le
cupole, le absidi e le pareti tutte; lavoranti e artigiani musulmani
intagliarono il soffitto a stalagmiti e ad alveoli, componendo poi in forme
tipiche arabe il pavimento e le decorazioni dello zoccolo. Infine scultori
romanici realizzarono il pulpito e il candelabro pasquale .
In Campania, l’esempio più riuscito di “fusione”
tra tradizioni costruttive e influenze di varia natura è dato dalla Cattedrale
di Caserta Vecchia, che contiene in un equilibrio compositivo perfetto stili
antichi e recenti, riuniti in un linguaggio articolato e unitario. Questo
edificio, di cui abbiamo già ampiamente trattato, nelle sue linee costitutive
appare essere, insieme a molti altri del secolo XII (e di parte del secolo
successivo) in Campania, una testimonianza eloquente riguardo alle doti
politiche ed amministrative, oltre che culturali, della dinastia normanna,
certo la migliore che abbia mai governato il Mezzogiorno d’Italia.
G.
U. Arati, L’architettura arabo-normanna, Milano, 1914.
A.
Avena, Monumenti dell’Italia Meridionale, Roma, 1902.
H .Belting,
Studien zur beneventanischen Malerei,
Wiesbaden, 1968.
E.
Bertaux, L’Art dans l’Italie Meridionale , Paris,
1903 - Aggiornamento dell’ Opera di Emile Bertaux, L’Art
dans l’ Italie Meridionale
, sotto la direzione di A. Prandi, Roma, 1978, a
cura di AA.VV.
Ranuccio Bianchi Bandinelli,
Roma, la fine dell’arte antica , Bur arte,
1966.
H. Bloch, ”Montecassino, Byzantium and the West in the earlier Middle
Ages “, in Dumbarton Oaks Paper, III, 1946, pp. 163-224.
M.
Bonicatti, “Considerazioni su alcuni affreschi
medievali della Campania”, in Bollettino d’ Arte, XLIII, 1958, pp. 12 -
25.
F.
Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma-Dresda,
1962.
S.
Bottari, L’arte italiana , Milano, Principato, 1946.
S.
Bottari, L’architettura del medioevo in Sicilia,
Palermo, De Magistris, 1955.
S.
Bottari, Gli
studi sull’architettura medioevale in Sicilia , in “Studi medioevali….”, 1956.
S.
Bottari, Note sul Duomo di Monreale , Palermo,
1955.
L.
Cochetti Pratesi, “Rilievi nella Cattedrale di Sessa
Aurunca e lo sviluppo dei marmorei neocampani nel XII secolo”, in Commentari
, IX, 1958, pp. 75 – 87 .
M.
Camera, Istoria della città e costiera di Amalfi , Napoli, 1836.
M.
Camera, Memorie storico-diplomatiche del ducato di Amalfi , Salerno,
1876.
A.
Carotti, Gli affreschi della Grotta delle Formelle
a Calvi Vecchia ( Studi sulla pittura medievale Campana. I ), Roma, 1974.
Luigi
Catalani, La chiesa di Sant’Angelo in Formis alle
falde del Monte Tifata fuori Capua Antica , Napoli, 1844.
N.
Cilento, Italia Meridionale Longobarda, II, Ed Milano, Napoli.
N.
Cilento–Casselletti , Le chiese d’Italia, dalle
loro origini sino ai nostri giorni , XX, Venezia, 1866.
Circolo
Schweitzer ( a cura del), Calvi e il suo ambiente , Novembre 1976, Calvi
Risorta.
G.
De Francovich, La pittura medievale campana. La
basilica di S.Angelo in Formis
e la sua decorazione pittorica ( dispense a cura di L. Cochetti
Pratesi), Università degli Studi di Roma, anno acc.
1964- 65.
P.
del Prete, L’antica Calvi e la Grotta dei Santi , Pied. Alife, Bianchi, 1913.
G.
De Monaco, G. Zarone, La cattedrale di Teano ,
Teano 1977, in “Aggiornamento del Bertaux”, alla p.
608.
Di
Lella, Un monumento dell’arte neocampana nella Basilica cristiana di Teano,
1904.
M.
D’ Onofrio, Italia Romanica-La Campania , Editoriale Jaca
Book, Milano, 1981.
M.
D’ Onofrio, “Il campanile della Cattedrale di Caserta Vecchia e i campanili
costieri della Campania”, in Commentari, III, 1970, pp. 173- 184.
M.
D’ Onofrio, La cattedrale di Caserta Vecchia , Roma, 1974.
André
Grabar, L’età d’oro di Giustiniano, Bur arte, 1966.
L.
Kalby , Tarsie ed archi intrecciati nel romanico
meridionale , Salerno, 1971.
G.
Kalby, La pittura delle grotte dei Santi e delle
Formelle a Calvi , atti del
Congresso N.az. Studi storici, Capua 1966, Roma, de
Luca, 1967, pp. 337 – 342 .
Alfredo
Maciariello, Il disegno dei campi nel territorio caleno , Unipress, Roma,
1983.
L.
Mansi, Illustrazione dei principali monumenti d’arte e di storia del versante
amalfitano, Roma, 1898.
L.
Mansi, Ravello sacra , Ravello , 1887.
A.
Medea, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi , Roma, 1939.
O.
Morisani, Gli affreschi di S. Angelo in Formis , Napoli, ed. Marino.
O.
Molisani, Bisanzio e la pittura cassinense,
Palermo, 1955.
V.
Pace, Aspetti della plastica in Campania, in “Federico II e l’arte in Italia
del Duecento “, Atti della Settimana di studio, Roma, 1978.
V.
Pace, Campania XI secolo. Tradizione e innovazione in una terra normanna
, Atti del Convegno
internazionale (Modena-
Parma), 1977.
Roberto
Pane, La ricostruzione della Cattedrale di Teano, Teano 1957.
P.
Parente, La basilica di S. Angelo in Formis ,
S. Maria Capua Vetere, 1912.
Demetrio
Salazaro, Studi sui monumenti dell’ Italia
Meridionale dal IV al XIII secolo, Napoli, 1871.
Demetrio
Salazaro, Sulla coltura artistica dell’ Italia Meridionale dal IV
al XIII secolo, Napoli, 1871.
M.
Salmi, Problemi dell’architettura di Terra di Lavoro nell’alto medioevo
e nel tempo romanico , Atti dell’ VIII Convegno Nazionale di Storia
dell’Architettura, Roma, 1956.
L.
Santoro, I castelli medievali Campani compresi nel territorio dell’antica
Archidiocesi di Capua , in “Atti del convegno naz. di studi storici”,
Capua, 26 -31 ottobre 1966.
W. Schulz , Denkmälerder
Kunst des Mittelalters in Unteritalien , Dresden, 1860.
Pietro
Toesca, Il Medioevo, Torino UTET, 1927, 1965 (
ristampa).
A.
Venditti, Architettura bizantina nell’Italia Meridionale , Napoli, 1967.
J. Wettstein, Sant’Angelo
in Formis et la peinture médiévale en Campanie ,
Thèse, Un. De Genève, Genève, 1960.
Mattia
Zona, Calvi antica e moderna, ossia memorie istoriche
dell’antichissima città di Calvi antiche e moderne, Napoli, Miranda, 1820.
Mattia
Zona, Il santuario caleno che contiene le memorie
, Napoli, Morelli, 1809.